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I superstiti del naufragio di Pylos accusano la Guardia costiera greca

Un frame del video di Frontex, l'Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, del peschereccio sovraffollato che nella notte tra il 13 e il 14 giugno ha causato la morte di oltre 600 persone

Nella notte tra il 13 e il 14 giugno le autorità greche avrebbero tentato di trainare il peschereccio partito dalla Libia con a bordo oltre 700 persone, provocandone l’inabissamento. Le testimonianze dei sopravvissuti, confinati subito dopo aver toccato terra, smontano la versione di Atene. Le vittime sarebbero almeno 643

Secondo diverse testimonianze dei sopravvissuti il peschereccio con oltre 700 persone a bordo è affondato al largo delle coste greche, nelle prime ore di mercoledì 21 giugno, durante un tentativo fallito di rimorchio da parte della Guardia costiera greca. L’accusa è contenuta nelle dichiarazioni rilasciate da alcuni naufraghi all’autorità giudiziaria di Kalamata, città meridionale greca –visionate dall’Ap news e dal quotidiano ellenico Kathimerini- che smentiscono la versione delle autorità greche secondo cui la barca non sarebbe stata scortata nelle sue ultime ore di navigazione e non ci sarebbe stato alcun tentativo di abbordarla.

“La nave greca ha gettato una corda ed è stata legata alla nostra prua -ha spiegato Abdul Rahman Alhaz, 24 anni, palestinese che è riuscito a salvarsi-. Dopo hanno iniziato a muoversi e a tirare, per poco più di due minuti. Noi gridavamo ‘Stop, stop’ perché la barca era sovraccarica. Poi ha cominciato a inclinarsi”.

L’inabissamento del peschereccio partito dalla Libia avrebbe provocato almeno 643 vittime, secondo quanto è stato possibile ricostruire dalle testimonianze dei 104 sopravvissuti. Sarebbero 100 i bambini, sempre secondo i racconti di chi si è salvato dal naufragio, che con le donne erano stipati nella stiva della nave. Sulle dinamiche dell’incidente, però, fin da subito erano emersi versioni contrastanti.

Un’inchiesta realizzata dalla BBC mostra che il peschereccio sovraffollato non si è mosso per almeno sette ore prima di capovolgersi mentre la guardia costiera, invece, nel comunicato stampa rilasciato successivamente al naufragio sottolinea che dalle 15.30 all’1.40 la navigazione è proseguita a “velocità e rotta costante”. La versione della BBC si basa sui dati di Marin traffic, che traccia i movimenti delle imbarcazioni nel Mediterraneo, e che confermerebbe che le navi inviate dalle autorità greche per fornire supporto all’imbarcazione carica di naufraghi siano intervenute tutte nella stessa zona e che quindi la nave avrebbe percorso “meno di poche miglia nautiche, come ci si può aspettare da una nave colpita dal vento o dalle onde nella parte più profonda del Mar Mediterraneo”. Inoltre, sempre secondo la testata inglese, la foto dell’imbarcazione pubblicata dai guardacoste ellenici giovedì 15 giugno, riferita a poche ore prima del capovolgimento, dimostra che la nave era ferma e soprattutto smentisce la versione secondo cui le stesse autorità “avevano osservato da una distanza discreta il susseguirsi dei fatti”.

“Abbiamo lanciato una richiesta di soccorso il giorno prima del naufragio verso le 8 del mattino -ha raccontato un sopravvissuto alla Ong Consolidated rescue group-. Non sapevamo neanche che fossimo in Grecia”. Alle 9.47 del mattino Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, ha comunicato alle autorità italiane e greche la presenza di un peschereccio sovraffollato e la Centrale operativa di Roma intorno alle 11 ha comunicato la posizione della nave, nel Sud del Peloponneso, al centro operativo di Atene. Alle 13.50 da Mitilini si è alzato un elicottero della Guardia costiera greca diretto verso il peschereccio, raggiunto verso le 15.35. Le stesse autorità greche, intanto, stavano chiedendo alle imbarcazioni che navigavano nell’area di cambiare rotta. “Una barca ci ha rifornito di quattro boxes d’acqua da sei bottiglie l’una: le persone si colpivano per prenderla -continua il sopravvissuto-. Questa nave ci ha lanciato una corda per avvicinarci ma ci ha detto che non era loro compito salvarci e che presto sarebbe arrivata la Guardia costiera”. La situazione a bordo era tesa, racconta sempre l’uomo intervistato dal Consolidated rescue group, al quarto giorno di navigazione non c’era né acqua né cibo, due persone erano morte e giacevano sul vascello: al quinto giorno, quello precedente al naufragio, qualcuno beveva dal motore perché l’acqua era finita. Ma anche nel racconto dell’uomo quello che succede al calar del sole di martedì scorso, dopo l’intervento delle navi civili, ripercorre le testimonianze di decine di altri naufraghi. “La Guardia costiera, una volta arrivata, ci ha detto di seguirli così l’Italia ci avrebbe salvato. Lo abbiamo fatto per mezz’ora, poi il motore si è rotto. Erano vestiti di nero e mascherati, senza segni militari. Ci hanno tirati con una corta e poi sono ripartiti, la nave ha perso stabilità e poco dopo è affondata”.

Da Atene le autorità hanno dichiarato che i naufraghi hanno più volte rifiutato il loro intervento perché volevano proseguire verso l’Italia. Diverse testimonianze dei naufraghi smentiscono questa versione. Nawal Soufi, attivista rifugiata indipendente che quel giorno ha lanciato per prima l’Sos per la barca in avaria, ha dichiarato di essere stata in contatto con le persone sulla barca fino alle 23 di martedì. “L’uomo con cui stavo parlando mi ha detto espressamente: ‘Sento che questa sarà la nostra ultima notte viva’”, ha scritto. Poco prima di mezzanotte il motore si è spento. 

El Pais ha accusato le autorità greche di “imporre il silenzio” ai sopravvissuti al naufragio. Durante la loro permanenza nel porto di Kalamata, i 104 naufraghi avevano infatti mobilità limitata e scarso accesso alle comunicazioni: la Guardia costiera, secondo quanto ricostruito dal quotidiano spagnolo, li avrebbe confinati all’interno di un complesso recintato da cui non è stato permesso loro di uscire. Successivamente, venerdì 16 giugno, sono stati trasferiti a Malakasa, un campo per richiedenti asilo vicino ad Atene. Ma anche in questa nuova sistemazione la possibilità di uscire e avere contatti con l’esterno è risultata limitata

Intanto martedì 20 giugno il tribunale di Kalamata ha convalidato l’arresto di nove uomini di origine egiziana accusati di essere i membri dell’equipaggio: omicidio colposo, naufragio e partecipazione a un’organizzazione criminale sono i capi d’accusa. L’avvocato Athanassios Iliopoulos, che rappresenta un presunto trafficante di 22 anni, ha dichiarato all’Associated Press che tutti e nove i sospettati hanno negato le accuse in tribunale affermando di essere essi stessi naufraghi. Iliopoulos ha detto che il suo cliente ha riferito di aver venduto il suo camion preso in prestito dai suoi genitori per raccogliere 4.500 euro per il viaggio. Anche in Pakistan, dove è stato proclamato il lutto nazionale per le vittime del naufragio, l’ufficio del primo ministro Shehbaz Sharif ha annunciato che sono state arrestate dieci persone accusate di far parte dell’organizzazione. “Intensificheremo gli sforzi nella lotta contro le persone coinvolte nell’atroce crimine della tratta di esseri umani”, ha dichiarato il capo del governo. Per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen “è urgente agire”, sottolineando che l’Ue dovrebbe aiutare i Paesi africani come la Tunisia, da cui molte persone partono, a stabilizzare le loro economie. Non ha in questo caso menzionato la Libia, luogo da cui il peschereccio del naufragio è partito. 

La Grecia è stata più volte accusata di violare sui propri confini le norme sul salvataggio in mare e i diritti delle persone in transito. A maggio 2023 un’inchiesta del New York Times ha mostrato, con tanto di video ad alta definizione, le autorità greche riportare indietro verso le coste turche decine di profughi già arrivati sul territorio, tra cui anche bambini, lasciando alla deriva l’imbarcazione. Altro che attività di search and rescue. Il portale di inchiesta Solomon ha ricostruito come degli 819 milioni di euro forniti ad Atene all’interno del “Fondo di gestione delle frontiere europee” appena lo 0,07% (neanche 600mila euro) sarà destinato allo sviluppo delle attività di ricerca e soccorso in mare. La maggior parte del denaro riguarda invece l’approvvigionamento di attrezzature di deterrenza come droni, veicoli di ogni tipo, termocamere, elicotteri e sistemi di sorveglianza automatizzati. Tutto ciò che non è servito per salvare 640 persone.

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