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Claudio Descalzi confermato dal governo alla guida di Eni, nonostante tutto
Indagini dentro e fuori l’Italia, inchieste giornalistiche, scandali internazionali: valgono poco, anche questo esecutivo infatti ha confermato la fiducia in Claudio Descalzi e nel suo “modello” di Eni. Una decisione che per Re:Common è contraria agli interessi nazionali e minerebbe la credibilità del Paese sui mercati. Ecco perché
Claudio Descalzi resterà amministratore delegato di Eni per altri tre anni nonostante le gravi accuse di corruzione internazionale aggravata riguardanti il presunto pagamento da parte dell’azienda di una tangente di 1,1 miliardi di dollari nel 2011 per l’acquisizione della importante licenza offshore Opl245 in Nigeria, insieme alla Shell. Una sentenza di primo grado è attesa da parte del tribunale di Milano ad inizio 2021.
Indagini su altre operazioni di Eni nella Repubblica del Congo, avviate sempre sulla base di un esposto di Re:Common e dei suoi partner internazionali, avrebbero portato alla luce prove che dimostrerebbero un altro possibile caso di corruzione, mentre lo stesso Claudio Descalzi è stato accusato di un serio conflitto di interesse dopo che è stato scoperto che l’Eni era in affari per 300 milioni di dollari con alcune società che, attraverso una impresa registrata in Lussemburgo, facevano capo alla moglie Maria Magdalena Ingoba. Descalzi ha affermato che le transazioni non sono mai state oggetto di sue valutazioni o decisioni, ma ha di fatto confermato il legame.
Il 17 aprile scorso la Security and Exchange Commission americana (SEC), l’autorità di vigilanza di Wall Street, ha divulgato la notizia che Eni ha accettato di patteggiare con ammissione di colpa le accuse di aver violato le disposizioni in materia di controllo contabile interno previste dalla legge sulle pratiche di corruzione all’estero (FCPA), in relazione a uno schema di pagamento improprio in Algeria da parte di Saipem, controllata al tempo dei fatti per il 43% dall’Eni. Secondo la SEC, “Eni è recidiva, essendo stata precedentemente accusata dalla SEC nel 2010 per aver violato le stesse disposizioni dell’FCPA in materia con un piano di corruzione in Nigeria da parte della sua allora controllata Snamprogetti Netherlands, B.V.”. Lo scorso gennaio, Eni, Saipem e i loro manager sono stati assolti in appello a Milano per il caso di corruzione internazionale in Algeria, per il quale la SEC ha invece ritenuto procedere come descritto.
“La decisione del governo italiano di confermare Claudio Descalzi alla guida dell’Eni -spiega Antonio Tricarico di Re:Common- nonostante i procedimenti e le indagini per corruzione internazionale in corso a suo carico al tribunale di Milano è grave e rischia di avere pesanti conseguenze per la credibilità dell’Italia. Specialmente ora che il nostro Paese cerca risorse sui mercati internazionali e dai partner europei per far fronte all’emergenza economica che deriva da quella sanitaria. Il patteggiamento spinto dalla SEC negli Usa è un preciso segnale che gli investitori internazionali chiedono credibilità a chi guida la più grande multinazionale italiana. Ed è chiaro che Descalzi non è ‘fit for the purpose’, come direbbero oltreoceano. È giunto il momento che gli investitori di Eni, anche quelli internazionali, si prendano le proprie responsabilità e contestino la nomina del governo”, ha concluso Tricarico.
L’indagine della Procura di Milano sull’Opl245 è iniziata sulla base di un esposto presentato da Re:Common e i suoi partner nel 2013. Ottantacinque milioni di dollari sono stati sequestrati a Londra e già restituiti al governo nigeriano, che è parte civile nel processo a Milano e potrebbe richiedere danni fino a 3,5 miliardi di dollari a Eni e Shell. Centododici milioni di dollari sono ancora sotto sequestro in Svizzera. Due intermediari, Emeka Obi e Gianluca Di Nardo, sono già stati condannati in primo grado con rito abbreviato a quattro anni di reclusione.
Il processo di Milano sulla presunta maxi-tangente nigeriana non è stato certo privo di colpi di scena, con i pubblici ministeri che quest’anno hanno dichiarato al tribunale di ritenere che i dirigenti dell’Eni abbiano cercato di interferire sulle testimonianze dei testimoni, tentando di corromperne uno, mentre hanno anche sostenuto che la società ha ordinato operazioni di sorveglianza contro giornalisti e gli stessi Pubblici ministeri. L’Eni ha dichiarato di “negare categoricamente di aver mai messo in piedi operazioni di raccolta di informazioni e di considerarsi vittima nel caso in cui fosse stato commesso un reato di intralcio alla giustizia”.
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