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Crisi climatica / Approfondimento

Gli ostacoli ai finanziamenti per il clima in contesti fragili o in conflitto

© Malachi Brooks - Unsplash

Esiste un doppio legame tra la crisi climatica e la fragilità degli Stati a rischio: gli effetti dei cambiamenti climatici peggiorano i conflitti e a loro volta sono amplificati dalle crisi. Eppure sono proprio i Paesi a rischio a ricevere minori risorse pro-capite in termini di finanziamenti per l’adattamento

Esiste una relazione a doppio senso tra cambiamento climatico e fragilità degli Stati: gli effetti del cambiamento climatico possono causare una maggiore fragilità all’interno degli Stati o di alcuni territori attraversati da conflitti (ma non solo) e, allo stesso tempo, la fragilità che ne deriva influenza il grado di vulnerabilità ai cambiamenti climatici di quei luoghi e delle comunità che li abitano.

Come sottolineato nel sesto rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), pubblicato a febbraio 2022, sebbene alla base dei conflitti continuino ad esserci prevalentemente cause socio-economiche, le popolazioni colpite corrono oggi rischi maggiori a causa degli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Questi sono infatti definiti come moltiplicatori di minacce perché le economie fragili e a basso reddito attraversate da conflitti dipendono fortemente dalle risorse naturali e la dipendenza da una specifica risorsa naturale le rende suscettibili a shock come disastri naturali e altre manifestazioni delle conseguenze dei cambiamenti climatici, innescando una evoluzione da situazione di fragilità a competizione violenta per le risorse. Un recente report della stessa Banca Mondiale, che prende in esame le situazioni di conflitto interessate dai cambiamenti climatici, evidenzia che l’80% dei poveri del mondo vive in aree rurali e la maggior parte dipende da risorse naturali soggette a degrado.

Un ruolo fondamentale in questi contesti possono averlo progetti di adattamento, pensati per ridurre o evitare i danni del clima che cambia. Finanziamenti pubblici nell’adattamento avrebbero la potenzialità di agire come fattori di costruzione di pace e stabilità perché in grado di fornire strumenti di resistenza a impatti come scarsità di acqua o inondazioni, insicurezza alimentare e perdita di biodiversità. Eppure recenti ricerche hanno documentato che per questi Paesi è difficile accedere ai fondi per il clima. Più instabilità politica e sociale si traduce in minore flusso di finanziamenti per il clima. Circa la metà dei Paesi inseriti nella lista dei Paesi fragili e attraversati da conflitti dalla Banca Mondiale fa parte del gruppo di Paesi considerato particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici (Least developed countries, LDCs). I Paesi in conflitto ricevono una piccola parte delle già insufficienti risorse destinate a finanziare azioni per il clima. Questa tendenza si ripete a livello subnazionale: anche quando i finanziamenti arrivano, sono in gran parte limitati alle regioni più stabili del Paese. Determinante è il fattore legato alla sicurezza che influenza i criteri di selezione del luogo di intervento. Misurando i finanziamenti pro-capite del gruppo dei Paesi vulnerabili LDCs, il think tank Odi ha calcolato che questi hanno una mediana di 88 dollari a persona in finanziamenti per l’adattamento. Tra questi, la maggioranza dei Paesi più fragili o in conflitto riceve la quantità minore di finanziamenti.

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), il totale dei finanziamenti legati al clima (mitigazione e adattamento) forniti dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo ha raggiunto 83,3 miliardi di dollari nel 2020. Di questi il 34% (28,6 miliardi) è indicato come finanziamento per l’adattamento, insieme a un 7% destinato a attività trasversali ad adattamento e mitigazione. Ma l’ultimo Adaptation gap report 2022, del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), ha stimato che nel decennio 2021-2030 il fabbisogno di finanziamenti per l’adattamento potrebbe essere da cinque a dieci volte superiore agli attuali flussi pubblici internazionali, variando da un minimo di 79 a 612 miliardi all’anno. Il report afferma esplicitamente che senza un aumento decisivo del sostegno finanziario all’adattamento le azioni adottate potrebbero essere superate dall’accelerazione degli impatti climatici. Per i Paesi in conflitto si tratta di recuperare un divario enorme, peggiorato dalle difficoltà di accesso ai fondi.

Nel documento “Embracing Discomfort”, Odi insieme al Comitato internazionale della croce rossa (Icrc), ad agenzie delle Nazioni Unite come l’Unhcr e il World food programme e ad altre organizzazioni (Icva, Mercy Corps, Rccc), ha sintetizzato i fattori che ostacolano i finanziamenti per il clima in contesti fragili o in conflitto. Il primo è la preferenza verso progetti con un basso grado di rischio. I fondi per il clima, così come le banche multilaterali di sviluppo che progettano e attuano i programmi di adattamento, non hanno competenze specifiche per valutare i rischi derivanti dai conflitti. Questa lacuna porta a escludere luoghi colpiti da conflitti regolarmente percepiti come troppo ad alto rischio. Si aggiungono poi difficoltà legate al rispetto di procedure e requisiti troppo rigidi. Ogni fondo ha le proprie regole per il rispetto di standard sociali e ambientali, una propria politica di genere, un proprio modello di richiesta di progetto e propri standard di rendicontazione. La mancanza di armonizzazione comporta un onere che i governi e le autorità dei Paesi in via di sviluppo non sono in grado di affrontare. Inoltre in luoghi instabili i dati sul clima richiesti per presentare le proposte di progetto sono limitati, poiché le stazioni meteorologiche possono essere danneggiate o non mantenute adeguatamente.

Il documento si concentra sui finanziamenti pubblici, dal momento che attualmente i dati sui finanziamenti del settore privato sono ancora in gran parte mancanti o poco chiari. Le organizzazioni propongono ai responsabili politici degli Stati, alle istituzioni finanziarie multilaterali e ai fondi per il clima una serie di raccomandazioni per facilitare l’accesso ai finanziamenti: dovrebbero essere creati meccanismi e programmi su misura che rispondano sia a esigenze legate al clima sia a quelle di contesti in conflitto. Maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata inoltre ai progetti di piccola scala, che possono contribuire a rafforzare la resilienza dei mezzi di sostentamento e delle infrastrutture delle comunità locali. Attualmente hanno invece priorità i grandi progetti multimilionari che potenziano le reti elettriche, costruiscono infrastrutture o ristabiliscono i principali ecosistemi e paesaggi, perché si privilegiano azioni che contribuiscono allo sviluppo nazionale e offrono la possibilità di un ritorno finanziario sugli investimenti. I nuovi meccanismi dovrebbero integrare un approccio al rischio che tenga pienamente conto delle peculiarità dei luoghi interessati dai conflitti, concedendo prevalentemente finanziamenti a fondo perduto e non prestiti. Nel documento si sottolinea la necessità di colmare le lacune nella gestione di progetti in contesti fragili da parte delle istituzioni finanziatrici. A questo scopo si evidenzia l'importanza di una migliore collaborazione tra esperti di clima e di sviluppo e le organizzazioni umanitarie che lavorano sul campo: anche i costruttori di pace sono chiamati a fare la loro parte per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.

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