Diritti / Attualità
Il contadino solidale che ha sfidato la Fortezza Europa
Il 10 febbraio si chiuderà il processo a carico di Cédric Herrou, l’agricoltore francese sotto processo a Nizza per aver aiutato decine di migranti ad attraversare il confine tra Italia e Francia. Come lui, nella valle del Roya, altre 13 persone sono sotto inchiesta. Un manifesto di attivisti denuncia: “In Europa la solidarietà è considerata un crimine”
“Gentile monsieur Herrou, abbiamo sentito parlare di voi con grande stupore e con grande ammirazione per le sue azioni in favore dei rifugiati eritrei e sudanesi”. Elisabeth Chyrum è la direttrice di “Human rights concern Eritrea”, una delle associazioni più attive nel denunciare gli abusi di cui sono vittima i suoi connazionali in patria e all’estero. Nei giorni scorsi ha preso carta e penna per scrivere una lettera aperta a Cédric Herrou, l’agricoltore francese di 37 anni sotto processo a Nizza per aver aiutato decine di migranti ad attraversare il confine tra Italia e Francia.
Quello che agli occhi della legge è un reato (Cédric rischia fino a cinque anni di carcere e 10mila euro di multa) per Chyrum invece “dovrebbe essere fonte di ispirazione in tutto il mondo”. E chiede al tribunale francese di “respingere le accuse” a carico di Herrrou.
La valle del Roya (a cavallo tra Italia e Francia) è uno di quei luoghi che avevamo indicato nel numero di gennaio di Altreconomia sulla “mappa” dei delitti di solidarietà che si sta allargando un po’ su tutta l’Europa. Da una parte Ventimiglia, con centinaia di migranti accampati in attesa di poter lasciare l’Italia (anche a prezzo della vita), dall’altra la Francia, meta desiderata per alcuni o, per i più, nuova terra di passaggio in vista dell’Inghilterra o della Svezia. Nel mezzo, un gruppo nutrito e variegato di attivisti e volontari impegnati da diverso tempo per aiutare i migranti in fuga -spesso giovanissimi- a passare il confine e per offrire loro qualche giorno di ospitalità, calore amicizia. “Sono nato a Nizza, in un quartiere dove i miei compagni di classe erano neri, grigi, gialli, bianchi. Sono stato educato nell’indifferenza razziale ed è questo che mi si rimprovera oggi, di non fare la differenza, di non chiedere i documenti a un ragazzino prima di tendergli la mano -scrive Cédric Herrou in una lettera aperta-. Continuerò, fino al momento in cui non finirò in prigione, ad aiutare chi mi sembra una persona buona con o senza documenti perché amo la vita e la rispetto”.
Il 10 febbraio si chiuderà (in un modo o nell’altro) la vicenda di Cédric. Ma nella valle del Roya ci sono altre 13 persone che sono attualmente sotto inchiesta per aver aiutato i migranti a passare il confine italo-francese. Un confine che rimane chiuso per esplicita richiesta delle autorità francesi, che continueranno pattugliarlo fino al 15 luglio 2017. Per tenere alta l’attenzione sulla vicenda, gli attivisti francesi hanno diffuso il manifesto “Solidarietà, più che mai un reato?” che è già stato sottoscritto da più di cento realtà francesi tra sindacati e associazioni attive nella tutela dei diritti di rom e migranti. “I processi a carico dei residenti della Valle del Roya -‘colpevoli’ di andare in soccorso dei rifugiati- si avvicinano, con la minaccia di gravi condanne. Inoltre, abbiamo assistito per diversi mesi alla recrudescenza di episodi in cui la solidarietà viene considerato un crimine”, si legge nel manifesto.
I “delitti di solidarietà” in Francia non sono una novità. I primi episodi si registrarono già nel 2009 ma la mobilitazione delle associazioni ottenne una serie di riforme, tra cui una legge approvata il 31 dicembre 2012 che, teoricamente, avrebbe dovuto eliminare i reati di solidarietà dall’ordinamento giuridico francese. Ma così non è stato. La modifica di legge aumenta i casi di esenzione dal processo semplice: non si rischia più di finire in galera per il semplice fatto di “garantire condizioni di vita dignitose e decenti” o di “preservare la dignità e l’integrità fisica”. “Tuttavia -si legge nel manifesto- le persone che hanno espresso la propria solidarietà ai migranti irregolari continuano a essere trattate come criminali”.
Inoltre, si è cominciato a far uso di argomentazioni pretestuose (non collegate all’assistenza ai migranti) per colpire attivisti e volontari. La scusa più banale: offesa a pubblico ufficiale per tutti coloro che criticano le azioni della polizia. Fino a soluzioni decisamente “creative”, come multare le famiglie che ospitano migranti “pizzicati” nel dare una mano nelle faccende domestiche, vietare l’accesso in alcune aree per non precisate “motivazioni d’emergenza” e ancora applicare alla lettera regolamenti urbanistici per smantellare gli accampamenti dei migranti nelle campagne di Norrent-Fontes, a una sessantina di chilometri da Calais. “Sempre più spesso, il solo fatto di aver testimoniato alle operazioni di polizia, allo sgombero dei campi, alle incursioni può portare a un arresto con la scusa di violenza nei confronti degli agenti”, si legge nel documento.
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