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Economia / Attualità

Contrasto all’elusione fiscale: i veti che bloccano l’Unione europea

La Commissione e il Parlamento europeo vogliono limitare il “dumping fiscale” che agevola le multinazionali. Ma il Consiglio europeo è bloccato. Ecco perché l’ICRICT, commissione indipendente di economisti ed esperti fiscali, ha scritto una lettera aperta a Jean-Claude Juncker

Il veto di Lussemburgo, Irlanda, Cipro e Malta, tra gli altri, sta bloccando le proposte di riforma europee che puntano a smontare le “strategie di dumping fiscale” tra Stati, a partire da quella che riguarda una base imponibile comune e consolidata per l’imposta sulle società (Common Consolidated Corporate Tax Base “CCCTB”). La denuncia arriva dalla “Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali” (ICRICT, www.icrict.com), gruppo “senza scopo di lucro” di economisti ed esperti fiscali – da Jose Antonio Ocampo (ex ministro delle Finanze della Colombia, già sottosegretario Onu) a Joseph Stiglitz (Columbia University), da Thomas Piketty (Paris School of Economics) a Eva Joly (parlamentare europea) e Wayne Swan (ex ministro delle Finanze dell’Australia)- impegnati a promuovere il “dibattito sulla riforma della tassazione internazionale delle società, nell’interesse pubblico mondiale”.

Davanti all’ennesima impasse del Consiglio europeo in tema di base imponibile comune e consolidata per le multinazionali, in particolare digitali, proposta dalla Commissione e sostenuta a marzo di quest’anno dal Parlamento europeo, i membri dell’ICRICT hanno scritto una lettera aperta l’1 ottobre 2018 destinata al presidente Jean-Claude Juncker, lussemburghese, per chiedergli uno scatto in avanti verso la giustizia fiscale. Non è una cosa banale: come ricorda ICRICT, infatti, ogni anno i Paesi dell’Unione europea perdono tra i 50 e i 70 miliardi di euro in entrate a causa dell’elusione fiscale da parte delle multinazionali. E se si considerano anche le perdite dovute a regimi speciali con bassa imposizione fiscale, la cifra potrebbe arrivare a 160-190 miliardi di euro all’anno.

“Appoggiamo pienamente la proposta poiché siamo convinti che la tassazione unitaria delle imprese multinazionali sia il modo più efficace per affrontare le strategie di evasione fiscale utilizzando i prezzi di trasferimento”, si legge nella missiva. In estrema sintesi, la CCCTB dovrebbe “consentire di sommare gli utili di ciascuna multinazionale in tutti i Paesi dell’Ue in cui opera, e poi ripartirli in base a una formula che rifletta le sue effettive attività economiche”. Regole eque e prevedibili che sono fumo negli occhi per Google e Facebook, per citare alcuni casi classici di triangolazione con l’Irlanda.

Il destinatario formale è Juncker ma l’interlocutore è il Consiglio europeo. Il motivo e il contesto li riassume Tommaso Faccio, al vertice del segretariato dell’ICRICT. “La cornice in cui si inserisce la lettera è quella del problema dell’elusione fiscale delle multinazionali che si è manifestato particolarmente nel 2012 e negli anni seguenti e che ha portato alla costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc dell’OCSE”. I risultati però non sono stati soddisfacenti. “Anche perché -spiega Faccio- la soluzione di uno dei cardini del problema dell’elusione fiscale, rappresentato dalle aziende digitali, è stata posticipata dal gruppo di lavoro in sede OCSE al 2020”.

A quel punto, nel 2016, si è mossa la Commissione europea con una propria proposta. “Commissione e Parlamento hanno cercato di trovare una soluzione alla distorsione del mercato, della concorrenza tra aziende e più in generale dell’elusione fiscale. Hanno formulato una proposta sulla base imponibile comune e consolidata per l’imposta sulle società (la ‘CCCTB’) che ora è passata al Consiglio europeo. Il problema è che nel Consiglio la decisione in tema fiscale deve essere adottata, al momento, all’unanimità. E i paradisi fiscali europei, come Irlanda, Malta, Cipro, Lussemburgo, per citarne alcuni, frenano l’accordo tra i 28 Stati”.

Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker – © European Union , 2014 / Jean-François Badias

Ecco la ragione della lettera-incoraggiamento. Che al suo interno contiene anche un’indicazione procedurale per superare l’ostacolo dell’unanimità. “Alla Commissione e al suo presidente Jean-Claude Juncker -che siede nel Consiglio europeo, pur senza diritto di voto e senza potere di influenzare la discussione- ICRICT chiede di dare seguito al discorso sullo stato dell’Unione del 12 settembre 2018”, continua Faccio. “Ricordando in particolare che esiste un metodo per superare l’unanimità nelle scelte fiscali attraverso l’articolo 116 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea laddove sussistano distorsioni del mercato interno”.

Tra i nodi per individuare con precisione le attività di una multinazionale c’è quello di circostanziarne la “stabile organizzazione”. “Perché ci sia un’imposta su un’impresa deve sussistere una ‘stabile organizzazione’ -chiarisce Faccio- creata qualora ci siano uffici, attività specifiche in un determinato Paese. Nel caso delle aziende digitali, secondo le attuali Linee guida dell’OCSE, la ‘stabile organizzazione’ non si presenta qualora la vendita del prodotto digitale non venga contabilizzata nel Paese in cui si opera. Accade quindi che Google, per fare un esempio, vende un servizio di pubblicità a un’azienda inglese fatturandolo però in Irlanda e ‘trascinando’ lì i profitti. Ecco perché ampliare e dettagliare la definizione di ‘stabile organizzazione’, soprattutto per le multinazionali digitali, comporterebbe la fatturazione di tutte le loro attività nei Paesi dove operano realmente”.

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