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Consumo di suolo. L’Italia perde ancora tre metri quadrati al secondo
Tra il novembre 2015 e il maggio 2016, il nostro Paese ha “alterato” 50 chilometri quadrati di territorio. 30 ettari al giorno. “Rimettendo” oltre 900 milioni di euro l’anno per i servizi ecosistemici dispersi. È quanto emerge dal nuovo Rapporto dell’ISPRA presentato il 22 giugno. A questa velocità -lenta, “grazie” alla crisi- perderemo 3.270 chilometri quadrati entro il 2050. Termine che l’Unione europea ha previsto per il “consumo zero”
Tre metri quadrati al secondo. È la velocità di trasformazione alla quale il nostro Paese ha perso irreversibilmente territorio naturale e agricolo tra il novembre 2015 e il maggio 2016, il periodo d’osservazione del “Rapporto sul consumo di suolo in Italia 2017” curato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e presentato il 22 giugno.
Rispetto al 2000 -quando si registravano picchi di 8 metri quadrati al secondo- il consumo di suolo italiano ha visto “consolidarsi” un rallentamento che però non è ancora “sufficiente”. “Le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 50 chilometri quadrati di territorio -si legge infatti nel Rapporto-, ovvero, in media, poco meno di 30 ettari al giorno”.
“È un valore pari a 200mila nuove villette o 2.500 chilometri di autostrada -spiega ad Altreconomia Michele Munafò, del Dipartimento ISPRA per il Servizio geologico d’Italia nonché coordinatore tecnico-scientifico della ricerca-. A questa velocità, peraltro piuttosto bassa a causa della crisi economica, perderemmo ulteriori 3.270 chilometri quadrati entro il 2050, con punte di 8.326 chilometri quadrati nel caso di una rincorsa impressa dalla ripresa economica”. Il 2050 è il termine che l’Unione europea ha posto per “fermare” il consumo di suolo, cioè azzerare la velocità di trasformazione. È un obiettivo fondamentale per un Paese che -dati del del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) alla mano- vede ormai “intaccati” dal consumo di suolo oltre 23mila chilometri quadrati, il 7,6% della superficie territoriale.
Tra il 2000 e il 2006 la perdita media nell’Ue è cresciuta del 3%, con picchi del 14% in Irlanda e Cipro e del 15% in Spagna. Nel periodo 1990-2006, 19 Stati Membri hanno perso una potenziale capacità di produzione agricola pari complessivamente a 6,1 milioni di tonnellate di frumento (ISPRA, 2017)
“Le aree più colpite -spiega l’ISPRA- risultano essere le pianure del Settentrione, dell’asse toscano tra Firenze e Pisa, del Lazio, della Campania e del Salento, le principali aree metropolitane, delle fasce costiere, in particolare di quelle adriatica, ligure, campana e siciliana”. In testa c’è la Lombardia, “con quasi 310 mila ettari del suo territorio coperto artificialmente (circa il 13% dei 2,3 milioni di ettari del consumo di suolo nazionale è all’interno della regione Lombardia), contro i 9.500 ettari della Valle d’Aosta”.
Volgendo lo sguardo al livello provinciale, invece, Monza e Brianza si conferma “quella con la percentuale più alta di consumo di suolo rispetto al territorio amministrato (oltre il 40%), con una crescita ulteriore, tra il 2015 e il 2016, di 22 ettari”. Seguono Napoli e Milano (oltre il 30%), Trieste, Varese, Padova e Treviso. Proprio a Treviso c’è stato l’incremento maggiore: “186 ettari tra il 2015 e il 2016, il valore più alto a livello nazionale”.
La distribuzione territoriale del consumo di suolo dà conto del fatto che “quasi un quarto della fascia compresa entro i 300 metri dal mare è ormai consumato”. Con Marche e Liguria a guidare questa classifica (quasi il 50% del suolo è consumato). Il Paese “mangia terra” non si ferma nemmeno davanti al rischio idraulico, di frana o alla pericolosità sismica: “Il consumo di suolo all’interno di aree classificate a pericolosità da frana -affermano gli autori del Rapporto- è circa l’11,8% (quasi 273.000 ettari) del totale del suolo artificiale in Italia”. Del resto, “Il suolo nelle aree a pericolosità sismica alta e molto alta è consumato con una percentuale di oltre il 7% nelle aree a pericolosità sismica alta e di quasi il 5% nelle aree a pericolosità molto alta, pari ad oltre 860.000 ettari di superficie consumata”.
Ogni anno in Europa è stimato che un’area pari a circa 1.000 chilometri quadrati, più o meno equivalente alla superficie di una città come Berlino, viene definitivamente persa in seguito alla costruzione di nuove infrastrutture e reti viarie (Commissione Europea, 2011)
Perdere suolo non comporta soltanto “degradazione dell’ambiente” o impatti “alti e consistenti”. Determina anche un costo in termini di perdita di servizi ecosistemici -come stoccaggio e sequestro del carbonio, protezione dall’erosione, regolazione del microclima, infiltrazione dell’acqua, etc-. Nel Rapporto c’è un’interessante “stima preliminare” dei costi annuali minimi e massimi dovuti al consumo di suolo avvenuto tra il 2012 e il 2016 in Italia. Il risultato è impressionante: “l’impatto economico del consumo di suolo in Italia varia tra i 625,5 e i 907,9 milioni di euro l’anno, pari ad un costo compreso tra 30.591 e 44.400 euro per ogni ettaro di suolo consumato”.
Michele Munafò elenca i “settori” che hanno contribuito al consumo di suolo. “Le principali trasformazioni che abbiamo misurato sono legate a opere pubbliche e a massicci interventi, come ad esempio poli logistici e del commercio. L’edilizia è concentrata nelle zone urbane e periurbane a bassa densità”.
L’obiettivo “consumo zero” fissato al 2050 ha bisogno di un alleato che per Munafò deve essere “una legge chiara ed efficace che orienti in maniera netta le politiche locali, perché è a quel livello che si assumono le decisioni”. Il punto, però, è che la legge in discussione in Parlamento –attualmente è ferma al Senato– desta più di una perplessità. Il Rapporto è netto. A proposito delle definizioni contenute nel testo, rileva come, “contrariamente a quelle utilizzate dall’Unione europea”, queste “appaiono limitative, non considerando il consumo di suolo in tutte le sue forme e rappresentando allo stesso tempo un potenziale ostacolo al suo reale contenimento”. Una situazione “ambigua” che “potrebbe, tra l’altro, causare anche un rischio di shifting, con la possibilità di ottenere un effetto negativo legato alla localizzazione nelle aree ‘non vincolate’ del consumo di suolo previsto nelle aree ‘vincolate’”. Motivo per cui “sarebbe auspicabile una revisione del testo normativo finalizzata a semplificare la procedura e a rivedere i criteri di esclusione contenuti nel disegno di legge”.
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