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“Decreto sicurezza bis”: le criticità della “legge manifesto” contro il soccorso in mare

© Àlex Folguera / Unsplash

Dall’eterogeneità delle materie trattate ai contrasti con la Costituzione e con gli obblighi internazionali vincolanti per l’Italia. Dalle sanzioni abnormi contro le navi delle Ong alle interpretazioni scorrette delle Convenzioni sui soccorsi. Il provvedimento del primo governo Conte convertito dal Parlamento in agosto è tanto “violento” quanto “inutile” e “inutilizzabile”. L’analisi critica dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che non dimentica il “contesto” in cui è maturato il decreto

Il “Decreto sicurezza bis” approvato dal Governo Conte I nel giugno di quest’anno e convertito in legge dalla maggioranza parlamentare M5s-Lega poche settimane più tardi, in agosto, ha introdotto nel sistema giuridico italiano “un esplicito elemento di ‘criminalizzazione’ delle attività di ricerca e soccorso in mare compiute dalle organizzazioni indipendenti”. Un’iniziativa legislativa “violenta”, “inutile” e “inutilizzabile” che punta a limitare a tutti i costi “l’ingresso di persone straniere in Italia”.

È quanto emerge dall'”analisi critica” che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, asgi.it) ha dedicato a uno dei due provvedimenti “manifesto” del precedente esecutivo in materia di immigrazione. Nelle 12 pagine del documento sono elencate le principali le criticità del decreto 53/2019 e della legge 77/2019 di conversione approvata con voto di fiducia posto dal Governo in entrambi i rami del Parlamento. La premessa è relativa alla “tecnica legislativa” della decretazione di urgenza e in particolare alle materie affrontate nei 28 articoli del decreto -che per Costituzione (art. 77) dovrebbe rispondere a requisiti di necessità, urgenza e omogeneità-. Le aree d’intervento sono tre: la prima in materia di contrasto all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica (capo 1), poi le disposizioni urgenti per il potenziamento dell’efficacia dell’azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza (capo 2) e infine le disposizioni urgenti in materia di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive (capo 3).

“Sotto il generico tema della ‘sicurezza’ -scrive Asgi- si cela un coacervo di norme assai eterogenee tra loro”. Dal nuovo potere attribuito al ministro dell’Interno di “vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” alle modifiche al codice penale riguardanti “inasprimenti sanzionatori per illeciti commessi in occasione di manifestazioni pubbliche”. Dal “presidio del territorio in occasione delle Universiadi di Napoli 2019” all’istituzione di un fondo di “premialità per le politiche di rimpatrio”. Tematiche disparate e “non aventi un legame almeno teleologico” che per l’associazione di giuristi rappresenterebbero una palese violazione del testo costituzionale.

Prima di entrare nel merito del provvedimento –promulgato “con riserva” dal presidente della Repubblica-, Asgi affronta un punto decisivo: l’esplicita “volontà” del “Decreto sicurezza bis” di colpire chi in questi anni ha salvato la vita di decine di migliaia di persone che tentavano di entrare in Europa, non è arrivata dal nulla o d’improvviso. C’è un pregresso che non va rimosso. “Benché in maniera non così violenta per gli effetti concreti generati, certamente differente ed in un contesto non assimilabile a quello attuale -chiarisce l’associazione riferendosi a quella ‘volontà’- risulta evidenziata da precedenti atti e provvedimenti del Governo italiano e dell’Unione europea che hanno cercato, e tutt’ora cercano, di disciplinare il processo di cosiddetta ‘esternalizzazione delle frontiere e del diritto d’asilo’ attraverso, tra l’altro, la delega a Stati o soggetti esteri del compito di limitare l’accesso in Italia di richiedenti asilo”. Asgi si riferisce all’Agenda Europea delle Migrazioni del maggio 2015, al “non accordo” Ue-Turchia del marzo 2016, alla Dichiarazione di Malta dei membri del Consiglio europeo sugli aspetti esterni della migrazione per affrontare la rotta del Mediterraneo centrale del febbraio 2017, agli accordi tra Italia e Libia, al “Codice di Condotta” Minniti imposto ad alcune delle Ong che effettuavano salvataggi nel mare Mediterraneo centrale nel 2017. Fino ad arrivare alle “linee di indirizzo economico-politico dell’Unione europea basati sul funzionamento del Fondo fiduciario Ue – Africa“.

Fatta questa premessa, Asgi affronta il primo articolo del decreto, quello relativo al “nuovo potere di intervento” attribuito al ministro dell’Interno di “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale”, al quale ricorrere in concorso con il ministro della Difesa e con il titolare delle Infrastrutture. I motivi del divieto, si legge nel decreto, dovrebbero derivare da questioni di “ordine e sicurezza pubblica” o “quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982”. Obiettivo degli autori di quest’ultima previsione, frutto di “una tecnica legislativa alquanto maldestra” (Asgi), era quello di consentire al titolare del Viminale di “interpretare” una delle più rilevanti convenzioni internazionali in materia di obbligatorietà del soccorso in mare e dello sbarco in un porto sicuro, e di trasformare l’adempimento di un obbligo in un reato. Sono proprio gli obblighi internazionali e le loro “Carte” a essere mal sopportati. È il caso appunto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS), che, riassume Asgi, “prescrive che lo Stato ponga in capo al comandante di ogni imbarcazione obblighi tali per cui questi debba ‘nella misura in cui gli sia possibile’ prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo e procedere ‘quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo’ prestando soccorso ‘all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri'”. Un concetto di “obbligo di collaborazione ai fini del soccorso in mare” che deriva da altri trattati internazionali elaborati dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO): la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (SOLAS), la Convenzione internazionale dì Amburgo sulla ricerca ed il soccorso marittimi del 1979 (SAR).

Questo pacchetto di norme -inclusi alcuni importanti emendamenti adottati nel 2004 dagli Stati membri dell’IMO- ha affiancato all’obbligo in capo al comandante della nave il complementare obbligo degli Stati di cooperare nelle situazioni di soccorso e definito quel “luogo sicuro” dove le operazioni di soccorso si possono ritenere concluse (la cui assegnazione in Italia è di competenza del dipartimento per le Libertà civili e per l’immigrazione presso il ministero dell’Interno). Un luogo “sicuro” dove siano garantite la “sicurezza dei sopravvissuti e la mancanza di concreta minaccia agli stessi”, le “primarie necessità della persona (cibo, alloggio e cure mediche)”, il “trasporto delle persone sopravvissute nella destinazione finale”.

Torniamo ora a quell’articolo 19 della Convenzione di Montego Bay, relativo al “significato del passaggio inoffensivo” di una nave. Lì è previsto infatti che “il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività: […] g) il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero”.
Per i sostenitori del decreto, l’attività delle navi che salvano i naufraghi non consisterebbe nell’adempimento dei citati obblighi giuridici incombenti sul capitano -come invece ribadisce Asgi, sostenuta dalle fonti- bensì nel “carico o scarico” di persone, in violazione della normativa sull’immigrazione.

Ma l’interpretazione non regge, evidenzia l’Asgi, e la norma, così come confezionata, è perfettamente “inutile” e “inutilizzabile”: “Se l’operazione di salvataggio si conclude solo con lo sbarco in condizioni di sicurezza fisica e giuridica degli individui, tutte le attività che intercorrono tra la conoscenza di un evento SAR e tale conclusione sono adempimento di un dovere giuridico che le convenzioni SAR e SOLAS impongono sia agli Stati nazionali sia ai comandanti delle navi in un’ottica di reciproca e leale collaborazione”.

L’articolo 2 del decreto riguarda invece le sanzioni applicabili nei casi di inottemperanza del già descritto divieto di ingresso, transito o sosta nelle acque territoriali italiane. In sede di conversione del decreto, l’importo delle sanzioni è schizzato, aumentato di 15 volte nel minimo e di 20 volte nel massimo: da 10mila-50mila euro di forbice si è passati in Parlamento a 150mila-1 milione di euro. Non solo: la confisca inizialmente prevista solo in caso di reiterazione è divenuta automatica e la responsabilità solidale estesa all’armatore. Sul punto, Asgi ha fatto proprie le “osservazioni” del Capo dello Stato contenute nella lettera dell’8 agosto inviata ai presidenti di Camera e Senato e al presidente del Consiglio: “Osservo che, con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Non appare ragionevole –ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto– fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”. Poche righe per esprimere una “evidente sfiducia nei confronti della maggioranza parlamentare” -annota l’Asgi- che pone in evidenza “l’incostituzionalità del sistema sanzionatorio previsto in via amministrativa”.

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