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Gli occhi della rinascita – Ae 44
Numero 44, novembre 2003Il rinnovamento indigeno passa dalla storia dell'esportazione equa del guaranà che ha ridato potere e prestigio al Consiglio tribale. Così si riparla di ambiente e comunità. E, soprattutto, di futurodi Olivier Bond © courrierinternational.comHa 24 anni. È…
Numero 44, novembre 2003
Il rinnovamento indigeno passa dalla storia dell'esportazione equa del guaranà che ha ridato potere e prestigio al Consiglio tribale.
Così si riparla di ambiente e comunità. E, soprattutto, di futuro
di Olivier Bond © courrierinternational.com
Ha 24 anni. È il nuovo responsabile del Coordinamento delle organizzazioni indigene dell'Amazzonia brasiliana (Coiab), cioè dell'oganismo che raggruppa circa 200 mila persone, il 60% della popolazione indigena del Brasile.
Jecinaldo Barbosa Cabral è un Satéré-Mawé, la “nazione india” che è protagonista da alcuni anni dell'export equo del guaranà in Brasile. Un progetto importante perché, come spiega Jecinaldo in questa intervista, può essere un modello di sviluppo delle comunità locali e della salvaguardia delle culture indigene.
Come si arriva, a 24 anni, a farsi eleggere a capo di una organizzazione così importante per gli indigeni come la Coiab?
Il clan della vespa, da cui provengo, non è molto potente tra i Satéré-Mawé, ma è alleato al clan del guaranà la cui importanza è cresciuta notevolmente con lo sviluppo del commercio equo di questa pianta, commercio che è oggi considerato come un modello da seguire da parte della Coiab.
A questo si aggiunge una storia personale segnata da mio nonno, che mi ha lasciato come eredità questo obiettivo: ricevere le conoscenze del mondo dei bianchi e fare in modo che non nuocciano al mio popolo, ma che, al contrario, gli siano di beneficio. A 15 anni ho sostituito mio padre come maestro di scuola in un villaggio, poi sono diventato coordinatore dei professori Satéré-Mawé della regione del fiume Andirà. Un anno dopo diventavo presidente del Consiglio di Stato per un insegnamento differenziato alle popolazioni indigene e entravo nel Consiglio generale della tribù dei Satéré-Mawé (Cgtsm). È stata in particolare questa nomina a darmi la forza di entrare all'università, e così sono stato uno dei primissimi indigeni a farlo senza il minimo aiuto del governo. Oggi io mi sento responsabile degli altri.
Qual è il suo ruolo nella direzione della Coiab?
Prima della creazione della Coiab le principali rivendicazioni degli indios vertevano sulla delimitazione della terre indigene. Queste terre coprono oggi il 20 per cento dell'Amazzonia, il che corrisponde a circa due volte la superficie della Francia, e il problema è stato risolto all'80 per cento. Gli indios hanno progressivamente capito che circoscrivere terre indigene non era sufficiente: occorre avere la capacità di farsene carico e di gestire questi territori. Il che presuppone la costruzione di una autonomia economica, senza la quale qualsiasi diritto all'autonomia politica resta illusorio. Oggi il nostro principale obiettivo è di costruire questa autonomia.
Finché la Coiab dipenderà dal denaro dell'Unione Europea o dai piccoli aiuti delle autorità locali, questo nuocerà alla sua libertà di espressione.
Del resto fino a poco fa, e talvolta ancora oggi, i difensori dell'ambiente pensavano solo a conservare l'ambiente naturale senza preoccuparsi degli uomini che lo abitavano. Oggi è chiaro che l'ecologia deve svilupparsi anche a partire dai bisogni e dalle attività degli uomini. Bisogna proteggere la biodiversità ma anche la sociodiversità. Entrambe sono estremamente ricche in Amazzonia.
Concretamente tre punti mi sembrano essenziali. Innanzi tutto un ritorno alla base. In effetti, da qualche anno, la Coiab si era staccata dalle nazioni indigene stabilendo la sua sede a Manaus (capitale dello Stato dell'Amazzonia), una grande città con circa 2 milioni di abitanti. E il distacco andava crescendo. Questo ritorno alla base tende anche a valorizzare quello che può nascere dalle iniziative locali, come il progetto guaranà. Ho poi cercato di ristrutturare la Coiab per consentirle di gestire correttamente il denaro (il suo budget si avvicina ai 400 mila dollari). Questi soldi sono stati spesso male utilizzati, e molte irregolarità hanno intaccato la credibilità del coordinamento, che si trattava quindi di ristabilire. Infine occorre rimettere in moto un processo democratico e tutto il sistema di relazioni tra gli indigeni. !!pagebreak!!
Il commercio del guaranà è una tappa verso l'autonomia economica?
Assolutamente sì. È anzi oggi il modello di ciò che cerchiamo di costruire. Secondo le nostre credenze ancestrali i Satéré-Mawé sono i figli e le figlie del guaranà. Si racconta che la pianta del guaranà è nata dall'occhio di un bambino ucciso e risorto come primogenito dei Satéré-Mawé. In effetti, quando il rosso frutto del guaranà matura e si apre, la polpa e il seme formano l'immagine sorprendente di un occhio umano. Questo mito dà al guaranà un valore sacro, e quando noi beviamo la polvere di guaranà mescolata all'acqua entriamo in comunione con la saggezza di quel bambino. In una riunione importante, quando c'è da risolvere un problema nella comunità, beviamo il guaranà e diciamo che ci ispira le belle parole che creano l'armonia dei desideri e delle volontà.
Per questo pensiamo che il guaranà deve aprirci verso l'esterno e sono già 350 anni che i Satéré-Mawé lo commercializzano. Ma è solo in questi ultimi anni, nel quadro della rinascita del movimento indigeno alla fine della dittatura in Brasile (nel 1985), che abbiamo poco a poco sviluppato un progetto fondato sul commercio equo, controllato dal consiglio delle tribù. Da 7 anni questo è il fondamento dell'autonomia organizzativa del Consiglio dei Satéré-Mawé, ed è anche il primo progetto indigeno che si autofinanzia. Da ciò la sua importanza.
Come viene utilizzato il denaro che si ricava dal guaranà?
Un terzo del denaro ricavato da questo commercio (228 mila dollari nel 2002) va ai produttori, perché il Consiglio acquista da loro il guaranà a cinque volte il suo prezzo abituale. Una terza parte va in spese di trasporto e di trasformazione, in imposte, servizi, promozione, lobbyng, investimenti. L'ultimo terzo è investito in progetti collettivi come la protezione e l'addomesticamento di molte specie di api selvatiche senza pungiglione (che assicurano l'80% della impollinazione della foresta amazzonica), la raccolta differenziata dei rifiuti, il recupero della ceramica tradizionale, la promozione di metodi di coltura biologica delle specie native o di gestione della foresta.
Prendiamo l'esempio del bois de rose. Questo legno pregiato è stato tagliato e venduto per molto tempo, a tal punto che ha rischiato di sparire. Ma nel corso di una generazione molte cose sono cambiate: se mio padre vendeva questo legno, oggi io faccio l'inverso e lo proteggo.
Grazie ai soldi del guaranà possiamo proporre ai membri della tribù altri mezzi di sussistenza e finanziamo il reimpianto del bois de rose nelle zone dove è sparito.
Il nostro guaranà è certamente più caro, ma se l'importatore paga questo prezzo non è per gentilezza, è perché paga tutto quello che c'è attorno e il cui valore si integra in quello del prodotto: qualità della terra e delle piante, tecniche di coltivazione e di trasformazione uniche. Tutte caratteristiche della cultura dei Satéré-Mawé. Integrare questi valori nel processo commerciale tradizionale è difficile, a causa della mancanza di trasparenza sull'origine dei prodotti, le filiere di produzione e i mercati. Il commercio equo permette una maggiore trasparenza.
Il guaranà dei Satéré-Mawé è bio?
Certamente. La protezione del suo ambiente è al centro della nostra tradizione, e del resto l'agricoltura chimica, per fortuna, non è arrivata fino a noi. Produttività e standardizzazione spingono gli altri produttori a utilizzare piante madri clonate, selezionate dagli istituti pubblici e dalle imprese. Questo porta a una omogeneizzazione genetica. Al contrario noi continuiamo a utilizzare germogli selvatici presi dalla foresta vergine circostante e impollinati dalle api. Così proteggiamo la biodiversità del guaranà, utile a tutti i produttori del Brasile. Infine lavoriamo con gli specialisti di Forest Garden Production che ha certificato il nostro guaranà con il suo marchio di qualità ambientale. (Questo gruppo dello Sry Lanka lavora sulla riforestazione e la coltura conservativa, cioè un'agricoltura forestale che imita l'ambiente originario, ndr). !!pagebreak!!
Voi sotenete un progetto di denominazione di origine controllata per il guaranà. Perché?
Oggi in Europa diversi tipi di vino o di formaggio sono protetti dalla denominazione di origine controllata (Doc) perché esistono sotto molteplici forme e qualità, che sono il frutto di un'arte tradizionale e hanno un significato culturale forte, ed è quindi giusto distinguere. È lo stesso per il guaranà dei Satéré-Mawé. Come gli europei hanno imparato a gustare il caffè e a distinguere le sue differenti qualità, noi speriamo che sapranno apprezzare il guaranà. La denominazione di origine controllata garantirà la qualità del nostro prodotto e premetterà così di venderlo a un prezzo adeguato.
Ma non sarebbe più semplice depositare un brevetto?
Ottenere un riconoscimento Doc è un cammino più complesso di quello di un brevetto. (I marchi Doc non sono riconosciuti fuori dall'Europa, e la questione è un argomento di conflitto nell'Organizzazione mondiale del commercio, ndr). Oggi nessun prodotto in Amazzonia ha una “denominazione di origine controllata”, e l'idea stessa è ancora da sviluppare. L'intera questione è una vera foresta vergine! Noi facciamo lobbying per giungere a una legge brasiliana per la protezione dei prodotti tipici. Quanto a depositare un brevetto sul guaranà, per il significato culturale della pianta questo non avrebbe più senso, per me, che mettere un brevetto sulla testa di mio padre. Si dice spesso che i brevetti rappresentano una opportunità per lo sviluppo dell'Amazzonia, ma è falso: su questo terreno la battaglia contro le multinazionali è già persa. Credo al contrario che occorra limitare il campo di applicazione dei brevetti. In pratica, per contrastare la biopirateria, la Coiab sostiene un progetto pubblico nazionale di censimento di tutte le piante amazzoniche che sono oggetto di un sapere tradizionale. Dato che oggi è possibile brevettare solo le piante che non sono ancora state ufficialmente descritte, tutte quelle che entreranno in questo grande catalogo saranno protette. E taglieremo così l'erba sotto i piedi dei biopirati.
Quali sono gli altri progetti suggeriti dalla riuscita di quello del guaranà?
La Coiab deve ancora esaminare i progetti suscettibili di sviluppo. Quest'anno organizziamo deli incontri regionali tra indigeni e organizzazioni ambientaliste per definire le potenzialità della regione e a partire dai risultati di questi confronti la Coiab svilupperà questo o quel progetto. Ma si può fin d'ora citare un progetto di ecoturismo, nei dintorni di Santo Gabriel de Cachoeira, e un altro di utilizzo sostenibile della foresta nello stato di Acre.
Il governo del presidente Lula vi sostiene più del precedente?
Abbiamo riposto la nostra speranza in questo nuovo governo, soprattutto in quest'uomo uscito dalla classe povera. Però non ci fidiamo dei nuovi petista (membri del Partito dei lavoratori, il partito di Lula, ndr) che sono entrati nell'organizzazione dopo la sua vittoria alle elezioni.
L'esempio del governatore dello Stato di Roraima, al Nord dello Stato dell'Amazzonia, è rivelatore. La maggior parte del territorio del Roraima è terra indigena (in particolare ci vivono gli Yanomami e i Maculi) o dovrebbe essere riconosciuta come tale, se la Costituzione fosse applicata. Ci sono praticamente quasi solo indigeni sul territorio. Malgrado una lunga tradizione anti-indigena per tutto il suo mandato, malgrado assassinii, scontri per la questione della terra e un razzismo più o meno mascherato, il governatore ha recentemente aderito al Pt. Ma, ad ogni modo, noi non vogliamo dipendere da nessuno: vogliamo costruire la nostra autonomia per potere far sentire, alla fine, la voce degli indigeni.
(traduzione di Emilio Novati) !!pagebreak!!
Una liana con il potere del caffè
Il guaranà (Paullinia Cupana, varietà Sorbilis) è una liana legnosa, perenne, della famiglia delle Sapindacee, che, in foresta, cresce fino ad un'altezza di oltre 12 metri. Gli indios Mawé (oggi Sateré-Mawé), inventarono in tempi mitologici una semplice tecnica per trasformarla in arbusto in campo aperto e renderne così i frutti fruibili (nella foto qui a fianco). I semi, spolpati e torrefatti in forno d'argilla, sono artigianalmente pilati, modellati e trasformati in bastoni, e poi vanno grattuggiati in acqua. Col cuore del seme si fa la polvere: uso più versatile, ma soprattutto uso salutistico (può a sua volta essere trasformata in compresse). L'estratto (dal seme torrefatto intero, cuore più pellicola esterna, o soltanto da questa, una volta separata) è prevalentemente usato come base per sciroppi o sode.
Noto per l'alto contenuto di caffeina, il seme di guaranà torrefatto è ricco di fosforo, potassio e vitamine B1, B2, PP ed E; e di tannini che, ritardando l'assimilazione della caffeina, inibiscono l'effetto iper-eccitante e ne fanno essenzialmente un regolatore. Il guaranà, quando è prodotto naturale olistico, combatte lo stress psico-fisico, stimolando le funzioni cognitive, la memoria e favorendo, in generale, un atteggiamento positivo.
Sul ro delle Amazzoni c'è un santuario ecologico
Il “sateré-mawé éco ga'apypiat waraná mimotypoot sése”, ovvero il Santuario ecologico e culturale del Guaraná del popolo Sateré-Mawé, si trova giusto al centro dell'Amazzonia brasiliana. Ma non è segnato sulle carte: al suo posto, alla frontiera tra gli Stati dell'Amazonas e del Pará, si trova um perimetro di foresta grande quanto l'Umbria segnalato come Terra indígena omologata Andirà-Marau, che significa, letteralmente, terra dei pipistrelli e delle ranocchie.
Eppure esiste: da quando, otto anni fa, il Consiglio Generale della Tribú Sateré-Mawé decise che la via di salvezza dall'asservimento alla droga assistenzialista spacciata dalle oligarchie locali, la via di salvezza dalla minaccia di costruzione di strade per il deflusso verso il Rio delle Amazzoni di soia del Mato Grosso (sempre più probabilmente transgenica), e la via di salvezza dall'incubo di un ritorno delle prospezioni petrolifere degli anni '80, non poteva che essere quella di dividere col mondo l'unica loro autentica ricchezza: il guaranà.
Certo, il mondo non era rimasto ad aspettare e o stava rubando, il guaranà, da più di 300 anni. Ma per farsene che cosa?
Guaranà in lingua Sateré colta si dice wara, e loro dicono che significhi: “Il principio di ogni conoscenza”; ma ai Sateré la conoscenza che ne hanno ricavato i ladri sembra poca e Jecinaldo forse direbbe che rubare il guaranà è insensato come rubare il proprio padre.
Il Consiglio generale della tribù prova invece a “compartire” davvero la sua ricchezza in molti modi. Per esempio, salvaguardando dalla semplificazione il patrimonio genetico del guaranà nativo; facendo conoscere le modalità di consumo tradizionali di un guaranà coltivato nel rispetto di tradizioni e ambiente; e anche fondando Sapopema, la Società dei popoli per l'ecosviluppo dell'Amazzonia (dove, tra gli altri, da anni collaborano in armonia due collettività di produttori di guaranà, una indigena e l'altra cabocla, che esportano attraverso due diverse centrali di commercio equo italiane…); o trovando partner come Ctm Altromercato e le Botteghe del mondo che, con ricarichi molto bassi, tengono bassi anche i prezzi al consumatore e fanno sì che il guaranà venga venduto a meno di un terzo dei prezzi praticati al dettaglio altrove, per esempio sul mercato francese.
Maurizio Fraboni !!pagebreak!!
Guaranito, Tupan e gli altri: tutti i nomi del guaranà, in bottega e al super
Ha placato la sete equa dell'ultima estate. Ed è la novità più recente in fatto di prodotti con guaranà: si chiama “Guaranito”, e potrebbe diventare la risposta solidale alle bibite gasate delle multinazionali. Distribuito da Ctm Altromercato, in bottigliette da 27 centilitri o da un litro, contiene il 97% degli ingredienti del commercio equo, acqua esclusa. Al Guaranito si affiancano gli altri prodotti di Ctm a base di guaranà, ormai tradizionali, a partire dallo sciroppo concentrato, che viene utilizzato per bibite e granite ed è ottimo, con cola e lime, per preparare un “Cuba Libre” alternativo. Ma tra i prodotti Altromercato trovate anche i cioccolatini al latte Tupì, le caramelle, il guaranà in polvere e in compresse. Questi prodotti sono in vendita nelle botteghe del mondo e nei supermercati.
Anche Commercio Alternativo propone una linea al guaranà: il succo mango-guaranà in lattine da 25 centilitri prodotto da Preda Foundation nelle Filippine, le caramelle al miele e guaranà, le tavolette di cioccolato “Espezial”, la polvere e le compresse “Tupan”; nelle botteghe del mondo. Info: Ctm Altromercato, tel. 045-80.08.081, www.altromercato.it ; Commercio Alternativo, tel. 0532-77.48.11, www.commercioalternativo.it