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Crisi climatica / Attualità

“Fiamme nascoste”. Gli impatti del flaring della piattaforma di Eni in Mozambico

Una veduta satellitare del Coral South, la piattaforma galleggiante (Floating liquefied natural gas, Flng) per l’estrazione del gas fossile in acque ultra profonde al largo del Mozambico © ReCommon/PlaceMarks

L’impianto Coral South per l’estrazione e la liquefazione del gas è stato presentato dalla multinazionale italiana come un modello tecnologico e di sostenibilità. Ma le immagini satellitari ottenute da ReCommon mostrano come il sito abbia bruciato in torcia gas in eccesso in diverse occasioni, per una quantità pari al 40% del fabbisogno annuo del Paese africano, con conseguenze rilevanti sul clima e sull’ambiente e, in prossimità di centri abitati, sulle persone

La multinazionale fossile italiana Eni non avrebbe rivelato la portata reale delle emissioni di gas climalteranti prodotte dalle sue attività in Mozambico.

Lo denuncia il report “Fiamme nascoste” della Ong ReCommon, pubblicato il 26 marzo, che mostra gli effettivi impatti ambientali di Coral South Flng, l’impianto Eni per l’estrazione e la liquefazione del gas al largo del Paese africano. Attraverso immagini satellitari realizzate con la collaborazione di PlaceMarks e di dati pubblici disponibili è stato possibile stimare la quantità di gas bruciata dall’impianto tramite il cosiddetto flaring, la combustione “in torcia” di metano e di altri idrocarburi.

Il valore risulterebbe molto più elevato di quanto dichiarato dall’azienda: tra giugno e dicembre 2022 sarebbero stati consumati in questo modo 435mila metri cubi di gas, pari al 40% del fabbisogno annuo del Mozambico. Un dato che mette in dubbio non solo la sostenibilità ambientale della piattaforma ma anche le performance estrattive dell’impianto.  

“Il tanto declamato ‘fiore all’occhiello’ della cooperazione tra Italia e Mozambico non è mai stato tale: Eni ha provato a dissimulare le difficoltà operative e sottostimato gli effetti del flaring di Coral South, un progetto che non porta alcuna sicurezza energetica né all’Italia né tanto meno al Mozambico -spiega Eva Pastorelli di ReCommon-. In un Paese in cui violenze sistemiche e impatti ambientali sono legati anche alle attività dell’industria estrattiva, il contributo di Eni arriva in larga parte sotto forma di emissioni climalteranti. Uno scenario che rischia di deteriorarsi con il nuovo progetto Coral North Flng”.

Il Coral South è una piattaforma galleggiante (Floating liquefied natural gas, Flng) per l’estrazione del gas fossile in acque profonde al largo del Mozambico e una delle poche infrastrutture Flng in attività. L’impianto, operativo dal 2022, si occupa sia dell’estrazione del metano sia della sua liquefazione per la produzione di gas “naturale” (Gnl). Eni considera il progetto un successo tanto da volerlo replicare con uno analogo, denominato Coral North Flng. 

“Il successo del progetto Coral South, con la sua produzione costante e affidabile sin dal suo avvio, ha dimostrato la fattibilità del progetto e ha convinto le banche che stanno valutando la costruzione del progetto Coral North. Hanno visto che qualcosa sta funzionando”, aveva dichiarato Luca Vignati, Upstream director di Eni, alla African oil week, conferenza del settore energetico del continente che riunisce governi e aziende fossili e che si è tenuta a Città del Capo lo scorso ottobre.

Tuttavia, le analisi di ReCommon mettono in dubbio le dichiarazioni del rappresentante di Eni. E a fare da spia di problemi e maflunzionamenti sarebbe proprio il ricorso frequente al flaring. 

Una veduta satellitare della regione di Cabo Delgado in Mozambico dove si trova la piattaforma Coral South. L’elaborazione a cura di PlaceMarks (sviluppata su basemap Copernicus Sentinel L2a 2025) mostra gli impianti di lavorazione del gas, il giacimento e il perimetro delle differenti concessioni

Una problematica che se da un lato viene celata negli eventi pubblici è invece affrontata negli incontri a porte chiuse con i potenziali investitori. La mattina del 22 aprile 2024, i manager di Eni Rovuma Basin, la controllata che gestisce Coral South Flng, hanno ricevuto infatti a Maputo una delegazione di investitori coreani. Dall’incontro, avvenuto a porte chiuse, non è sembrato infatti trapelare lo stesso entusiasmo per le prestazioni di Coral South che avrebbe manifestato Vignati sei mesi più tardi.

“Nel contesto della tecnologia Flng è raro operare per più di cinque mesi senza incorrere in problemi significativi, come successo con Coral South -sono state le dichiarazioni dei dirigenti in risposta alle domande degli investitori su un calo di produzione del 22% avvenuto a gennaio 2024-. Due guasti agli impianti hanno intaccato la produzione di gennaio, le cause sono ancora da identificare”.

Un’immagine satellitare di Coral South Flng, il 12 ottobre 2022 © Maxar Technologies. Elaborazione grafica: PlaceMarks

Proprio in quei giorni, il 13 gennaio 2024 per la precisione, secondo le fotografie termiche satellitari analizzate da ReCommon, si sarebbe verificata un’intensa attività di flaring capace di bruciare in un’ora la stessa quantità di gas utilizzata da una famiglia italiana in otto anni e mezzo.

Non si tratta di un fenomeno isolato, secondo le stesse analisi altri episodi di flaring si sarebbero verificati in almeno altre sei occasioni tra il 2022 e l’inizio del 2023. Il 20 settembre 2022 la combustione del gas nella piattaforma ha raggiunto un’intensità doppia rispetto a quella di gennaio 2024.  

Un fenomeno che sembra non essere stato considerato nelle analisi di impatto ambientale del progetto, che si sono basate sulla convinzione che la Coral South avrebbe adottato una politica di “zero permanent flaring” ossia che avrebbe fatto ricorso a questa pratica il meno possibile. Nello studio d’impatto ambientale le emissioni complessive della piattaforma sono state valutate come “trascurabili”, stimate a sole 150mila tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e) all’anno. Partendo però dai dati della Banca Mondiale, ReCommon ha stimato che le sole emissioni associate ai casi di flaring avvenuti fra giugno e dicembre 2022 ammonterebbero a poco più di un milione di tonnellate di anidride carbonica equivalente pari all’11,2% delle emissioni annuali del Mozambico nel 2022 (circa 10 milioni di tonnellate equivalenti).  

In occasione dell’assemblea degli azionisti di Eni del 2024, a una domanda posta da ReCommon su possibili episodi di flaring relativi a Coral South, la società aveva risposto che “sono stati limitati alla fase di collaudo iniziale e agli sporadici casi di riavvio dell’impianto”. Un’affermazione in netta contraddizione rispetto a quanto rilevato a settembre 2023 da Galp energy, l’omologa portoghese di Eni, che all’epoca deteneva una quota del progetto Coral South.  

In un documento redatto per il Climate disclosure project (Cdp), organizzazione con base nel Regno Unito e tra le voci internazionali più accreditate in materia di rendicontazione degli impatti ambientali e sociali, Galp riporta l’impatto sull’ambiente delle proprie operazioni usando toni diversi da quelli di Eni: “La fase di messa in servizio di Coral South, in Mozambico, ha comportato flaring intenso con conseguente aumento temporaneo delle emissioni di livello uno durante il secondo semestre del 2022”, ovvero il lasso di tempo già menzionato come uno dei più caratterizzati dal fenomeno del flaring. 

Al centro della questione non vi è solamente la sostenibilità ecologica del progetto ma anche la transizione energetica del Mozambico e il rapporto tra l’Italia e il Paese africano. Un impianto fossile come quello di Eni, infatti, richiede un periodo di almeno 15 o 20 anni per un ritorno degli investimenti. Bloccando il Paese in un’economia fossile da cui trae pochi benefici. Una situazione che rischierebbe di aggravarsi nel caso dovesse venire approvata la costruzione di una seconda piattaforma, la Coral North, a partire dalle emissioni e dall’impronta ecologica dei due progetti.

In generale, le emissioni totali associate all’intera catena del valore di Coral South e del progetto gemello Coral North (non ancora realizzato e per cui Eni si accinge a trovare capitali sul mercato) durante i previsti 25 anni di operatività sarebbero pari a un miliardo di tonnellate di CO2e, cioè più di tre volte le emissioni annuali dell’Italia.

“La principale multinazionale italiana si appresta a bussare alla porta di finanziatori pubblici e privati per la realizzazione di Coral North, con SACE e Intesa Sanpaolo in prima fila, a cui si aggiungono Kemix e K-Sure in Corea del Sud -conclude Simone Ogno di ReCommon-. Ci chiediamo come queste istituzioni, dopo aver finanziato Coral South a seguito di una scarsa due diligence ambientale, possano fare altrettanto con il progetto gemello Coral North senza curarsi anche degli impatti associati al flaring”.  

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