Crisi climatica / Approfondimento
“I progetti fossili esistenti vanno chiusi se vogliamo rimanere entro la soglia di 1,5 °C”
Un nuovo studio dell’International institute for sustainable development e di Oil Change International mette in guardia rispetto alla necessità non solo di bloccare nuovi siti estrattivi di petrolio, gas o carbone ma di iniziare a programmare la chiusura di quelli già in funzione. Un avviso per i decisori politici e anche per gli investitori
Un nuovo studio realizzato dall’organizzazione di ricerca, comunicazione e advocacy Oil change international e dall’Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile (Iisd) mette in guardia sulla necessità non solo di fermare i progetti in divenire di estrazione dei combustibili fossili e la costruzione di nuove infrastrutture, ma di chiudere anticipatamente anche i siti già esistenti, se si vuole che il riscaldamento globale non superi la soglia di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. La ricerca, sottoposta a revisione paritaria e pubblicata il 17 maggio sulla rivista ad accesso aperto Environmental research letters, approfondisce l’analisi curata dall’Agenzia internazionale per l’energia (International energy agency, Iea) circa l’impossibilità di poter sviluppare nuove miniere di carbone o ulteriori giacimenti di petrolio e gas se si vogliono annullare le emissioni nette di gas serra entro il 2050. Secondo il nuovo studio, per mantenersi vicini al limite di 1,5 gradi centigradi entro fine secolo (senza cattura o rimozione del carbonio su vasta scala) è necessario che resti nel suolo circa il 40% delle riserve di combustibili fossili provenienti dai siti di sviluppo esistenti e operativi in tutto il mondo per avere almeno una chance del 50% di ridurre in maniera significativa le emissioni di carbonio.
“I nostri risultati mostrano che fermare i nuovi progetti di estrazione è un passo necessario, ma non ancora sufficiente per rimanere all’interno del nostro bilancio di carbonio in rapida diminuzione -ha spiegato Greg Muttitt, dell’Istitituto internazionale per lo sviluppo sostenibile e uno degli autori dello studio-. Alcune licenze e produzioni esistenti di combustibili fossili dovranno essere revocate e gradualmente eliminate. I governi devono iniziare ad affrontare questo argomenti in maniera giusta ed equa, cosa che richiederà il superamento dell’opposizione degli interessi fossili”.
Lo studio, che si è avvalso di un database commerciale di più di 25mila giacimenti di petrolio e gas insieme a un nuovo set di dati sulle miniere distribuite in nove dei principali Paesi produttori di carbone a livello planetario, ha stimato che i giacimenti e le miniere di idrocarburi nel mondo potrebbero portare, tutti insieme, a emissioni di circa 936 gigatonnellate di CO2 “se le loro riserve fossero completamente esaurite e bruciate”. Queste emissioni “sono superiori del 60% rispetto al restante bilancio di carbonio per 1,5 gradi ed esauriscono il bilancio rimanente per restare ben al di sotto dei due gradi, il limite superiore fissato dell’Accordo di Parigi entro il 2100”.
Kelly Trout di Oil change international, sempre nel team del rapporto, ha posto l’attenzione sul fatto che la costruzione di nuove infrastrutture per i combustibili fossili non sia una risposta percorribile rispetto alla guerra della Russia (che rappresenta il 13% del totale degli idrocarburi globali) contro l’Ucraina: “Il mondo ha già sfruttato troppo petrolio, gas e carbone. Svilupparne di più causerebbe livelli di riscaldamento più pericolosi”. Questo in uno scenario in cui peraltro circa il 90% delle riserve di combustibili fossili sviluppate si concentrano in appena venti Paesi, con in testa Cina, Russia, Arabia Saudita, Stati Uniti, seguiti da Iran, India, Indonesia, Australia e Canada.
Lo studio identifica come strategia politica necessaria quella di arrestare le nuove licenze per la produzione di gas e petrolio. Thijs Van de Graaf dell’Università di Ghent, co-autore dello studio, spiega come i governi, non assegnando nuove licenze per l’esplorazione e la produzione di combustibili fossili, “potrebbero sia evitare di consolidare ulteriormente le barriere legali e politiche alle politiche di mitigazione, sia ridurre al minimo i beni inutilizzati”. Nette le parole di Dimitri Lafleur, di Global climate insights: “La nostra ricerca dovrebbe anche essere un segnale di avvertimento per le società quotate in Borsa e i loro investitori: le riserve in fase di sviluppo non possono essere accresciute, per rimanere al di sotto di 1,5 gradi. Le aziende di combustibili fossili che affermano di essere allineate con l’accordo di Parigi e che hanno bisogno di trasferire le loro attività principali, devono accelerare i loro piani di transizione”. Per lo studio la questione su quali riserve di carbone, petrolio e gas sviluppate vadano chiuse richiede una riflessione sotto il segno dell’equità sia all’interno sia tra i diversi Paesi.
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