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Gli sfollati interni a livello mondiale superano quota 71 milioni. Il triste record del 2022

Una donna tra le tende di un centro d'accoglienza per sfollati in Somalia © European Union, 2022, Said Yusuf Warsame

Guerre, crisi alimentari e disastri climatici fanno esplodere il numero degli “sradicati” del Pianeta, dall’Ucraina al Pakistan, passando per la Repubblica Democratica del Congo, la Siria, lo Yemen e la Somalia. L’ultimo rapporto dell’Internal displacement monitoring center fotografa una inquietante crescita del 20% rispetto al 2021

La guerra in Ucraina, l’escalation delle violenze in Repubblica Democratica del Congo, le esondazioni dei fiumi in Pakistan sono tra i principali fattori che hanno portato a un drammatico aumento del numero di sfollati interni (Internal displaced people, Idp) nel 2022: 71,1 milioni a livello globale, il 20% in più rispetto al 2021. Il dato più alto mai registrato. Di questi, 62,5 milioni sono fuggiti a causa di conflitti armati e situazioni di violenza (in crescita del 17% rispetto al 2021), mentre altri 8,7 milioni hanno dovuto lasciare la propria casa a seguito di disastri naturali (+45%).

Queste due condizioni si sommano spesso tra loro, come nel caso dell’Afghanistan, dove agli oltre 4,3 milioni di persone che hanno lasciato la propria casa per sfuggire al conflitto e alle violenze dei gruppi armati se ne sommano altri 2,1 milioni in fuga da terremoti, esondazioni e siccità.

A ribadire l’allarme globale è il report annuale pubblicato dall’Internal displacement monitoring center (Idmc), istituto di ricerca con sede a Ginevra che analizza il fenomeno delle migrazioni forzate interne ai singoli Paesi. Evidenziando come, sebbene si tratti di un fenomeno planetario -che non risparmia nemmeno Europa e Stati Uniti- circa tre quarti degli sfollati interni si concentrano in appena dieci Paesi: Siria, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Ucraina, Colombia, Etiopia, Yemen, Nigeria, Somalia e Sudan.

“Lo scorso anno conflitti, disastri e il prolungarsi degli effetti della pandemia Covid-19 si sono combinati tra loro, aggravando le vulnerabilità e le disuguaglianze preesistenti -scrive nella prefazione Jan England, segretario generale del Norwegian refugee council, organizzazione impegnata nella tutela di rifugiati e sfollati e che nel 1998 ha fondato l’Idmc-. La guerra in Ucraina ha peggiorato ulteriormente le cose. Il tutto ha alimentato una crisi globale legata alla sicurezza alimentare che ha colpito soprattutto i più poveri e vulnerabili, compresi gli sfollati interni. Questa tempesta perfetta ha minato anni di progressi nella riduzione della fame e della malnutrizione”.

Solo nel corso del 2022, infatti, si sono registrati 60,9 milioni di movimenti (in aumento del 60% rispetto al 2021), cioè il numero di spostamenti forzati a cui sono costrette le persone in fuga, che possono verificarsi anche più volte nel corso dello stesso anno. Di questi, 28,3 milioni sono stati causati da conflitti e violenze: solo in Ucraina sono stati poco meno di 17 milioni, quattro nella Repubblica Democratica del Congo e due in Etiopia. In sei casi su dieci ciò che ha innescato la fuga sono stati i conflitti armati internazionali, ma il report evidenzia con preoccupazione anche il fatto che negli ultimi tre anni è cresciuto del 75% il numero di spostamenti causati dall’escalation di scontri armati locali, come è successo ad esempio in Repubblica Democratica del Congo, Etiopia e Somalia.

I disastri naturali invece hanno innescato 32,6 milioni di movimenti nel 2022, il 90% dei quali a causa di fenomeni atmosferici quali inondazioni, tempeste o cicloni, e siccità. Gli Stati più colpiti sono stati il Pakistan, con 8,2 milioni di displaced (durante l’ultima stagione dei monsoni più di un terzo del Paese è finito sott’acqua), la Somalia con 1,1 milioni e l’isola di Tonga, dove il 15 gennaio 2022 la potente eruzione di un vulcano sottomarino ha causato uno tsunami dalle onde alte 15 metri.

Il report dedica poi particolare attenzione al legame (spesso trascurato) tra insicurezza alimentare e sfollati interni: sono più di 26 milioni tra Repubblica Democratica del Congo, Afghanistan, Etiopia e Yemen, i Paesi che a livello globale hanno registrato i più alti livelli di insicurezza alimentare nel 2022. A Kinshasa, ad esempio, la presenza di 120 gruppi armati ha contribuito ad aggravare la situazione umanitaria nel corso del 2022, con una serie di sanguinosi attacchi nelle province orientali di Ituri, Nord e Sud Kivu che hanno provocato circa quattro milioni di sfollati e che, oltre a ostacolare il trasporto di viveri nella capitale del Nord Kivu, Goma, hanno anche attaccato direttamente le scorte alimentari del Paese, aggravando l’insicurezza alimentare che caratterizza la regione.

In Somalia le autorità hanno dichiarato lo stato d’emergenza a novembre 2021, a seguito di una siccità prolungata che perdura da cinque stagioni: tra gennaio e dicembre 2022 una massa di 1,1 milioni di sfollati si è diretta verso le principali città del Paese per cercare supporto e assistenza, innescando così una crisi nella crisi a causa delle limitate risorse alimentari e del sovraffollamento.

In Ucraina, a seguito dell’invasione russa del 24 febbraio 2022, si sono registrati più di 16,9 milioni di spostamenti all’interno del Paese (il 60% di tutti quelli generati per conflitti e violenze nel mondo). Una situazione causata dai rapidi spostamenti del fronte, che hanno costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie abitazioni per sfuggire ai combattimenti. A questo si aggiunge il fatto che, per evitare vittime civili a causa dei bombardamenti, a partire dal mese di luglio il governo di Kiev ha ordinato l’evacuazione obbligatoria di 350mila abitanti delle città a rischio. La massa di sfollati interni ha avuto ripercussioni anche sulle regioni del Paese non interessate direttamente dal conflitto: a Leopoli, dove più di 200mila persone hanno cercato rifugio nelle prime due settimane di guerra, i prezzi delle case sono aumentati vertiginosamente, oltre al costo di cibo, medicine e carburante.

“I dati disponibili sulla sicurezza alimentare e sugli spostamenti interni sono tutt’altro che completi -si legge nel rapporto- ma rivelano come i due fenomeni si sovrappongano. Il 75% dei Paesi valutati come soggetti a livelli di crisi di sicurezza alimentare accolgono numeri significativi di sfollati interni”. Tra gli altri, mancano dati certi in particolare sulla situazione di Siria, Colombia e Myanmar.

“C’è una crescente necessità di soluzioni durevoli per far fronte alla scala delle sfide che gli sfollati devono affrontare”, ha affermato Alexandra Bilak, direttrice dell’Idmc. Risolvere questi gap numerici aiuterebbe a fare luce sui fattori comuni e legami tra crisi alimentari e spostamenti, per fornire analisi accurate sulle quali poi basare soluzioni. Allo stesso tempo, oltre all’immediata assistenza umanitaria, sono necessari investimenti in misure preventive e di riduzione del rischio, per preparare le comunità ad affrontare i crescenti disastri climatici. È chiaro che le persone sfollate non debbano essere considerate solo come ricevitori passivi degli aiuti umanitari, ma l’assistenza data dovrebbe concentrarsi, continua Bilak, soprattutto sullo sviluppo di abilità “per supportare la sopravvivenza delle comunità e rafforzare la loro resilienza”.

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