Crisi climatica / Attualità
Emergenza climatica: l’ultimo report dell’Ipcc è un “atlante della sofferenza umana”
A fine febbraio il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite ha pubblicato la seconda parte del Sesto rapporto di valutazione: sottolinea con forza l’esigenza di mettere a punto urgentemente strategie di adattamento efficaci. E avverte: la finestra per intervenire è sempre più stretta
“Le mezze misure non sono più una possibilità”. Bastano queste poche parole, di Hoesung Lee, presidente dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), per riassumere il senso delle oltre tremila pagine della seconda parte del Sesto rapporto di valutazione dell’organismo delle Nazioni Unite, approvato il 27 febbraio, che si concentra su “Impatti, adattamento e vulnerabilità” agli effetti del cambiamento climatico. “Questo rapporto è un terribile avvertimento sulle conseguenze dell’inazione -ha detto Hoesung Lee durante la presentazione, il 28 febbraio-. Mostra che il cambiamento climatico è una minaccia grave e crescente per il nostro benessere e per un Pianeta sano. Le nostre azioni di oggi determinano il modo in cui le persone si adattano e la natura risponde ai crescenti rischi connessi ai cambiamenti climatici”.
Con un riscaldamento globale di 1,5 gradi centigradi nei prossimi decenni -avverte l’Ipcc- il mondo affronterà molteplici rischi climatici inevitabili. Il superamento, anche temporaneo, di questo livello di riscaldamento provocherà ulteriori gravi impatti, alcuni dei quali saranno irreversibili. L’aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni sta già superando le soglie di tolleranza di piante e animali, causando mortalità di massa (in particolare tra alberi e coralli). Mentre gli eventi meteorologici estremi sono sempre più difficili da gestire e hanno esposto milioni di persone a una condizione di grave insicurezza alimentare e idrica, soprattutto in Asia, Africa, America centrale e meridionale, nelle piccole isole e nell’Artico.
“Ho letto molti report scientifici in vita mia, ma nulla come questo: è un atlante della sofferenza umana e un’accusa schiacciante nei confronti delle leadership sull’azione climatica”, ha affermato il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, puntando il dito contro l’inazione della classe politica (definita “criminale”) e le responsabilità dei grandi inquinatori indicati come “i responsabili dell’incendio che sta bruciando la nostra unica casa”. La scienza, ha aggiungo Guterres, ci dice che il mondo deve ridurre le proprie emissioni del 45% entro il 2030 e arrivare all’obiettivo net zero entro il 2050: eppure, in base alle previsioni attuali, le emissioni globali cresceranno quasi del 14% entro la fine del decennio. Per scongiurare questo scenario (che annullerebbe le possibilità di contenere l’aumento delle temperature a 1,5 gradi) Guterres ha lanciato un appello “ai Paesi sviluppati, alle Banche di sviluppo e agli investitori privati a dare vita a coalizioni che sostengano le economie emergenti a porre fine all’uso del carbone” oltre a investire con più forza nelle strategie di adattamento che si riveleranno sempre più cruciali per tutelare non solo la salute degli abitanti del Pianeta e gli ecosistemi, ma anche l’economia e le infrastrutture.
L’Ipcc sottolinea con forza l’esigenza di mettere a punto urgentemente strategie di adattamento e azioni efficaci per evitare una crescente perdita di vite umane, biodiversità e infrastrutture. Le soluzioni per adattarsi al cambiamento climatico esistono e questo report le analizza in profondità: “Ecosistemi in salute sono più resilienti di fronte ai cambiamenti climatici e forniscono servizi essenziali per la vita, come cibo e acqua -ha dichiarato il co-presidente del gruppo di lavoro II dell’Ipcc, Hans-Otto Portner-. Ripristinando gli ecosistemi degradati e conservando efficacemente ed equamente il 30-50% degli habitat terrestri d’acqua dolce e marini, le società umane possono trarre beneficio dalla capacità della natura di assorbire e immagazzinare carbonio. In questo modo possiamo accelerare il progresso verso lo sviluppo sostenibile, ma sono essenziali finanziamenti adeguati e sostegno pubblico”.
Tuttavia, evidenzia il report dell’Ipcc, la finestra temporale per agire si sta facendo sempre più stretta. Il rapporto, infatti, afferma chiaramente che realizzare un modello di sviluppo resiliente al clima rappresenta già adesso, agli attuali livelli di riscaldamento, una sfida complessa. E questo obiettivo sarà ancora più difficile da raggiungere se il riscaldamento globale dovesse superare la temperatura di 1,5 gradi centigradi. E, in alcune regioni del Pianeta, sarà impossibile se il verrà superata la quota di 2 gradi centigradi. “In molte regioni la capacità di adattamento è già notevolmente limitata -osserva Piero Lionello, professore ordinario di Fisica dell’atmosfera e oceanografia all’Università del Salento e tra gli autori del report dell’Ipcc-. Se l’aumento della temperatura rispetto ai valori dell’epoca pre-industriale supererà 1,5 gradi, questa capacità di adattamento risulterà ancora più limitata e avrà un’efficacia ancora più ridotta. Maggiore sarà il riscaldamento del Pianeta, più limitata e costosa sarà la capacità di adattamento”.
L’Europa e il bacino del Mediterraneo non sono immuni dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Per il continente europeo l’Ipcc ha identificato quattro categorie di rischio: ondate di calore su popolazioni ed ecosistemi, si prevedono perdite sostanziali di produzione agricola per la maggior parte delle aree europee (che non saranno compensate dai guadagni attesi per l’Europa settentrionale), rischi di scarsità di risorse idriche e rischi prodotti da maggiore frequenza e intensità di inondazioni. Particolarmente allarmante la situazione nella regione del Mediterraneo “che si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi maggiormente rispetto alla media globale, particolarmente in estate: la regione diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione delle precipitazioni e dell’aumento dell’evapotraspirazione -ha spiegato Lionello-. Le siccità sono diventate più frequenti e intense. La superficie del Mediterraneo si è riscaldata fra 0,29 e 0,44 gradi centigradi per decennio dall’inizio degli anni Ottanta. Sono aumentati sia l’acidità delle acque sia il livello del mare, che è cresciuto di 1,4 millimetri all’anno nel corso del XX secolo: anche se verranno messi in atto comportamenti virtuosi per contenere le emissioni l’innalzamento dei livelli del mare non si arresterà”. In uno scenario ad alto livello di emissioni, avverte Ipcc, l’innalzamento del Mediterraneo potrà raggiungere valori prossimi al metro nel 2100.
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