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Terra e cibo / Opinioni

Come “disintossicare” i nostri sistemi alimentari

© Tim Toomey, unsplash

Il comparto agroalimentare ha stretti legami con le società fossili. Il risultato sono cibi ultra-processati il cui impatto sulla salute ha un costo elevatissimo. La rubrica di Riccardo Bocci di Rete Semi Rurali

Tratto da Altreconomia 265 — Dicembre 2023

Il dibattito sulla sostenibilità dell’agricoltura ha registrato, lo scorso novembre, l’uscita di due importanti contributi: “Power shift: perché dobbiamo disintossicare i sistemi alimentari industriali dai combustibili fossili”, pubblicato dal think tank Global alliance for the future of food e l’annuale “State of World” della Fao dedicato a svelare i veri costi dei sistemi alimentari (“The state of food and agriculture 2023. Revealing the true cost of food to transform agrifood systems”).

In realtà niente di nuovo sotto il sole, si tratta di analisi note da anni agli addetti ai lavori, ma vedere dati e grafici che mostrano l’impatto in termini energetici del cibo ultra-processato (ad esempio uno yogurt alla frutta industriale rispetto al formaggio o al latte fresco) colpisce di più di tanti discorsi.

Il report “Power shift” non si limita a ricordarci che l’agricoltura industriale è un sistema energivoro e che il nostro cibo è “pieno” di petrolio. Gli autori entrano nella possibile (e necessaria) transizione di sistema individuando uno dei punti critici nei meccanismi di potere. “Vale la pena notare -scrivono- che le principali aziende petrolchimiche, plastiche e agrochimiche fanno spesso parte delle stesse strutture aziendali, ad esempio China petroleum & chemical corp, TotalEnergies, Exxon Mobil”.

Queste società hanno un interesse nel promuovere e perpetuare sistemi alimentari industriali estrattivi, dipendenti dai combustibili fossili e dalla chimica. Forniscono inoltre contributi significativi alla politica per garantirsi la loro influenza: “L’agroalimentare statunitense ha speso 750 milioni di dollari in donazioni ai candidati politici nazionali tra il 2000 e il 2020 e 2,5 miliardi di dollari in attività di lobby dal 2000 al 2019 -si legge nel report-. Mentre il settore energetico ha speso un miliardo di dollari per i candidati politici e 6,2 miliardi di dollari in attività di lobby”.

In questo scenario come si può attuare un cambiamento? Un possibile strumento a disposizione della politica per indirizzare la trasformazione dei sistemi agroalimentari lo offre la pubblicazione della Fao che cerca di rendere evidenti i costi nascosti (True cost accounting, Tca) del cibo che mangiamo. L’obiettivo dell’Agenzia delle Nazioni Unite, infatti, è fornire strumenti ai decisori politici per attuare scelte consapevoli nel disegnare i propri sistemi agroalimentari, una volta che sono a conoscenza dei costi sociali e ambientali che non vengono calcolati nei prezzi dei prodotti.

La stima dei costi nascosti del cibo che mangiamo ammonta a 12.700 miliardi di dollari, pari a circa un terzo del Pil globale. Per oltre il 70% sono dovuti all’impatto sulla salute.

Non si tratta di numeri di poco conto. Leggendo il report scopriamo che nel 2020 i Tca sono stimati a 12.700 miliardi di dollari (circa un terzo del Pil globale). Per oltre il 70% sono dovuti all’impatto sulla salute, legato a insicurezza alimentare, sovrapproduzione e consumo di cibi ultra-processati. Come dire che il modello agricolo dominante è un problema sia per quei Paesi che si pensano moderni e sviluppati, sia per quelli considerati in via di sviluppo che stanno ricalcando le orme dei primi lungo l’unica linea del progresso agricolo che vediamo all’orizzonte.

Alla fine, però, tutta la mole di dati accumulata e ben descritta dalle due pubblicazioni si scontra con una montagna che sembra insormontabile: interessi e poteri costituiti, ideologie vecchie non più capaci di rappresentare la realtà, conglomerati economici che conservano se stessi. Superare questi ostacoli in nome di una nuova governance in grado di promuovere la transizione sarebbe il ruolo della politica. Peccato che stia scomparendo dalla nostra quotidianità, svuotata di senso dopo l’ubriacatura delle ideologie novecentesche.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola

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