Altre Economie
Davide contro golia – Ae 87 –
Ferrarelle diffida Altreconomia dall’associare i suoi marchi alla campagna “Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua in bottiglia”. Detto fatto: nella foto non solo 4 bottiglie, ma tutti i marchi più noti. Ecco perché l’idea di normare la pubblicità dà…
Ferrarelle diffida Altreconomia dall’associare i suoi marchi alla campagna “Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua in bottiglia”. Detto fatto: nella foto non solo 4 bottiglie, ma tutti i marchi più noti. Ecco perché l’idea di normare la pubblicità dà fastidio
Non si può dire “Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua in bottiglia”.
O, se proprio si vuole, non bisogna respirare, né fare pause, tra l’una e l’altra parte della frase. O del banner (quel piccolo riquadro pubblicitario che compare in alto sulla destra del sito internet di Altreconomia).
All’inizio di agosto infatti Ferrarelle, uno dei colossi del settore, il quarto gruppo in Italia, ci ha fatto scrivere dai suoi avvocati, e ha diffidato Altreconomia dal continuare su questa strada. Ferrarelle si sente sotto ingiusto attacco e danneggiata, perché nei nostri articoli, abbiamo associato l’immagine di due suoi prodotti (Boario e Vitasnella) allo slogan di cui sopra.
Strane cose. Quest’estate l’invito di Altreconomia a riflettere sui nostri consumi insensati di acqua in bottiglia ha messo le ali: inaspettatamente il tema “acqua” è stato ripreso e rilanciato dai principali quotidiani nazionali, da radio e da centinaia di siti internet. Quasi 4 mila persone hanno firmato sul nostro sito e hanno lasciato un commento all’idea di regolamentare la pubblicità. Segno che davvero qualcosa potrebbe cambiare in questo senso, se si uniscono i pensieri e le forze.
Vorremmo però rassicurare Ferrarelle: la nostra “campagna di idee” non è contro di loro né ha per oggetto i loro marchi; quello che ci interessa, come giornalisti e come cittadini, è indagare il mercato delle acque minerali e come sia stato possibile convincere gli italiani a diventare i maggiori consumatori al mondo di acqua in bottiglia.
Nessun accanimento; l’immagine delle bottiglie in questione, come desume ogni lettore che non sia in malafede, è assolutamente esemplificativa: un particolare per dire il tutto del mercato. Comunque, per evitare ogni equivoco e ogni interpretazione malevola, al posto delle 4 marche della prima foto abbiamo messo, ed è quello che vedete qui sopra in pagina, tutte le bottiglie e i marchi che ci è stato possibile rintracciare nei supermercati di Milano vicini alla redazione.
Ma perché prendersela con Altreconomia?
“La condotta posta in essere dall’Editore e dalla Direzione della Rivista -scrivono gli avvocati di Ferrarelle- costituisce una chiara e temeraria violazione dei limiti -ben circoscritti- posti al diritto di critica”.
Ecco, questa forse è la posta in gioco: su questo come su altri temi noi abbiamo fatto il nostro dovere di giornalisti, e in questo mestiere non è una colpa ma semmai un merito citare i fatti e i protagonisti con nomi e cognomi; sappiamo che spesso siamo dei Davide di fronte ad aziende plenipotenziarie, ma questo non ci dissuade dall’avere il coraggio (noi preferiremmo dire semplicemente: la responsabilità) di chiamare le cose con il loro nome. È questo che qualcuno intende per “andare oltre il diritto di critica”?
A meno che l’andare oltre i limiti sia invece quell’immaginare il futuro, quel riflettere insieme sulle scelte individuali e collettive, anche sulle regole, che una comunità si dà per vivere insieme, e che ha caratterizzato in questi anni il nostro modo di fare giornalismo.
Non solo informazione, ma informazione per agire.
Ecco, sì: forse ciò che è inaccettabile per qualcuno è quest’idea che, per difendere l’ambiente e il bene di un’acqua che sgorga direttamente nelle nostre case, senza fatica e con bassi costi, si possa arrivare a immaginare di normare la pubblicità.
A metterla fuori legge.
Come abbiamo già scritto, esistono diversi casi di regolamentazione della pubblicità: questo è il tabù che rischia di scatenare le ire dei mercanti d’acqua. Perché così, è chiaro, la partita sarebbe persa. Senza pubblicità i consumi di acqua minerale si contrarrebbero, e resterebbero alti solo là dove il servizio pubblico fosse inefficiente. O dove, per particolari motivi di salute, le acque minerali fossero indicate.
O, semplicemente, per chi volesse berla.
Pensavamo che i giornali italiani non avrebbero mai pubblicato nulla di critico sulle acque minerali, invece in questi mesi hanno ripreso più volte i nostri temi. Segno che i giornalisti e anche le grandi testate possono, se vogliono, non essere supini agli interessi dei loro inserzionisti. La campagna “Imbrocchiamola” (www.imbrocchiamola.org) per chiedere al ristorante e in pizzeria l’acqua in brocca, è un’idea che è piaciuta a tanti ed è stata ripresa in centinaia di siti e rilanciata da stampa e radio nazionali.
E a Marghera, all’inizio di settembre, davanti ai ministri Mussi, Ferrero e Pecoraro Scanio abbiamo raccontato tutto ciò, e la possibilità di pensare a una “Pubblicità progresso” a favore dell’acqua del rubinetto. Hanno alzato gli occhi, interessati.
Per questo continuiamo a parlare dell’acqua di rubinetto, perché non accada, come nelle zone d’Italia dove l’acqua pubblica non è buona, oppure semplicemente non c’è, che la gente si rassegni a comperare quella in bottiglia.
Noi preferiamo pensare che avere acqua potabile di buona qualità sia un diritto. Di tutti.
E per questo, ora più che mai, chiediamo ai nostri lettori di esserci. Non vogliamo atteggiarci a Davide contro Golia, ma è indubbio che abbiamo a che fare con dei colossi.
Dite la vostra, sul nostro sito, www.altreconomia/acqua.
Più fonti più proteste
In Italia sempre più fonti in bottiglia: nel 2007 il ministero della Salute ha autorizzato 25 nuovi marchi di acque minerali (nel 2006 ce n’erano 304 in commercio). Molte nuove etichette hanno padroni famosi: Rocchetta imbottiglierà l’acqua Puraperte a Gualdo Tadino (Pg); San Benedetto, la Fonte della rondine a Padernello di Paese (Tv). Coca Cola (fonti del Vulture) è stata autorizzata a imbottigliare l’acqua Sveva nello stabilimento di un altro produttore della provincia di Potenza. Intanto nascono nuovi comitati contro le “minerali”: ormai ce ne sono in tutto il Paese, e la “vertenza” potrebbe diventare nazionale, come la Val di Susa. Nell’agrigentino i cittadini hanno affisso un manifesto per chiedere quanta acqua imbottiglia San Pellegrino-Nestlé (marchio Vera Santa Rosalia). La concessione dice 10 litri al secondo, l’azienda dichiara 46 mila bottiglie da due litri ogni ora, pari a 25,5 litri al secondo.
I conti non tornano: “la sorgente Capo Favara è asciutta” e l’acquifero della Quisquinia, che alimenta gli acquedotti, è a rischio. A Lucca il Comitato locale ha protestato vicino alle fontane cittadine per informare sull’imbottigliamento dell’acqua del Bongi e della fonte Le Mulina, a Stazzema. (l.m.)
Pubblicità col trucco
Più poteri all’Antitrust contro la pubblicità ingannevole. Il governo ha modificato il Codice del consumo: l’Autorità per la concorrenza potrà agire d’ufficio e le sanzioni saranno più alte (fino a 500 mila euro). Ogni cittadino può denunciare le inserzioni che ritiene “ingannevoli”. È un piccolo passo verso la regolamentazione della pubblicità, di cui abbiamo discusso con un tavolo di esperti ed amministratori l’8 settembre, di fronte ai ministri presenti al forum di Sbilanciamoci!.
L’obiettivo della proposta di Altreconomia è creare una cultura favorevole all’acqua del rubinetto. Chi gestisce gli acquedotti si muove: il sindaco di New York ha lanciato una campagna di affissioni (nella foto sopra), ripresa anche dal Corriere della sera e da la Repubblica; in Italia, molte aziende realizzano campagne informative nelle scuole. Ci vorrebbe una “Pubblicità Progresso”: una voce autorevole che metta l’accento sulla qualità dell’acqua di rubinetto. A patto, però, che l’acqua sia davvero migliore: in 12 Regioni risultano deroghe (su parte o tutto il territorio) rispetto ai parametri di potabilità stabiliti dal decreto 31 del 2001, e c’è poca trasparenza.
Intanto anche la Regione Lazio (è la settima in Italia) ha introdotto un canone di concessione di 2 euro per metro cubo imbottigliato (e di 1 euro per metro cubo comunque emunto). Le aziende incominciano a pagare per l’acqua che estraggono
(e non solo per l’affitto del terreno). In tutto questo c’è però ancora un problema: le aziende auto-certificano la quantità d’acqua imbottigliata. (l.m.)