Diritti / Approfondimento
I farmaci orfani mettono a dura prova i bilanci delle aziende sanitarie
I prodotti per la cura di malattie rare costituiscono una voce rilevante nei conti dei sistemi sanitari. Le aziende che li sviluppano beneficiano di condizioni favorevoli in regime di quasi monopolio. A fine 2019 l’Antitrust ha aperto un’indagine
“Il nostro ospedale ha 600 protocolli di trattamento. C’è molta concorrenza e costi contenuti sulle medicine di categoria medio-bassa. Invece particolari categorie di farmaci come gli orfani o quelli innovativi sono spesso venduti in condizioni di monopolio. È questo che mette a dura prova i bilanci di un’azienda sanitaria”. Cristina Puggioli è la direttrice della farmacia ospedaliera del Sant’Orsola di Bologna. Il suo è un punto di vista privilegiato sui farmaci orfani destinati alla cura delle malattie rare, una voce di spesa sempre più rilevante nei sistemi sanitari nazionali, con dinamiche di mercato recentemente oggetto di attenzione da parte dell’Autorità antitrust italiana. In Italia i farmaci orfani costituiscono l’8% della spesa sanitaria, 1,6 miliardi di euro ogni anno, secondo il rapporto OsMed 2018 redatto da Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco.
Per lungo tempo le malattie rare sono state ignorate dalle grandi aziende farmaceutiche, concentrate sulla cura di mali con un gran numero di pazienti. Sviluppare un farmaco riguardante poche persone, in questo caso una persona su duemila, secondo la definizione di malattia rara data dal diritto comunitario non era considerato remunerativo. È stato per ovviare a questo problema che già a inizio anni Ottanta gli Stati Uniti hanno creato un sistema volto a incoraggiare la ricerca e sviluppo su questo tipo di malattie, concedendo agevolazioni economiche e fiscali alle case farmaceutiche. L’Unione europea, sulla scorta dell’Orphan Drug Act americano del 1983, si è dotata di una legislazione apposita nel 2000.
8% della spesa sanitaria italiana è rivolto all’acquisto dei farmaci orfani
Questo sistema, in origine virtuoso, è oggi talmente vantaggioso per le aziende che, come scrive nel suo libro “La cura della concorrenza” Luca Arnaudo, docente presso l’università Luiss Guido Carli ed esperto in diritto farmaceutico, “le percentuali di successo di portare un farmaco orfano sul mercato sono assai più elevate di quelle mediamente riconosciute allo sviluppo di un farmaco comune, così come il ritorno sugli investimenti”.
In Europa la qualifica di farmaco orfano è assegnata dall’Ema (European medicine agency). Questo status, valido in tutti i Paesi europei, comporta per l’azienda produttrice un diritto di esclusiva di dieci anni, che si somma ai normali diritti brevettuali di 20 o 25 anni riconosciuti ai farmaci. Prima che questo lasso di tempo sia trascorso nessun prodotto equivalente può entrare in commercio, riducendo così al minimo la possibilità di concorrenza e quindi l’abbassamento dei prezzi. Proprio la sostenibilità nel lungo periodo dei costi dei farmaci orfani, giunti a livelli esorbitanti, pone problematiche sempre più stringenti ai sistemi sanitari nazionali, che hanno scarse capacità di azione: poter operare in condizioni di esclusiva per un lungo periodo assegna alle case farmaceutiche un potere contrattuale molto forte che riduce, talvolta annulla, le capacità di negoziazione delle autorità nazionali. In Italia dove l’80% della spesa farmaceutica è rimborsato dal Servizio sanitario nazionale, il prezzo di un farmaco è normalmente stabilito attraverso una trattativa tra aziende e l’Aifa, un ente pubblico che tratta sulla base di criteri come il rapporto costo/efficacia e rischio/beneficio.
In Europa la qualifica di farmaco orfano è assegnata dall’Ema. Questo status comporta per l’azienda produttrice un diritto di esclusiva di 30/35 anni
Negli anni le tattiche negoziali di Aifa si sono dimostrate efficaci tanto che, certifica uno studio della Commissione europea del 2016 (ultimi dati disponibili), l’Italia ha i prezzi dei farmaci più bassi della media Ue. Se questo è vero per il mercato delle medicine normali il discorso cambia per quello dei farmaci orfani, scosso dalla recente inchiesta dell’Agcm, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Nell’ottobre del 2019 l’Autorità ha aperto un’istruttoria sulla condotta di Leadiant Biosciences Spa, società di diritto britannico, riguardo la vendita nel nostro Paese dell’Acido chenodesossicolico, farmaco che cura una patologia della bile chiamata CTX. Secondo la ricostruzione, fino a tre anni fa il farmaco per la cura di questa malattia era preparato dalla farmacia dell’ospedale di Siena in forma galenica, cioè direttamente all’interno dell’ospedale senza bisogno dell’autorizzazione all’immissione in commercio prevista per i farmaci a preparazione industriale. Il prezzo della terapia era di appena 730 euro all’anno. Questo meccanismo ha assicurato le forniture fino al 2016, anche se già dieci anni prima Ice Spa, azienda chimica italiana, aveva deciso di interrompere la produzione del principio attivo necessario alla preparazione del farmaco. Esaurite le scorte e venuta meno la fornitura dell’ospedale toscano, le aziende sanitarie furono costrette ad acquistare una medicina contenente lo stesso principio attivo in Germania a un prezzo di circa 36mila euro all’anno per ogni terapia. Qui entra in gioco il gruppo Leadiant, che già vendeva il farmaco in Germania attraverso una propria controllata. Tra il 2016 e 2017 il gruppo ottiene dall’Ema la qualifica di farmaco orfano per l’Acido chenodesossicolico, ritira dal commercio il farmaco tedesco equivalente e inizia a trattare con i vari Paesi europei. In Italia il prezzo richiesto, non reso pubblico, è giudicato da Aifa “eccessivamente oneroso ed economicamente ingiustificato”. Allo stato attuale le indagini ravvedono un abuso di posizione dominante perché Leadiant, oltre a chiedere un prezzo alto in condizione di monopolio, avrebbe concluso con Ice Spa, l’azienda che forniva all’ospedale di Siena il principio attivo, un contratto di fornitura esclusiva, impedendo alle farmacie ospedaliere di produrre il farmaco in forma galenica come nel passato con ovvio risparmio per il Ssn. Il termine della fase istruttoria è previsto per il 31 ottobre 2020.
Secondo l’Orphan Drug report 2019, la spesa globale per farmaci orfani, oggi ferma a poco meno di 140 miliardi di dollari, salirà a 242 miliardi nel 2024
In Italia quasi la metà dei farmaci orfani in commercio è destinato alla cure oncologiche come leucemie e linfomi. Poi ci sono le malattie genetiche, i disturbi ormonali, le malattie infettive e i trapianti: cicli di trattamenti da decine -se non centinaia- di migliaia di euro che un sistema sanitario non può non assicurare, considerate le sfide attuali. La medicina contemporanea, infatti, affronta malattie multiformi. Non più entità uniche ma patologie che, sempre più spesso, si differenziano in tante sottocategorie riguardanti piccoli gruppi di pazienti. In questa evoluzione si inserisce una dinamica di distorsione specifica del mercato dei farmaci orfani, il salami slicing, che consiste nello sfruttare le differenze, anche minime, di una stessa malattia. Le aziende creano farmaci appositi per tutti i sottogruppi della stessa malattia, chiedendo per ognuno di essi la qualifica di farmaco orfano e le relative agevolazioni. Il problema è che questa tecnica, utilizzata per meri fini commerciali, spesso è funzionale a realizzare un’“orfanizzazione artificiosa”, riferendosi a patologie non certo rare come il tumore al polmone, uno dei più diffusi in entrambi i sessi.
80% della spesa farmaceutica in Italia è rimborsato dal Ssn
L’incognita principale per analisti ed esperti rimane quello della sostenibilità dei costi. Secondo l’Orphan Drug report 2019 elaborato da Evaluate, una società indipendente specializzata in sanità, la spesa globale per l’acquisto di farmaci orfani, oggi poco meno di 140 miliardi di dollari, salirà a 242 miliardi nel 2024. Finora i diritti di esclusiva, le agevolazioni fiscali e un potere abnorme nel dettare i prezzi di un farmaco sembrano non aver soddisfatto le richieste di profitto delle aziende farmaceutiche.
“Credo sia necessario un ripensamento profondo del metodo d’incentivi previsto per i farmaci orfani -continua il professor Arnaudo- la normativa introdotta prima negli Usa e poi in Europa è stata molto importante perché ha colmato un vuoto nella ricerca sulle malattie rare. Oggi però è molto più facile individuare questo tipo di patologie e si può arrivare a un disegno quasi personalizzato della malattia, anche se sono mali che variano molto poco. Il rischio è che il fenomeno dei farmaci orfani vada fuori controllo”. Gli Stati Uniti, il Paese al mondo che spende più soldi in medicine, apripista nella regolamentazione del settore farmaceutico, nel 2017 ha iniziato a rivedere al ribasso le condizioni di favore per i farmaci orfani, riducendo le agevolazioni fiscali alla ricerca e sviluppo da 50% al 25%. “È prevedibile che la decisione americana avrà delle ricadute a cascata. L’Unione europea, in futuro, potrebbe prendere decisioni simili”, conclude Arnaudo.
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