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Cultura e scienza / Opinioni

Così parlò Hakim Bey

Hakim Bey, painted portrait DDC_3021 © Thierry Ehrmann

Una neonata casa editrice ha pubblicato l’ultimo libro di uno dei pensatori contemporanei più alternativi e influenti, nato a Baltimora nel 1945 e morto lo scorso anno negli Stati Uniti. “La vendetta di Zarathustra” di Hakim Bey è un invito alla lettura e un ritratto di un pensatore originale

Probabilmente nessuno, o quasi, conosce il nome e la vita di uno dei più influenti e originali pensatori contemporanei: Peter Lamborn Wilson.

Nato a Baltimora nel 1945 e iscritto alla facoltà di Lettere classiche alla Columbia University, intraprese un percorso di vita fuori dal comune. Dopo un’iniziazione nella chiesa psichedelica di Timothy Leary, Wilson decise di abbandonare gli Stati Uniti nel 1968 per condurre una vita nomade tra l’Estremo e il Medio Oriente.

Dopo essere stato espulso dall’India, trascorse quasi un decennio in Iran, fino alla rivoluzione di Khomeini. Durante quel periodo, lavorò come giornalista, si unì all’Accademia imperiale di filosofia persiana e assunse la responsabilità delle pubblicazioni in lingua inglese. Le sue prime opere consistettero principalmente in traduzioni di poesie. 

Le sue ricerche nell’ambito della storia delle religioni, della mitologia comparata e delle culture esoteriche, a partire dall’ermetismo, ebbero l’intenzione di minare la visione riduzionista, scientista e tecnoentusiasta con uno spirito situazionista. Wilson auspicava il recupero di aspetti cari a culture e tradizioni che precedettero la rivoluzione industriale.

Un intellettuale di spicco che condivideva intenti simili fu Elémire Zolla, uno dei massimi esperti di storia delle religioni, mistica e dottrine esoteriche. Zolla invitò Wilson a collaborare alla sua rivista trimestrale Conoscenza Religiosa (La Nuova Italia), fondata nel 1969. Proprio su queste pagine, dal 1977 al 1983, Wilson maturò la sua concezione di un “anarchismo spirituale” che sarebbe stato il filo rosso a unire tutta la sua produzione.

Nel 1980, dopo essere tornato negli Stati Uniti, visse con William Burroughs e pubblicò “Angeli” (Pantheon Books), un libro unico e iconograficamente dirompente. In quel testo effettuò una ricognizione storico-filosofica sul culto dei messaggeri di Dio, dalle religioni monoteiste all’Oriente, dagli antichi Greci allo sciamanesimo, dalle cerimonie pagane di possessione all’attualità.

“Angeli” lasciò trapelare, in vari punti, il tono provocatorio di Wilson, che divenne sempre più sarcastico quando scrisse nel 1985 il testo: “Chaos: The Broadsheets of Ontological Anarchism” (Grim Reaper Press). Nello stesso periodo iniziò a scrivere sotto lo pseudonimo di Hakim Bey (la fusione di due parole arabe che rimandano alla saggezza ma anche all’anonimato), iniziando a teorizzare una sorta di escapismo attivo con la fortunata espressione Taz, Temporary autonomous zone. Le Zone temporaneamente autonome rappresentano una strategia sociopolitica finalizzata a creare spazi temporanei che sfuggono alle normali strutture di controllo sociale. Queste zone offrono la possibilità di un sistema non gerarchico basato sulle relazioni, concentrandosi sul presente e consentendo a ciascuno di liberare la propria mente dai meccanismi imposti. In Italia il suo libro sulle Taz venne pubblicato nel 1993 da Shake edizioni e divenne un testo seminale soprattutto per i movimenti e per le culture undeground

L’ultima opera di Hakim Bey -che intanto è morto l’anno scorso negli Usa-, “La vendetta di Zarathustra”, è stata pubblicata, trent’anni dopo da quella prima pubblicazione italiana, per merito di una neonata casa editrice, Ampère Books diretta da Niccolò de Mojana, in co-edizione con Agenzia X. 

“La vendetta di Zarathustra”, tradotto da Alessandro Mazzi e Gianluca Didino, con un’introduzione di Marco Philopat e una nota conclusiva bio-bibliografica di Tobia D’Onofrio, è una raccolta eterogenea di saggi politici e culturali. Il filo conduttore che li unisce è rappresentato dalla riscoperta del pensiero di Nietzsche, come suggerisce il titolo. La scrittura di Hakim Bey sfugge alle definizioni perché, proprio come lui stesso teorizza, deve essere parte di un “terrorismo poetico”, che mira a sabotare il potere e le convenzioni, spiazzando chi se ne avvicina.

I vari pezzi che compongono il libro sono saggi politici che affrontano una vasta gamma di tematiche. Si parte dalla contestazione del nuovo nichilismo e si procede con analisi socioculturali della rivoluzione industriale e del capitalismo. Viene critica la iper-medicalizzazione delle società occidentali, con l’introduzione del concetto di “nemesi medica” di Ivan Illich. Si trova anche un’apologia della microcriminalità giovanile e una riflessione sui problemi associati al suo declino.

Inoltre, vi sono vere e proprie rassegne culturali che esplorano le origini del fumetto statunitense, la sua natura pedagogica e anarchica, e la scoperta della cultura celtica. Alcuni testi sono gustosamente provocatori, come ad esempio “Ammazziamo tutti gli avvocati”, mentre altri affrontano tematiche più elevate, apprezzabili soprattutto da studiosi di storia delle religioni, come il saggio sulla nascita e l’evoluzione del concetto di coscienza.

Se alcuni riferimenti nietzschiani e illichiani non stupiscono, lasciano spiazzati continui rimandi al pensiero e alla vita della sindacalista cattolica statunitense Dorothy Day, rivelando la curiosità e la capacità di Hakim Bey di connettere pensieri e culture alternative molto distanti tra loro. 

In definitiva la forza del suo messaggio dirompente, finalizzato all’insurrezione, al sabotaggio del conformismo, sono finalizzati alla possibilità, spirituale e materiale, di “una vita autentica”, alla scommessa che la partita non sia finita: “Anch’io credo che il capitalismo predatorio abbia vinto e nessuna rivoluzione sia più possibile nel senso classico del termine. Ma per qualche ragione non riesco a essere ‘contro tutto’”.

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