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Liberiamoci dalla minaccia nucleare. A Vienna c’è un’occasione storica

Alla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), premio Nobel per la Pace 2017, aderiscono oltre 630 organizzazioni della società civile di tutto il Pianeta © Erik McGregor, via flickr

A fine giugno si terrà il primo Incontro degli Stati parti del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Una settimana di iniziative per smontare la retorica della “deterrenza”, dar voce alla società civile e obbligare i governi al disarmo

Tratto da Altreconomia 249 — Giugno 2022

Nel mese di giugno, a Vienna, la comunità internazionale ha un’opportunità storica per proseguire nella messa al bando delle armi nucleari e della minaccia del loro utilizzo. L’occasione è il primo incontro degli “Stati parti” del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw), adottato nell’estate 2017 dalle Nazioni Unite ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021. Quando a causa dell’emergenza pandemica i promotori del meeting lo hanno rinviato di un anno -la tre giorni alla fine sarà dal 21 al 23 giugno-, non potevano immaginare che nel frattempo la Russia avrebbe invaso l’Ucraina.

“Questa guerra è la più recente e drammatica conferma di come la teoria della deterrenza nucleare non ci abbia affatto reso più sicuri ma ci abbia solo condotto sull’orlo di una catastrofe”, spiega ad Altreconomia Daniel Högsta, campaign coordinator di Ican, acronimo della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, insignita nel 2017 del premio Nobel per la Pace proprio per il ruolo di primo piano ricoperto nel sostegno e ottenimento del Trattato.

Dal 24 febbraio 2022, cioè dall’inizio dell’invasione dell’esercito di Mosca, l’angoscia legata alla minaccia di un conflitto nucleare ha contagiato milioni di persone, specialmente in Europa, in larga parte convinte fino a poco prima del falso mito della “stabilità” tra blocchi armati fino ai denti. Da attivista preparato che ha ben chiara, ormai da anni, la “terribile pericolosità” delle 12.705 armi nucleari in mano a un pugno di Stati, Högsta non ama però i toni apocalittici, tanto meno le analisi che riducono la questione a mera geopolitica e tattica militare. Preferisce riflettere con lucidità e dare spazio a percorsi che portino a risultati concreti, dando voce alla società civile e coinvolgendo al tavolo di confronto anche chi non ne vuole proprio sentire.

È anche per questo che Ican ha contribuito a organizzare alcuni importanti appuntamenti immediatamente precedenti all’Incontro di negoziazione tra gli Stati: il 18 e 19 giugno sarà la volta della “Ican conference for civil society”, aperta a Ong, associazioni e movimenti da tutto il mondo, cui seguirà la conferenza internazionale sugli impatti umanitari delle armi nucleari organizzata dal governo austriaco e infine un summit ad hoc rivolto ai parlamentari di tutti i Paesi del mondo, anche di quelli che non hanno intenzione di partecipare al Trattato o ne sono addirittura oppositori. “Vogliamo incoraggiare il dibattito tra i membri dei Parlamenti nazionali affinché possano ‘sfidare’ le posizioni di chiusura dei loro governi, conoscersi, lavorare insieme, definire un piano d’azione comune”, continua Högsta.

Il 28 aprile di quest’anno il fondo pensione dei medici danesi Lægernes Pensionskasse ha deciso di interrompere qualsiasi investimento a favore di società legate alla produzione di armi nucleari © icanw

L’invito è allargato perciò anche ai Paesi membri della Nato: fin dal principio l’alleanza atlantica ha ignorato e delegittimato il Tpnw -che pure è ratificato da 60 Paesi del mondo e supportato a vario titolo da 138-, arrivando “a sostenere istericamente” (parole di Högsta) che quest’ultimo potesse in qualche modo destabilizzare il Trattato di non proliferazione nucleare (Tpn), datato 1968, quando in realtà ne è la fioritura. Il muro del boicottaggio si è però incrinato: Germania e Norvegia hanno fatto sapere che parteciperanno ai lavori dell’Incontro in qualità di “osservatori”. Un primo passo per quella che Beatrice Fihn, direttrice esecutiva di Ican, definisce “un’occasione unica” per mettere a punto “un piano globale per il disarmo nucleare”. 

Sono 138 i Paesi del mondo a vario titolo “sostenitori” del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw), entrato in vigore il 22 gennaio 2021

L’eliminazione delle armi nucleari passa però prima dalla loro stigmatizzazione. È un punto centrale che Carlos Umaña, co-presidente dei Medici internazionali per la prevenzione della guerra nucleare (Ippnw, nata nel 1980 e Nobel per la Pace nel 1985), non si stanca di evidenziare. “Il potere nucleare sta nella sua retorica e nella sua distorta idea di prestigio. Pensateci: chi ha la bomba viene etichettato come ‘potenza’, per non parlare dell’idea che i fisici nucleari siano le persone più intelligenti del Pianeta -sorride amaramente-. Sono questi i simboli che dobbiamo decostruire, è questo paradigma tossico che dobbiamo superare”. Come? Umaña torna serio: “Smettendola di raccontare le bombe come asset militari strategici: sono strumenti costruiti per annientare istantaneamente intere popolazioni, produrre contaminazioni radioattive che durano nel tempo, causare il cancro, altre patologie, malformazioni alla nascita, devastare il clima, originare carestie. E, in casi estremi, determinare l’estinzione degli esseri umani. Dobbiamo mettere al centro le persone”. E fare i nomi di chi lucra: Ican elenca sul proprio sito le prime 25 aziende d’armi coinvolte nella produzione. Da Airbus a Boeing, da Lockheed Martin all’italiana Leonardo, o le grandi istituzioni finanziarie che le appoggiano (ai risparmiatori suggeriamo l’ultimo reportDon’t bank on the bomb” a cura di Pax e Ican). 

Germania e Norvegia parteciperanno come “osservatori” ai lavori del primo Incontro degli “Stati parti” del Trattato. Un segnale importante. E l’Italia?

L’approccio dell’Ippnw resta sempre quello della scienza. In vista del primo Incontro degli “Stati parti” a Vienna l’organizzazione dei medici ha messo a punto un briefing paper (pubblicato il 2 maggio) che riassume le conseguenze “indubitabili” per l’umanità delle armi nucleari e di una guerra atomica, anche se su scala ridotta. Si parla appunto di “catastrofe globale senza rimedio”, “minaccia esistenziale”, “effetti devastanti per il clima”. Il confronto tra le detonazioni su Hiroshima e Nagasaki dell’agosto 1945 e quelle potenziali di oggi fa impressione. La bomba da 12,5 chilotoni sganciata dagli Stati Uniti su Hiroshima rase al suolo la città, portò la temperatura superficiale a oltre 7mila gradi, devastò 76mila edifici (il 92% del totale), uccise almeno 100mila persone, ne ferì 75mila. Dei quasi 300 medici della città morirono in 298, quasi identica proporzione per gli infermieri (1.564 morti su 1.780 individui). “Non c’è antidoto alla bomba”, ricorda Umaña. Peggio andò a Nagasaki, dove la bomba da 21 chilotoni cancellò quasi sette chilometri quadrati, uccidendo all’istante 75mila persone e ferendone altrettante.

Oggi, ricorda l’Ippnw, la potenza esplosiva media in un arsenale è di 200 chilotoni (dieci volte Nagasaki), con punte di cinque megatoni (5mila chilotoni) per le armi a più lungo raggio. Un conflitto nucleare “regionale” -ad esempio tra India e Pakistan- che dovesse coinvolgere “appena” 100 bombe della potenza di Hiroshima, mette in guardia l’Ippnw citando il Goddard institute for space studies della Nasa, potrebbe “profondamente alterare il clima e l’agricoltura per oltre 25 anni”. Almeno due miliardi di persone si ritroverebbero alla fame e nessuna area del Pianeta, anche lontana, sarebbe risparmiata dagli effetti. I morti in poche ore sarebbero decine di milioni (tra 50 e 125 milioni a seconda degli scenari), surclassando il tragico bilancio dell’intera Seconda guerra mondiale. Ecco perché Umaña sottolinea la “disperata urgenza” di eliminare le armi nucleari.

La voce dei sopravvissuti e delle comunità colpite dai test nucleari conta e sarà protagonista a Vienna. Högsta pensa alle comunità indigene delle isole del Pacifico, o ai popoli dell’Algeria, del Kazakhstan, del Kiribati, delle Fiji: “Non è una teoria astratta ma un fatto di giustizia sociale, tantissime persone ne hanno già sofferto i drammatici effetti. E come per i cambiamenti climatici, sono coloro che hanno meno responsabilità a pagarne i conti più elevati”. “La conferenza sugli impatti umanitari è l’anima del Trattato, tutto è partito da lì -ricorda Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo, partner di Ican e che sarà presente a Vienna insieme al comitato Senzatomica-. Penso agli appuntamenti di Oslo (marzo 2013), Nayarit (febbraio 2014), Vienna (dicembre 2014), che hanno poi portato ai negoziati e all’adozione del Tpnw nel 2017”. 

E l’Italia? Ican classifica il nostro Paese come “Sostenitore delle armi nucleari”, non avendo firmato (e tanto meno ratificato) il Trattato. Non solo: è uno dei cinque Paesi membri della Nato ad accogliere sul proprio territorio, senza alcuna trasparenza, almeno 40 bombe nucleari B61 tra le basi militari di Ghedi (BS) e Aviano (PN). Il tutto mentre un sondaggio condotto da YouGov nel 2020 ha confermato che la stragrande maggioranza dei cittadini è favorevole all’adesione italiana al Tpnw nonché alla rimozione delle bombe dal territorio. Al di là di questa posizione, però, Ican, Rete pace e disarmo e Senzatomica lavorano (anche attraverso la promozione di risoluzioni parlamentari in questo senso) perché il governo italiano possa “ripensarci” e quanto meno partecipare, in qualità di osservatore, ai lavori di Vienna. 

Sono nove gli “Stati nucleari” del mondo che si rifiutano di aderire e di collaborare in maniera costruttiva al Tpnw: sono Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Cina, Francia, Israele, Corea del Nord, India e Pakistan

La mobilitazione lunga un mese che hanno in mente le organizzazioni della società civile italiana è “gioiosa e propositiva”. “Vogliamo trasmettere un messaggio di speranza e di ottimismo, non centrato solo sulle ricadute, altrimenti le persone si sentono inutili -spiega Daniele Santi, presidente di Senzatomica-. Non basta dire quante sono le armi e chi le ha in mano: occorre ribadire che non esistono mani sicure con cui maneggiarle, far conoscere di più il Trattato, alimentare le precondizioni per progetti di cooperazione internazionale a favore delle comunità colpite dagli impatti, comunicare l’importanza del disarmo”.

Anche per questo la mostra “Senzatomica. Trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari”, che ha già girato 80 città in Italia ed è stata visitata da oltre 365mila persone, di cui più del 40% giovani delle scuole elementari, medie e superiori, sarà inaugurata nella nuova versione a Roma entro fine anno e nel 2023 a Brescia (insieme a Bergamo). Sono tante piccole gocce che fanno la differenza. Il fatto che il Trattato sia boicottato soprattutto dai nove “Stati nucleari” -Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Regno Unito e Stati Uniti- oltreché dagli oltre 30 Paesi “ombrello”, non spaventa Umaña. “Gli Stati Uniti non hanno firmato il Trattato contro le mine antiuomo o la Convenzione contro le bombe a grappolo, eppure a livello mondiale la condanna morale verso questi ordigni è indiscussa. È lo stesso processo del Tpnw”. Che va completato il prima possibile.

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