Altre Economie
Dissetati e contenti
L’industria delle bibite vale in Italia quasi 3 miliardi di euro. Ma l’ingrediente principale, l’acqua, costa quasi nulla. Basta non chiamarla minerale
Le bibite sono un affare per pochi. In Italia, sei grandi gruppi controllano l’84 per cento del mercato, che all’ingrosso vale quasi tre miliardi di euro.
Su tutti c’è Coca-Cola: come abbiamo visto su Ae 150, la filiale italiana del gruppo fattura oltre 1,1 miliardi di euro. Coca-Cola, Fanta, Sprite e gli altri marchi di proprietà di The Coca-Cola Company rappresentano il 39 per cento delle bibite commercializzate ogni anno in Italia (3,8 miliardi di litri in totale nel 2011).
Dopo Coca-Cola, che secondo l’annuario Beverfood 2012-2013 nel 2001 ha commercializzato 1,5 miliardi di litri di prodotto, ci sono San Pellegrino (gruppo Nestlé Waters), con 530 milioni di litri e il 14% del mercato, San Benedetto, con 450 milioni di litri e il 12 per cento del mercato e Spumador (350 milioni di litri, 9%), quest’ultima controllata dal gruppo Refresco, che ha sede in Olanda ed è tra i primi imbottigliatori di bibite in Europa.
Alle prime due, Altreconomia ha chiesto se fanno come Coca-Cola, che negli stabilimenti di Gaglianico (Biella), Nogara (Verona) ed Oricola (L’Aquila) ha risolto il problema dell’approvvigionamento idrico scavando dei pozzi, e può usare oltre 2 miliardi di litri in cambio di poche decine di migliaia di euro.
E la risposta è sì.
A San Benedetto abbiamo chiesto “in base a quali atti (della Regione Veneto, della Provincia di Venezia) la società accede a tali risorse? Che canone di concessione/derivazione riconosce, in cambio?”.
L’ufficio stampa, dopo averci spiegato che l’azienda della famiglia Zoppas di solito non risponde a questo tipo di domande, ci ha inoltrato una nota della società: “Acqua Minerale San Benedetto in rispetto della legislazione che regolamenta l’imbottigliamento delle bibite (DPR 719 del 19 Maggio 1958), impiega nella preparazione delle bibite sia acqua minerale naturale (dettagliandolo in etichetta), sia acqua potabile”.
La trasparenza si ferma all’etichetta, appunto: ed è solo leggendo quella di alcune bibite in un supermercato che è possibile capire che a Scorzè, nello stabilimento di San Benedetto in provincia di Venezia, vengono imbottigliate anche la Pepsi (per conto di Pepsico Italia) e l’Estathè di Ferrero.
La Regione Veneto, cui rimanda San Benedetto per ogni ulteriore informazione, non risponde.
Grazie alla Provincia di Bergamo, invece, sappiamo qualcosa in più di Sanpellegrino: l’azienda del gruppo Nestlé può sfruttare ben 12 pozzi nel Comune di San Pellegrino Terme (Bg), dove ha sede lo stabilimento che imbottiglia anche l’omonima acqua minerale.
Il volume concesso -fino al 2029- è pari a 3,78 miliardi di litri. “Per l’acqua non minerale, paghiamo come tutte le aziende che utilizzano l’acqua nei propri processi produttivi” spiega ad Ae Prisca Peroni, responsabile delle relazioni esterna di Nestlé Waters in Italia.
La scelta di utilizzare l’una o l’altra, invece, dipende dalle ricette delle bibite e da scelte industriali che la società preferisce non condividere.
Anche perché se questi pozzi fossero riconosciuti come acqua minerale, sfruttarli costerebbe almeno 2,4 milioni di euro. E non poco più di 20mila. Attualmente, è in corso la procedura di rinnovo, in variante, per il pozzo numero 13: altri 630 milioni di litri, al costo di 3.400 euro all’anno.
Per una questione di costi, insomma, è importante che le acqua di pozzo non vengano riconosciute come minerali. Ce lo ha spiegato l’ufficio stampa di Coca-Cola: l’azienda utilizza “acque estratte da falda, che potrebbero essere classificate come acque minerali poiché ne presentano tutte le caratteristiche (protezione del bacino, costanza dei parametri…) ma non ne sente la necessità in quanto vengono poi sottoposte ad un trattamento di ulteriore purificazione in contrasto con il concetto stesso di acqua minerale, che non può subire trattamenti di alcun genere”.
Il corsivo è nostro, e va incrociato con un altro dato: il fatturato del settore bibite -gassate, i tè freddi, gli sport and energy drinks– supera del 29 per cento quello dell’industria delle minerali (che era di 2,24 miliardi, nello stesso anno), che però distribuisce 12,35 miliardi di litri di prodotto, quattro volte tanto. —
Coca-Cola cresce
Coca-Cola Hbc Italia cresce: a dispetto dei bilanci in rosso (nel 2010 e nel 2011), la società punta ad aumentare la capacità produttiva, scavando e sfruttando un nuovo pozzo nello stabilimento di Nogara (in provincia di Verona), “ad uso industriale, potabile, antincendio” per una portata media di 15 litri al secondo d’acqua.
L’avviso del Genio civile di Verona è stato pubblicato il 7 giugno sul bollettino della Regione Veneto. Secondo le stime di Altreconomia, col nuovo pozzo Coca-Cola avrà a Nogara una “capacità” ulteriore di 473.353.890 litri d’acqua, che andrebbe ad aggiungersi ai 976.332.000 litri dei primi tre pozzi e ai 394.008.613 litri del quarto (stimati da Altreconomia). Per quanto riguarda i canoni, invece, oggi la Regione Veneto incassa -lo abbiamo scritto su Ae 150- 13.406 euro, cui si aggiungerebbero (sempre secondo le nostre stime) 4.631 euro.