Diritti
DIAZ, SI SONO RICORD…
DIAZ, SI SONO RICORDATI DI NOI Finalmente si sono ricordati di noi. Andrea Canciani e Anna Canepa, i due magistrati che mi interrogarono all’ospedale Galliera il 23 luglio 2001, hanno chiesto di archiviare l’ultima accusa ancora pendente sui 93 della…
DIAZ, SI SONO RICORDATI DI NOI
Finalmente si sono ricordati di noi. Andrea Canciani e Anna Canepa, i due magistrati che mi interrogarono all’ospedale Galliera il 23 luglio 2001, hanno chiesto di archiviare l’ultima accusa ancora pendente sui 93 della Diaz: associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Ho visto Canepa e Canciani quell’unica volta: allora – paradossalmente – mi diedero tranquillità. Erano venuti lì ad interrogarmi in quanto arrestato e indagato per reati molto gravi: resistenza a pubblico ufficiale, detenzione di armi e – appunto – associazione a delinquere. Nonostante questo, la loro presenza mi tranquillizzò, perché uscivo da due giorni folli, trascorsi in balìa della polizia. Alla Diaz ci avevano massacrato, molti di noi avevano pensato a un colpo di Stato. Successivamente, in ospedale, le cose si erano in parte normalizzate: gli agenti che mi piantonavano erano gentili, qualche amico era riuscito a venire a trovarmi, nonostante il teorico divieto per un detenuto di ricevere visite. Restava un fondo d’assurdità e la pesantezza delle accuse. Più di ogni altra cosa temevo di finire in carcere, mi sentivo preda di un meccanismo del tutto incontrollabile.
In quel contesto, l’interrogatorio da parte dei pm, alla presenza di un avvocato, riportava tutto sui binari della legalità, lungo un percorso meno misterioso. Finalmente potevo spiegare che cosa era accaduto. I magistrati potevano rendersi conto della gravità dei fatti e dell’assurdità dell’arresto. Tuttavia, ci sono voluti due anni e mezzo prima che l’ultima accusa fosse archiviata. E dire che la reale dinamica del blitz alla Diaz è ormai nota da tempo. La scoperta che le due bottiglie molotov (principale motivo del nostro arresto) furono portate nel cortile della scuola da poliziotti risale a un anno e mezzo fa. A maggio 2003 è stata archiviata l’accusa di resistenza e detenzione illegale di armi. Perché Canepa e Canciani hanno impiegato tanto tempo per chiedere questa seconda archiviazione?
Una risposta sicura non c’è, ma la sensazione è che questa richiesta sia arrivata solo ora perché l’altro giorno si è conclusa un’altra inchiesta, indipendente da quella sulle accuse a noi della Diaz, ma in qualche modo speculare. Mi riferisco all’inchiesta sui 26 manifestanti accusati di vari reati – fra cui il principale è “devastazione e saccheggio” – per alcuni episodi accaduti durante i cortei del 20 e 21 luglio 2001. I manifestanti sono stati rinviati a giudizio e questo – secondo una perversa logica di bilanciamenti – ha evidentemente permesso di mettere sull’altro piatto della bilancia una ‘concessione’: la richiesta di archiviazione per quelli della Diaz.
Forse non è il caso di scandalizzarsi: dopo tutto la richiesta d’archiviazione per noi era scontata. Ma quest’idea del ‘bilanciamento’ non è per niente rassicurante, perché riecheggia la stessa tesi che ci opporranno quando tenteranno di replicare alle accuse gravissime che gravano sulle forze dell’ordine per Diaz e Bolzaneto. Diranno così: va bene, ci saranno stati degli abusi, ma voi avete distrutto Genova. Un’equazione del tutto inaccettabile, e che rischia di essere pagata soprattutto dai manifestanti che finiranno sotto processo. Chi ha sbagliato, compiuto atti di violenza durante i cortei dovrà certo rispondere dei suoi comportamenti, ma la tesi del ‘bilanciamento’ è la premessa per un giudizio non equo, che rischia di portare a condanne sproporzionate rispetto all’entità dei fatti contestati. Basti dire che fra i 26 rinviati a giudizio ci sono alcune persone accusate di avere tirato un sasso dopo la violenta (e illegittima) carica di via Tolemaide: tirare sassi è sicuramente sbagliato e illegale, ma in quel contesto è stata una sorta di difesa. Se anche si voglia condannare una persona per un reato del genere (posto che quel sasso, oltretutto, non ha ferito nessuno), che senso può avere infliggere una pena di otto anni? Eppure otto anni è la pena minima per il reato che è stato contestato dalla procura di Genova: devastazione e saccheggio.
Forse non è superfluo far notare che questo reato fu introdotto nel codice negli anni Trenta e che da allora si ricordano pochissimi casi di applicazione: contro alcuni sciacalli entrati in azione nel 1945 durante i bombardamenti anglo-americani per saccheggiare case rimaste vuote, e per le violenze commesse da gruppi di tifosi. Prima di Genova, non era mai stato contestato per manifestazioni politico-sindacali: al massimo, si ricorreva al reato di danneggiamento, che prevede pene molto più lievi.
E’ anche per questo che dobbiamo guardare ai fatti di Genova e ai futuri processi con grande attenzione: sono un banco di prova per quella svolta autoritaria che si sta imprimendo alla nostra vita pubblica.
L.G.