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Il francobollo dedicato a Giovanni Gentile e la negazione della storia
Il governo ha scelto di celebrare il ruolo del filosofo come ministro fascista. Invece di coloro che non giurarono. La rubrica di Tomaso Montanari
Il Governo Meloni, per ora unico in Europa a essere guidato da un partito di matrice fascista, ha emesso un francobollo in onore di Giovanni Gentile, scrivendoci sopra che viene celebrato anche in quanto ministro. Il filosofo fu ministro solo nel primo governo di Benito Mussolini, quello nato dalla Marcia su Roma e dal tradimento costituzionale del vile re Savoia. Egli giura al Quirinale la mattina del 31 ottobre 1922, e quindi invia questo messaggio alle scuole italiane: “Salgo al governo dell’Istruzione sorretto dalla mia antica fede nei destini della nostra civiltà e nell’anima della nostra scuola.
Quanto maggiore la prova, tanto più grande è stato sempre l’animo degli italiani a vincere se stessi, tanto più è pronta la scuola a far suonare alta la sua voce ammonitrice e a dare l’esempio. Con questa fede chiamo intorno a me tutti gli insegnanti italiani a lavorare con nuova fede per l’avvenire della Patria”. Quale fosse quell’avvenire nascosto da questa bolsa retorica fu chiaro già nel pomeriggio di quel giorno: Roma è sconvolta dalle squadracce fasciste, che per festeggiare il loro incredibile arrivo al governo si abbandonano a violenze di ogni tipo, omicidi inclusi.
La mattina dopo, il neoministro filosofo si trova sulla scrivania questa lettera terribile, del suo collega professore alla Sapienza Giorgio Levi Della Vida: “Università degli studi di Roma, facoltà di Filosofia e lettere. Eccellenza, stamane alle 10:30 dei fascisti appartenenti alle squadre di Siena sono venuti a prendermi a casa con un motivo specioso e, condottomi in un locale della Scuola tecnica di Via Campania, mi hanno sottoposto al consueto supplizio dell’olio di ricino. Ciò, a quanto essi hanno affermato, a causa di articoli da me scritti in passato nel Paese. Segnalo il fatto all’Eccellenza Vostra come mio capo gerarchico, invocando da Lei la tutela della libertà di pensiero e di pubblicità dei Suoi dipendenti. Giorgio Levi Della Vida, professore nelle Università di Roma”.
Gentile non risponde: non risponde il collega di Levi, non risponde il suo superiore gerarchico, investito dal dovere legale e morale di difendere l’incolumità e la libertà dei professori che da lui dipendono. Quasi dieci anni dopo, nel 1931, Levi Della Vida è uno dei 12 professori universitari che non giurano fedeltà al fascismo, perdendo così cattedra e stipendio. Gentile, non più ministro, è stato uno degli ideatori e il più autorevole sostenitore della necessità del giuramento, utile solo a disciplinare, umiliare, vessare.
Quando, nel 1938, entrano in vigore le leggi razziste, i professori ebrei, che pure avevano giurato sette anni prima, perdono comunque la cattedra. Al che Levi, pure ebreo, commenta: “Per colmo di disavventura, la promulgazione delle leggi antiebraiche che nell’autunno del 1938 aveva estromesso dall’insegnamento un numero rilevante di professori ebrei, finì con l’annegare il mio caso nel loro, tanto più notorio e più lacrimevole, così che i più credettero e credono che io abbia perduto il posto a causa del mio sangue e non delle mie idee”.
Oggi, un governo della Repubblica che ha giurato sulla Costituzione antifascista non celebra Levi, ma Gentile, che arrivò a scrivere un famoso elogio del manganello (manganello che poche settimane fa è tornato attuale sulla testa degli studenti e delle studentesse, proprio davanti al Palazzo della carovana della Normale di Pisa, che Gentile diresse). Per ora siamo alla negazione della Storia: a quando quella delle nostre libertà?
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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