Altre Economie
Due sentenze salate
I verdetti pro privatizzazioni del Tar del Piemonte e del Consiglio di Stato —
"È vietato battersi contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Ogni trasgressione sarà severamente punita”. Tra le righe affermano questo le sentenze del Tar del Piemonte e del Consiglio di Stato che hanno giudicato inammissibile il ricorso presentato da dieci cittadini torinesi, sostenuti dal Comitato acqua pubblica Torino (www.acquapubblicatorino.org), per chiedere l’annullamento di una delibera del 2011 che imponeva la privatizzazione di AMIAT (la società pubblica di igiene urbana), GTT (trasporti) e TRM (quella che ha costruito l’inceneritore del Gerbido). Secondo i giudici, i cittadini non possono pretendere “di veder modellata l’organizzazione dei servizi pubblici comunali secondo le proprie aspirazioni socio economiche, in contrasto con le norme e i principi comunitari e nazionali che tutelano i valori della legalità, del libero mercato e della concorrenza”. Il Consiglio di Stato è stato addirittura sprezzante nei confronti dei cittadini estensori del ricorso al Tar, spiegando che trattandosi di quivis de populo, gente qualunque in latino, non avrebbero avuto alcun titolo per rivolgersi alla giustizia. Per questo, i 10 sono stati condannati a sostenere le spese legali, per 30mila euro. Una decisione che oltre al dato economico invita a prender nota di un messaggio, perché condanna -spiega una nota diffusa dal Comitato- “una visione del mondo che ha ricevuto il consenso della maggioranza assoluta degli elettori italiani”, quei 26 milioni di cittadini che tre anni fa, nel giugno del 2011, votarono compatti contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali. I dieci torinesi -che rappresentano Coordinamento ambientalista rifiuti Piemonte, Comitato acqua pubblica, Attac, Pro Natura, Rifiuti Zero NOInc e lavorarori GTT e AMIAT- hanno promosso una campagna di raccolta fondi, che si chiama “SOS 113 emergenza diritti”, e cita l’articolo 113 della Costituzione, che sancisce la libertà di ogni cittadino di rivolgersi alla legge per tutelare un diritto che ritiene in pericolo.
Nel frattempo, il Comune di Torino ha provveduto a privatizzare AMIAT e TRM, mentre l’azione del Comitato acqua pubblica Torino si è concentrata su SMAT, la società per azioni -a totale capitale pubblico- che gestisce il servizio idrico integrato in città e in tutta la provincia. L’obiettivo dei comitati è la trasformazione di SMAT in azienda speciale consortile, cioè un soggetto di diritto pubblico, e 20 Comuni -oltre alla Comunità montana Valle Susa e Val Sangone- hanno già deliberato in tal senso. Invece il Comune di Torino -che è il primo socio di SMAT, di cui detiene il 65,3% delle azioni- ha chiuso in un cassetto la delibera di iniziativa popolare per la trasformazione in azienda speciale, approvandonde un’altra -a inizio maggio 2014- che non risponde alle richieste avanzate dai comitati. —
Per contribuire alla raccolta fondi è possibile effettuare un versamento sul conto dell’Associazione acqua bene comune -conto Piemonte presso Banca Etica.
L’IBAN è IT 92 F 05018 0320000000 0155854, la causale “Spese legali TAR”
I quesiti dimenticati
L’acqua è ancora in Borsa, e a tre anni dal referendum i titoli delle principali utility quotate volano, mostrando così che i “due ‘Sì’ per l’acqua bene comune” sono rimasti largamente inascoltati -secondo alcune Cassandre, infatti, avrebbero comportato la distruzione di un settore industriale-. Il titolo Acea (la ex municipalizzata del Comune di Roma) nell’ultimo anno ha registrato un più 71,6%; Hera -multiutility emiliana- un più 26,21%; Iren -tra gli azionisti i Comuni di Torino, Genova, Piacenza, Parma e Reggio Emilia- ha invece fatto un più 22,29%; A2a, infine, partecipata dai Comuni di Milano e Brescia, un più 27,96%.
Per quanto riguarda invece l’economia reale, quella che Acea indica come “area industriale idrico” al 31 marzo 2014 presenta un indebitamento di 626 milioni di euro, in crescita del 10,2% rispetto all’anno precedente. Alla stessa data il gruppo Iren presenta un indebitamento netto di 2,17 miliardi di euro, leggermente inferiore rispetto all’anno precedente (2,19). Situazione più critica invece per A2a -3,72 miliardi di debito al 31 marzo- ed Hera -2,6 miliardi di euro-.