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Finanza / Opinioni

Così la Bce sta continuando a garantire solo i profitti delle grandi banche

La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde © Felix Schmitt - ECB

Non è vero che non esiste una politica monetaria comune in Ue: c’è eccome ma è a favore dei super ricchi. Lo dimostrano le scelte della Banca centrale europea, la cui presidente sostiene che l’attuale inflazione dipenderebbe dall’eccessivo aumento dei salari. I fatti (e le disuguaglianze in crescita) dicono altro. L’analisi di Alessandro Volpi

Dopo l’aumento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea (Bce), le banche italiane hanno ridotto i crediti erogati di 80 miliardi di euro mentre i principali istituti hanno registrato una capitalizzazione “in eccesso” di una trentina di miliardi solo tra Unicredit e Intesa Sanpaolo. In quest’ottica sembra che Unicredit intenda acquisire le Assicurazioni Generali, costruendo così un colosso di “banca-assicurazione”.

Ecco che la tanto celebrata concorrenza scompare dall’orizzonte del nostro Paese, sono garantiti dividendi ai titolari di grandi patrimoni finanziari e la rete produttiva -cioè quella che crea occupazione- sparisce. O peggio, si frammenta in migliaia di micro ditte all’inseguimento di subappalti infiniti dove le condizioni di lavoro sono sempre peggiori.

Peraltro gran parte dei super profitti bancari dipendono proprio dagli alti tassi della Banca centrale europea e dalla remunerazione che la stessa Bce garantisce alle riserve delle banche. Un simile deposito, infatti, è remunerato dall’istituto europeo con un tasso del 4%: in pratica gli istituti di credito tengono ferma una parte delle proprie risorse e la Bce li premia lautamente. Si tratta di una follia in un momento in cui l’economia è stagnante e servirebbe rianimarla: invece la Bce fa l’esatto contrario, garantendo così solo i profitti delle grandi banche, che li destinano ai propri grandi azionisti. È utile ricordare, a tal proposito, che la Bce paga alle banche il 4% mentre il rendimento medio che le gli istituti di credito italiano forniscono ai loro depositanti è pari allo 0,86%.

Nel frattempo si accentuano le disuguaglianze sociali. Ormai sono oltre 3.300 i Comuni italiani senza uno sportello bancario e nel solo 2023 ne sono stati chiusi quasi 900. Si tratta di una razionalizzazione? Penso proprio di no. Si tratta piuttosto del sostanziale disinteresse ormai maturato da gran parte delle banche per i piccoli risparmiatori e le micro-imprese. Perché tenere aperto uno sportello e pagare personale per raccogliere somme limitate in tanti territori disseminati per il Paese? Perché avere personale per ascoltare le micro-imprese delle tante periferie? Le banche, che hanno fatto oltre 20 miliardi di euro di profitti in un solo anno, che sono state privatizzate e si sono fuse in pochissimi gruppi, con il costante beneplacito della politica, hanno scelto, in maniera chiara, di occuparsi solo dei grandi flussi finanziari, quelli che sono digitalizzati, e di fare trading, non certo di occuparsi delle fasce di reddito basse che così sono private, scientemente, di servizi e di credito.

La desertificazione dei servizi bancari si lega intimamente alla finanziarizzazione e determina una evidente disparità sociale; una delle tante che ormai sembriamo disposti ad accettare passivamente in nome di una presunta innovazione tutta a vantaggio dei ricchi. Ma, nonostante tutto ciò, l’ineffabile presidente Christine Lagarde è intervenuta di fronte al Parlamento europeo per presentare il bilancio della Bce e ha sostenuto con chiarezza che l’attuale inflazione dipende dall’eccessivo aumento dei salari. Ora, non ci vuole molto a capire che si tratta di una dichiarazione folle. I salari medi lordi in Europa sono di poco superiori ai 30mila euro, mentre i profitti di vari settori, a cominciare dai bancari, sono risultati stellari, approfittando proprio del monopolio creato dagli alti tassi di interesse della Bce che, come accennato, hanno ridotto la concorrenza e hanno consentito di scaricare sui consumatori l’aumento dei prezzi, generato dalla speculazione.

È sempre più palese che non è vero che non esiste una politica monetaria in Europa; c’è, eccome, ma è tutta a favore dei super ricchi, i veri vincitori della lotta di classe che ormai hanno abbandonato l’Italia.

Un’ultima prova in tale direzione. La Borsa di Milano è molto piccola, come abbiamo più volte fatto notare su Altreconomia. Ha una capitalizzazione di circa 750 miliardi di euro perché, tolte banche e assicurazioni, c’è davvero poco, a dimostrazione della sua natura sostanzialmente finanziaria. Ma il dato ancora più rilevante è costituito dal fatto che gli investitori istituzionali italiani sono solo l’8% del totale, che per il 92% è composto da stranieri, di cui poco meno del 40% sono statunitensi e, guarda caso, sono grandi fondi.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

 

 

 

 

 

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