Ambiente / Attualità
“Coprire i ghiacciai non significa proteggerli”
L’unico modo per salvare i ghiacciai è tagliare le emissioni climalteranti. I tentativi di mitigazione come la copertura non hanno significato e rischiano di scadere in operazioni di greenwashing. La presa di posizione di 39 ricercatori e docenti universitari che si occupano di glaciologia e dello studio dei cambiamenti climatici
I progetti di copertura dei ghiacciai con teli geotessili, promossi con l’obiettivo di rallentarne la fusione e il ritiro, “non rappresentano uno strumento per combattere le conseguenze del cambiamento climatico e del riscaldamento globale”. Non solo: considerati i costi elevati e gli effetti negativi sull’ambiente, “coprire i ghiacciai può avere senso solo localmente per tutelare gli interessi economici legati allo sfruttamento di specifici ghiacciai”, ad esempio per lo sci. Sono alcune delle criticità sollevate in un’articolata analisi dal titolo “Coprire i ghiacciai non significa salvarli”, firmata da 39 ricercatori e docenti universitari che si occupano di glaciologia e dello studio dei cambiamenti climatici tra cui Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana. Il documento è inoltre supportato dalle principali istituzioni che in Italia si dedicano al monitoraggio dei ghiacciai su scala regionale e nazionale tra cui il Comitato glaciologico italiano, l’Italian climate network, la Società alpinisti tridentini, il Servizio glaciologico della Lombardia e dell’Alto Adige.
“L’unico modo per salvare i ghiacciai è tagliare le emissioni di CO2 -spiega Valter Maggi, professore ordinario di Geografia fisica all’Università degli Studi Milano-Bicocca e presidente del Comitato glaciologico italiano-. I tentativi di mitigazione come la copertura non hanno alcun significato: si tratta di interventi estremamente costosi che da un punto di vista fisico funzionano bene, ma solo per preservare la neve su superfici ridotte. Come si fa, ad esempio, nelle aree sciistiche. Ma se vogliamo declinarla come operazione per salvare i ghiacciai, purtroppo, non funziona”.
Quella del “salvataggio dei ghiacciai” è una narrazione che si sta affiancando sempre più spesso a questo tipo di interventi. È il caso, ad esempio, di una recente campagna promossa da Mastercard che, per ogni transazione eseguita in Svizzera in un determinato arco di tempo, ha effettuato una donazione al progetto “Cover project foudation”. O dell’italiana Glac-up che si presenta come “la prima start-up che ti coinvolge nella salvaguardia e valorizzazione dei ghiacciai alpini”. La società, fondata da tre giovani imprenditori, propone ad aziende e cittadini di “adottare un ghiacciaio”: le risorse raccolte, si legge sul sito, verranno utilizzate per acquistare teli geotessili da stendere sulle superfici nevose alla vigilia della stagione estiva. “Come studiosi siamo preoccupati per l’ambigua comunicazione spesso accompagnata alla divulgazione di questi progetti -si legge nel documento-. Raccontare la copertura dei ghiacciai come una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico non è soltanto sbagliato, è anche un tentativo di greenwashing per descrivere come sostenibile e anzi addirittura auspicabile un intervento impattante sull’ambiente da diversi punti di vista”.
In altre parole, stendere una coperta bianca sui ghiacciai non solo non ha nulla a che fare con il contrasto al cambiamento climatico, ma rischia addirittura di alimentare quello stesso processo che ne mette a rischio la sopravvivenza. Gli interventi di posa e di successiva rimozione dei teli -che richiedono l’uso di gatti delle nevi e altri mezzi a motore- generano CO2. Mentre i teli sono realizzati con materie plastiche che rilasciano fibre nell’ambiente e devono essere sostituiti nell’arco di pochi anni a causa dell’usura, favorita dalle condizioni ambientali dei ghiacciai. “Coprire un ghiacciaio inquinando l’ambiente e consumando risorse significa perseverare nella stessa visione miope che ha provocato il problema”, chiariscono i ricercatori.
Occorre poi tenere in considerazione gli aspetti “logistici” di questi interventi che dovrebbero essere realizzati in ambienti impervi e privi di accesso dove, in molti casi, non è possibile operare con mezzi meccanici. Infine, la questione di costi: “Alcuni ricercatori svizzeri hanno stimato che per salvare un metro cubo di ghiaccio con i teloni è necessario investire ogni anno tra 0,6 e 8 euro -si legge nel documento-. Per osservare un positivo effetto di rallentamento è necessario preservare decine di migliaia di metri cubi di ghiaccio, con costi nell’ordine di centinaia di migliaia di euro per ogni intervento”. Sempre citando lo studio elvetico, la cifra (ipoteticamente) necessaria a coprire con teli appositi tutti i ghiacciai svizzeri permetterebbe di compensare le emissioni di gas serra dell’intero Paese “con effetti ‘democraticamente’ distribuiti su tutti i ghiacciai del Pianeta”.
Proprio la questione dei costi spiega perché solo pochi ghiacciai siano stati coinvolti in progetti di questo tipo lungo l’arco alpino (in Italia il Presena, la Marmolada, la Vedretta Piana nel comprensorio dello Stelvio): si tratta di quelli in cui sono presenti piste per sci alpino o altre forme di sfruttamento turistico. Per i firmatari del documento la stesura dei teli “è incoraggiata dalla tutela di interessi economici locali e puntiformi. I ghiacciai vengono coperti per garantire l’esistenza di piste da sci e risparmiare sui piani di innevamento artificiale durante la stagione sciistica”.
La copertura artificiale mette a rischio delicati e complessi ecosistemi. “Un progetto che prevede la copertura dei ghiacciai durante i mesi estivi mi lascia molto perplesso: non solo per i costi e per le enormi difficoltà logistiche che questo comporterebbe, ma perché vorrebbe dire snaturare un ecosistema”, spiega Roberto Ambrosini, professore associato di Ecologia presso l’Università degli Studi di Milano. I ghiacciai, infatti, ospitano numerose forme di vita “a volte anche estremamente specializzate, proprio per vivere in questo ambiente così ostile: solo pochi giorni fa è stata scoperta sul ghiacciaio del Calderone, in Abruzzo una nuova specie di collembolo (piccoli animali simili a insetti, ndr). Si tratta di forme di vita estremamente piccole e di una biodiversità microbica che fino a qualche anno fa non potevamo studiare perché non avevamo gli strumenti per farlo. ‘Impacchettare’ i ghiacciai per ‘proteggerli’ rischia di sconvolgere questi ecosistemi: sarebbe come rinchiudere la foresta amazzonica sotto una cupola”.
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