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Finanziamenti ai produttori di armi nucleari: chi si tiene alla larga dalla distruzione di massa

© Laurentiu Morariu - Unsplash

109 istituzioni finanziarie hanno adottato regolamenti per restringere o escludere il supporto ad aziende coinvolte nello sviluppo, produzione, test, mantenimento o stoccaggio di armi nucleari. Le differenze sono profonde ma per “Don’t Bank on the Bomb” è un fatto positivo. I casi di Banca Etica, Intesa Sanpaolo e Unicredit

Sono 109 le istituzioni finanziarie nel mondo che hanno adottato regolamenti per restringere o escludere i finanziamenti a compagnie coinvolte nello sviluppo, produzione, test, mantenimento o stoccaggio di armi nucleari.

È il dato messo in evidenza da “Moving away from mass destruction: 109 exclusions of nuclear weapon producers”, “costruttiva” edizione del 2023 del rapporto redatto annualmente dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (International campaign to abolish nuclear weapons, Ican), organizzazione con base a Ginevra il cui obiettivo è mobilitare la società civile per mettere al bando le armi nucleari, insignita del premio Nobel per la pace nel 2017, insieme a Pax, la più grande realtà che nei Paesi Bassi si occupa di contrasto alla guerra e alla violenza, per lo straordinario lavoro che ha portato al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw). 

Il rapporto contiene due liste distinte: la “Hall of fame”, che enumera le 55 istituzioni che hanno escluso in toto qualsiasi coinvolgimento finanziario con aziende che producano armi nucleari, e i “Runners up”, le 54 realtà che ancora non hanno regolamenti onnicomprensivi e possono quindi ancora migliorare.

Nella prima categoria si trovano istituzioni con sede in Australia, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia, Svizzera. Nel nostro Paese, la sola realtà inclusa in questa lista è Banca Etica. Rispetto al 2022, sono sei i nuovi ingressi nella “Hall of fame”: Change finance (Stati Uniti), Ethius invest (Svizzera), Fisher funds (Nuova Zelanda), Northstar asset management (Stati Uniti), Sparebank 1 sr-bank (Norvegia) e Svenska Handelbanken (Svezia). La banca belga Vdk bank ha aumentato l’ambito di applicazione del suo regolamento sulle armi, passando quindi dalla seconda alla prima categoria.

Per rientrare nella “Hall of fame” ci sono criteri molto stringenti: solo quando le policy si applicano a tutti i produttori di armi nucleari, escludendoli da qualsiasi tipo di finanziamento, si soddisfano i requisiti per farne parte. Per questo motivo, dall’ultimo report, sono nove le istituzioni che sono state declassate dalla prima alla seconda categoria.  

Tra i “Runners up” rientrano invece quelle realtà che hanno fatto dei passi verso la restrizione degli investimenti sulle armi nucleari, anche se non escludono ogni coinvolgimento con i produttori. Queste istituzioni hanno sede in Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Irlanda, Italia, Malesia, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Svizzera. Due le banche italiane tra i “Runners up”: Intesa Sanpaolo e Unicredit.

I nuovi arrivi, in questa categoria, sono cinque: Bayerische landesbank (Germania), Caixabank (Spagna), Forma futura (Svizzera), Resona group (Giappone), Schweizerische nationalbank (Svizzera).

Essendo un insieme ampio, nel rapporto queste realtà hanno un voto da zero a quattro stelline, rispetto a quanto sono comprensivi i loro regolamenti; Intesa Sanpaolo, per esempio, per quanto presente, ha ancora molta strada da fare e si attesta su zero su quattro, mantenendo, nonostante alcune restrizioni, investimenti nell’industria nucleare. Unicredit ha un punteggio di poco superiore, con una sola stellina; il rapporto, infatti, mette in luce come il colosso faccia delle eccezioni per le compagnie la cui attività nel nucleare è limitata alla gestione dell’arsenale di “Paesi democratici”, che avevano queste armi prima della firma del  Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e che si muovono nei limiti dello stesso. Con questi interlocutori, il gruppo è disposto a mantenere la relazione, a patto che il supporto finanziario non sia direttamente collegato al nucleare.  

In totale, rispetto al 2022, le nuove aggiunte sono 11. In generale, negli ultimi 10 anni, il numero di istituzioni incluse nel report è aumentato in maniera costante. La prima edizione, nel 2014, contava appena 35 realtà che si ponevano sulla strada della rinuncia agli investimenti sul nucleare. Nel 2018, il numero era già cresciuto a 60; nel 2019 era arrivato a 77.

La quota delle istituzioni finanziarie dotate di policy in questo senso è cresciuta sopra i 100 dopo l’entrata in vigore, nel 2021, del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari (UN Treaty on the prohibition of nuclear weapons, Tpnw), approvato nel 2017 dalla Conferenza Onu che prevede tutta una serie di proibizioni sulla partecipazione da parte degli Stati ad attività legate alle armi nucleari, e il primo meeting dei firmatari tenutosi a Vienna il giugno del 2022 (ne abbiamo scritto qui). Il documento, infatti, è stato sempre più riconosciuto anche all’interno del settore finanziario, osservano Ican e Pax; questo fatto sarebbe dimostrato sia dal crescente numero di istituzioni che si sono dotate di regolamenti, sia dall’aumentata comprensività delle policy, a testimonianza della sempre maggiore consapevolezza delle banche sul loro ruolo nella produzione di armi di distruzione di massa. 

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