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È la rendita il problema dell’abitare a Milano. Un po’ di ordine sulle proposte dei costruttori

© Chris Barbalis - Unsplash

Per le tre principali associazioni di categoria di proprietari, sviluppatori e industriali milanesi la crisi abitativa in città sarebbe un “fallimento del mercato” dovuto alla carenza di offerta. La soluzione? Costruire di più, remunerando gli investimenti e rimuovendo qualsiasi ostacolo. Una ricetta vecchia e fallimentare che si scontra con decenni di ricerca in campo urbanistico e abitativo. Ecco perché

La crisi abitativa è un fenomeno che coinvolge quasi tutte le maggiori città europee, e in Italia si sta estendendo anche a molte città medie e ai territori del turismo. Indice di questo problema sono senz’altro le manifestazioni più estreme, come gli sfratti delle famiglie più povere e vulnerabili, ma ormai la difficoltà di accedere a un’abitazione in locazione si estende anche al ceto medio nelle città dove lavoro, turismo e servizi sono più elevati (Colombarolli, 2024), con conseguenze come l’espulsione di individui e famiglie e la difficoltà di mettere in pratica la mobilità lavorativa.

A fronte della stagnazione demografica e del dato strutturale per cui una abitazione su tre è “non occupata” (9,6 su 35,2 milioni secondo l’Istat), è difficile sostenere che l’attuale crisi abitativa sia dovuta alla carenza di abitazioni -come era stato invece nel Dopoguerra, soprattutto nelle città industriali-. Anche a Milano, dove la proporzione è molto minore (il 13,5% del totale), comunque 109.404 abitazioni risultano non occupate (dato Istat) e ci sono ampie evidenze di sottoutilizzo del costruito, oltre che un aumento molto significativo del numero di abitazioni usate per turismo invece che per abitazione (Offtopic).

Seguendo la letteratura scientifica, possiamo affermare che la crisi abitativa attuale sia una crisi di “abbordabilità”, dovuta cioè alla sproporzione tra il costo delle abitazioni nel mercato e le risorse disponibili in termini di redditi e salari.

Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio casa abbordabile (ideato e promosso da Consorzio Cooperative Lavoratori, Libera Unione Mutualistica con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbanidel Politecnico di Milano), nella Milano del post-Expo il numero di permessi di costruire residenziali è cresciuto significativamente, ma contemporaneamente i prezzi delle abitazioni sono cresciuti tre volte più velocemente dei redditi, e quasi dieci volte più velocemente delle retribuzioni delle principali categorie lavorative (Bricocoli e Peverini, 2024).

In questo periodo, inoltre, la produzione di alloggi pubblici è stata quasi insignificante (solo l’1,1%) e la quota di alloggi prodotti da cooperative si è ridotta significativamente nella fase del post-Expo, delineando uno scenario sempre più dominato dagli operatori privati for profit.

Grafico estratto dal report dell’Osservatorio casa abbordabile (2023) “Non è una città per chi lavora. Costi abitativi, redditi e retribuzioni a Milano”, scaricabile gratuitamente quì: https://oca.milano.it/report-2023/. OCA è ideato e promosso da Consorzio Cooperative Lavoratori, Libera Unione Mutualistica con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbanidel Politecnico di Milano

Eppure a Milano si costruisce eccome. Prendendo solo il quartiere Rubattino/Ortica, ad una rapida stima risultano in costruzione oltre mille nuovi alloggi e quasi seicento camere in residence per studenti e lavoratori. Il punto è che le abitazioni, sia esistenti sia nuove, sono sempre meno abbordabili per chi conta sul solo reddito da lavoro (ibidem) e che le abitazioni in affitto a basso costo scarseggiano sempre, soprattutto nei nuovi interventi residenziali non di carattere sociale (cioè la maggior parte).

Le poche abitazioni in affitto sociale costruite negli ultimi anni sono state realizzate solo laddove il Comune è riuscito a negoziarle con gli operatori facendo leva sulle convenzioni urbanistiche e i requisiti del Piano regolatore (Nomisma, 2021).

Grafico estratto dal report dell’Osservatorio casa abbordabile (2023) “Non è una città per chi lavora. Costi abitativi, redditi e retribuzioni a Milano”, scaricabile gratuitamente quì: https://oca.milano.it/report-2023/. OCA è ideato e promosso da Consorzio Cooperative Lavoratori, Libera Unione Mutualistica con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbanidel Politecnico di Milano

Tra le principali ragioni dell’aumento dei costi e della diminuzione di disponibilità di “case abbordabili” per i ceti medi e bassi ci sono la cosiddetta “finanziarizzazione” del settore immobiliare (Aalbers, 2019) e il predominio dell’interesse della rendita finanziaria e immobiliare (Pizzo, 2023) sul principio costituzionale dell’uso sociale per patrimonio immobiliare.

Si tratta di fenomeni che interrogano non solo il legame sociale tra società e abitare, ma anche tra società e capitalismo, posto che una casa è un requisito fondamentale per poter vivere e lavorare. Ci sono naturalmente anche altre ragioni, come la competizione non regolamentata dell’uso turistico sulle abitazioni, alimentata da piattaforme come Airbnb (Tonetta, 2020), e l’accentramento delle opportunità lavorative e degli investimenti su poche città attrattive (Moscarelli e Peverini, 2024).

Vogliamo però concentrarci sul ruolo della finanziarizzazione del “bene casa”, in quanto la linea argomentativa tipica dei seguaci dell’economia liberale è che la crisi abitativa sia un “fallimento del mercato” dovuto alla carenza di offerta e che la soluzione sia costruire di più, con l’ovvio corollario che per farlo si debbano remunerare gli investimenti finanziari con opportuni rendimenti e rimuovere tutti gli ostacoli che mettano in discussione o riducano suddetti rendimenti.

© Kadir Celep – Unsplash

Gli ultimi quarant’anni hanno visto infatti una svolta del capitalismo che è stata definita “neoliberista” in quanto tutta improntata alla “liberazione” delle forze del mercato tramite la demolizione di qualunque ostacolo di tipo fiscale e regolativo o di controllo pubblico.

La “finanziarizzazione” degli immobili, strettamente connessa al trattamento delle abitazioni come asset, è direttamente saldata a questa corrente di pensiero, che ha politicamente trasformato l’impianto keynesiano dell’economia, ovvero quel modello che aveva generato la maggiore prosperità e ricchezza condivisa nella storia dell’umanità, verso una maggiore competizione e disuguaglianza.

Sulla scorta di una narrazione che prevedeva maggiore libertà economica, i sistemi economici sono andati modificandosi, intensificando le libertà di poche migliaia di persone a discapito della netta maggioranza, che si vede oggi costretta a dover rinunciare a molti diritti per i quali si era combattuto in passato come il lavoro, la sanità e appunto la casa.

Evidenze di questo processo sono il depotenziamento dell’intervento dello Stato, spesso a supporto dei mercati finanziari come avvenuto nella crisi dei mutui subprime del 2007, e l’annichilamento di un’autonomia teorica e pratica dei partiti politici nel riorganizzarsi e avviare trasformazioni socioeconomiche senza il consenso dell’economia, e nella fattispecie delle élite finanziarie. Le norme urbanistiche e amministrative, in particolare, sono state scientemente e precisamente modificate per rendere potenzialmente infinita l’accumulazione di capitale fondiario e generando una potente asimmetria tra rendita e finanza immobiliare (a tutti i livelli) versus accesso alla casa.

Recentemente, presso la sede di Assimpredil Ance, il professor Carlo Cottarelli dell’Università Cattolica ed ex senatore della Repubblica ha presentato un rapporto sulla crisi abitativa a Milano commissionato da Aspesi, Assimpredil Ance e Confindustria Assoimmobiliare, le tre principali associazioni di categoria di proprietari, sviluppatori e industriali, in vista della stesura del prossimo piano regolatore del capoluogo lombardo e del “piano casa” in elaborazione dal nuovo assessore alla Casa.

Il rapporto, per l’appunto, parte dall’assunto che quella milanese sia una crisi di offerta (insufficiente a rispondere alla domanda di casa) e avanza alcune proposte che vanno verso un’ulteriore liberalizzazione del settore immobiliare, e in particolare delle politiche abitative, in forte accordo con la linea dei promotori del rapporto.

Tra le proposte vi è ad esempio la richiesta di rivedere la previsione di Edilizia residenziale sociale (Ers) negli interventi oltre i 10.000 metri quadrati, come già stabilito dal Piano di governo del territorio (Pgt).

L’impianto è criticabile sotto vari aspetti: Milano è la città metropolitana con il più alto numero di abitazioni recenti (costruite post-2016, fonte Istat), e i numeri ci dicono che almeno negli ultimi due decenni la produzione di edilizia sociale e la tassazione sulla rendita fondiaria sono state particolarmente basse.

Ne è esempio il fatto che nel Bilancio 2022, la somma di “oneri di urbanizzazione” (primaria e secondaria, 33,72 milioni) e “contributo per costo di costruzione” (27,95 milioni) ammontava a circa 60 milioni di euro, 20 milioni di meno del solo affitto della galleria Vittorio Emanuele II, mentre le “opere a scomputo” insistenti nei sei milioni di metri quadrati identificati dai PII nella prima fase espansiva della città (2000-2007) hanno cubato per appena 531 milioni di euro (Mazza, 2007).

© Cheuk Wai Lee – Unsplash

Tali esempi confermano le ricerche condotte dal professor Roberto Camagni, uno dei più autorevoli economisti urbani italiani, sulla comparazione tra oneri di urbanizzazione a Milano e Roma (2016) che rilevavano come la media ambrosiana fosse appena dell’8% mentre i rendimenti delle operazioni immobiliari si attestavano oltre il 25%.

Sempre Camagni sostiene che questa bassa tassazione è ingiusta in quanto quell’incremento non è realizzato dai privati ma dalla città nel suo complesso, ma è anche antieconomica perché non permette al settore pubblico di fornire i servizi e le infrastrutture necessarie al funzionamento della città, inclusa l’edilizia sociale.

Se al pubblico mancano le risorse, esso non potrà fornire servizi: non se ne esce. Sempre Camagni riporta il caso di Monaco di Baviera in cui il prelievo sulla rendita di trasformazione è tra il 27% e il 31% rispetto all’8% di Milano (Camagni, 2016) e lamenta come l’introduzione della norma nazionale sul “contributo straordinario” dello “Sblocca Italia” nel 2014 (art. 17 del DL 12.9.2014 n. 133), che avrebbe potuto portare il livello della tassazione a un più “corretto” 25%, sia rimasta inattuata in molte Regioni, compresa la Lombardia (Camagni, 2019).

A Milano (e in Italia più in generale) dunque non solo la rendita immobiliare è stata avvantaggiata da una tassazione sostanzialmente bassa, sia in merito al regime dei suoli sia rispetto a quello dei fondi immobiliari (e la loro fiscalità), ma anche e soprattutto dalla liberalizzazione nella pianificazione delle aree di trasformazione che è stata affiancata da uno smantellamento delle politiche abitative per case abbordabili.

In questo senso, per favorire l’accesso all’abitazione per le ampie categorie che oggi vengono lasciate fuori dal mercato, dovremmo puntare su maggiori (e non minori) requisiti di edilizia pubblica e sociale, e su maggiori prelievi sulla rendita per poter aumentare quantità e qualità degli alloggi sociali e dei servizi pubblici ad essi convenientemente connessi (scuole, piscine, centri medici, etc.).

Se l’interesse per l’accesso alla casa è diminuito in favore della garanzia dei rendimenti finanziari delle operazioni immobiliari un po’ ovunque, ciò è avvenuto con rilevanti variazioni -dato che il capitalismo sa essere flessibile e variegato (Aalbers, 2020)- tra le maggiori città europee, le quali soventemente differiscono in base al grado di finanziarizzazione immobiliare e di “corposità” delle politiche abitative.

In questo senso, il caso milanese si discosta da quello di altre città europee, che vale la pena citare per dimostrare che ci sarebbero ben altre strade da intraprendere per alleviare il problema della casa (per non dire poi di aggredirne le cause strutturali). Ne parleremo in un prossimo articolo.

Marco Peverini è ricercatore RTDa presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Urban Planning, Design and Policy, con una borsa sostenuta dal Consorzio Cooperative Lavoratori di Milano. Si occupa della relazione tra politiche abitative e città, con particolare riferimento al tema dell’housing affordability, e dal 2022 svolge la sua ricerca nell’Osservatorio casa abbordabile (Oca) di Milano. È membro del Collettivo per l’Economia Fondamentale e co-coordinatore del gruppo Social housing: institutions, organisation, and governance del European Network for Housing Research (Enhr).

Alberto Bortolotti è dottorando in urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano dove fa ricerca sulla finanziarizzazione dello sviluppo urbano e delle politiche per la casa. In passato ha lavorato presso enti di ricerca e istituzioni pubbliche come ricercatore e urbanista, tra cui il Parlamento Europeo, il ministero della Cultura e la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ed è stato visiting researcher presso l’Università di Amsterdam e l’Università Cattolica di Leuven. È inoltre vicepresidente dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano.

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