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Altre Economie / Intervista

Wolfgang Sachs. Elogio della “prosperità frugale”

Accademico e ambientalista tedesco, Wolfgang Sachs insegna al Wuppertal Institute in Germania dove è alla guida di un progetto di ricerca trasversale dedicato a globalizzazione e sostenibilità © flickr.com

Per l’ambientalista tedesco autore del libro “Dizionario del post-sviluppo” è ora di cambiare il modo di vivere dei ricchi per garantire un mondo più giusto e ridurre la povertà. Puntando sull’exnovazione

Tratto da Altreconomia 250 — Luglio/Agosto 2022

Sono passati esattamente trent’anni da quando Wolfgang Sachs (nato a Monaco di Baviera nel 1946) ha pubblicato il “Dizionario dello sviluppo”. Una “guida alla conoscenza come potere”, come recitava il sottotitolo, che sarebbe diventato un classico per analizzare le diverse sfaccettature dello sviluppo e tutte le sue contraddizioni. Attivo nel Wuppertal Institute per il clima, l’ambiente e l’energia -dove oltre 150 ricercatori lavorano per una trasformazione ecologica e sociale-, l’ambientalista tedesco con una formazione in teologia e sociologia riflette con Altreconomia sul suo percorso e sull’importanza della prossima conferenza sulla decrescita di Venezia (dal 7 settembre 2022).

Ivan Illich è stato il suo maestro. Nella prima edizione del “Dizionario dello sviluppo” (1992) la parola a lui affidata era needs. A quali bisogni dobbiamo tornare per riaffermare gli obiettivi della convivialità?
WS Portare Illich con sé nel XXI secolo, come amuleto di viaggio per tempi difficili, è una buona idea. Negli anni Settanta sviluppava il concetto degli “strumenti conviviali”: tecniche che rafforzano l’autonomia delle persone senza togliere nulla agli altri e senza gravi conseguenze ambientali. Ammirava la bicicletta, il telefono o l’arte della guarigione. Detestava le centrali nucleari, la motorizzazione di massa o l’agricoltura industriale. Con il suo pensiero ci ricorda che la tecnologia verde e l’economia non bastano e che una decrescita globale non sarà possibile senza nuove infrastrutture di solidarietà e senza sobrietà. Per Illich, l’arte delle culture consisteva nel rendere accattivanti i limiti; nient’altro gli importava dopo il declino dell’industrialismo.

Il nuovo “Dizionario del post-sviluppo” (“Pluriverse”, edito da Tulika Books e tradotto in italiano nel 2021 da Orthotes edizioni) è la continuazione ideale del “necrologio dello sviluppo” che avevate scritto con la prima esperienza del “Dizionario”. Che cosa distingue queste due pubblicazioni?
WS Il primo “Dizionario” è del 1992, “Pluriverse” del 2019. Il Dizionario ha dovuto fare i conti con la mentalità dello sviluppo, una visione del mondo che all’epoca dominava le relazioni Nord-Sud. Non era stata considerata la fine della Guerra fredda e non era ancora prevedibile l’ascesa dei Paesi emergenti, come la Cina. Tuttavia, resta un classico che ha sviscerato e analizzato le parole chiave dello “sviluppo”. Il dizionario del “post-sviluppo” ha invece un punto di partenza diverso. È più visionario e costruttivo: contrasta la monocultura dello sviluppo a favore della diversità delle culture del mondo. Dobbiamo continuare su questa strada.

Che cos’è la “prosperità frugale” e come possiamo realizzarla nel quotidiano?
WS Per settant’anni le politiche di sviluppo in nome della giustizia hanno cercato di migliorare il tenore di vita dei poveri, con risultati deludenti. Ciò che conta ora è cambiare il modo di vivere dei ricchi altrimenti, in un mondo ecologicamente finito, non c’è prospettiva di giustizia. Senza una riduzione della ricchezza dei benestanti del tutto il mondo, non potrà ridursi la povertà. Per questo una prosperità frugale dovrebbe essere all’ordine del giorno, combinando un’economia rigenerativa e una tecnologia conviviale a stili di vita più responsabili. Per realizzarla servirà una buona parte del secolo e potrebbero essere indispensabili un movimento popolare democratico. Un’economia con un’impronta ecologica leggera sarà accompagnata sia da un doppio processo: di exnovazione e di innovazione. Ad esempio, l’energia fossile, la petrolchimica e le automobili saranno gradualmente eliminate, mentre saranno sviluppate le energie rinnovabili, i sistemi di mobilità dolce, l’agricoltura rigenerativa e il ripristino delle aree naturali.

“Illich ci ricorda che la tecnologia verde e l’economia non bastano e che una decrescita globale non sarà possibile senza nuove infrastrutture di solidarietà e senza sobrietà”

La pandemia ha fatto ombra su una nuova consapevolezza che si stava, forse, consolidando nella nostra società rispetto al problema del riscaldamento globale. C’è la possibilità di far tornare questo tema prioritario nelle agende politiche? Come?
WS In effetti, eventi storici quali le migrazioni, le pandemia o le guerre stanno in primo piano e catturano la nostra attenzione, dominano i talk show, i social media e le conversazioni quotidiane. Al contrario, ci sono eventi che restano “dietro le quinte” della Storia: pensiamo al riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, la crescita della popolazione urbana. Questi avvengono in silenzio, compaiono in situazioni di crisi e sfuggono dal controllo: non li noti finché non è troppo tardi. È imperativa una politica della biosfera che miri a creare un futuro adatto ai nostri nipoti, e a garantire l’abitabilità della terra a lungo termine. Si tratta, in altre parole, di conciliare l’impronta ecologica dell’umanità con la capacità rigenerativa della biosfera.

“Soprattutto di fronte al collasso ecologico, nel Nord come nel Sud del mondo, è indispensabile eliminare gradualmente il sistema economico basato sulle risorse fossili”

Il Green Deal proposto dall’Unione europea può funzionare in una società sviluppista?
WS Della transizione ecologica si parla spesso tra gli eco-modernisti che sventolano la bandiera del non-limite, a favore del dominio e della crescita economica. Ma a una società ecologica ci si può accostare solo attraverso un’intelligente razionalizzazione dei mezzi e una saggia moderazione degli obiettivi. La cosiddetta rivoluzione dell’efficienza rimane vana se non è accompagnata da una rivoluzione della sufficienza. Dopotutto, niente è così irrazionale come correre nella direzione sbagliata con la massima efficienza possibile.

Il prossimo settembre Venezia ospiterà un nuovo, importante incontro sui temi della decrescita. Qual è il suo auspicio per questo appuntamento?
WS Il mio auspicio sarebbe di trovare un buon equilibrio tra l’exnovazione e l’innovazione nel dibattito sulla decrescita. Exnovare significa abbandonare il modo di vivere “imperiale” che la civiltà industriale esige, lasciando la terra, il cibo e i capitali del Sud al Sud. Soprattutto di fronte al collasso ecologico, nel Nord come nel Sud del mondo, è indispensabile eliminare gradualmente il sistema economico basato sulle risorse fossili, sostituendolo con un sistema fondato sulla biodiversità. Insomma, l’exnovazione implica l’uscita dalle strutture della modernità espansiva. Tuttavia, questa transizione implica l’innovazione, cioè i sistemi eolici e solari per fornire energia, e agricoltura rigenerativa per fornire cibo e fibre.
È il tempo di una modernità riduttiva: imprese verdi, case a emissioni zero, riduzione del traffico motorizzato. Presa singolarmente, ogni iniziativa è frammentaria ed effimera, ma insieme possono produrre una vasta eco nella società, specialmente nei momenti di caos. Come diceva l’attivista per i diritti umani e presidente della Repubblica ceca, Václav Havel: “La speranza non è la convinzione che una cosa andrà a finire bene, ma la certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire”.

 

 

 

 

 

Fino a settembre, Altreconomia dedicherà mensilmente alcuni approfondimenti in preparazione della Conferenza sulla decrescita di Venezia, che si terrà il 7-8-9 settembre 2022 presso l’Università Iuav, dieci anni dopo la Terza Conferenza Internazionale sulla decrescita, la sostenibilità ecologica e l’equità sociale del 2012

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