Diritti / Attualità
Una “clinica mobile” contro il caporalato nell’Agro Pontino
Sono circa 30mila i braccianti Sikh impiegati nei campi e nelle serre, costretti a lavorare anche 12 ore al giorno per una paga di pochi euro (spesso in nero o in “grigio”). La cooperativa “InMigrazione” lancia un progetto di crowdfunding per dare una risposta di giustizia e legalità
“Così come da una ferita non curata si genera un’infezione, il caporalato è la conseguenza di una situazione di emarginazione dei braccianti. Noi vogliamo spezzare questa situazione di isolamento che alimenta lo sfruttamento”. Non usa mezze parole Marco Omizzolo, giornalista e direttore scientifico di “InMigrazione” per illustrare gli obiettivi che la cooperativa con sede a Latina vuole raggiungere attraverso la campagna di di crowdfunding “Con i Sikh, contro il caporalato” lanciata a metà settembre. “Vogliamo dare una risposta concreta ai bisogni delle migliaia di braccianti che vivono e lavorano nell’Agro Pontino. Dopo gli scioperi e le manifestazioni organizzate in questi anni, era nostro dovere politico e morale essere conseguenti”, spiega Omizzolo, riferendosi allo storico sciopero dell’aprile 2016, durante il quale circa 4mila lavoratori sikh hanno incrociato le braccia. “L’isolamento non è solo geografico -aggiunge- ma è legato anche a un rapporto di forza. Il datore di lavoro e il caporale vogliono l’isolamento: noi dobbiamo intercettare questo bisogno di giustizie e legalità”.
Le risorse raccolte attraverso la campagna di crowdfunding andranno a finanziare un centro servizi d’avanguardia per contrastare lo sfruttamento lavorativo, il caporalato e la tratta. I fondi, verranno utilizzati per formare un team specializzato composto da legali, mediatori culturali e assistenti sociali che per almeno 12 mesi si muoveranno per le campagne dell’Agro Pontino per incontrare i braccianti indiani. Le diverse figure professionali coinvolte permetteranno di accompagnare i lavoratori ai servizi sociali del territorio, orientarli nella fruizione dei servizi sanitari, fornire assistenza legale gratuita nelle questioni legate al contrasto del lavoro nero, al caporalato e allo sfruttamento nei campi. Inoltre il centro offrirà corsi di italiano e informazioni sul diritto del lavoro con l’obiettivo di liberare i braccianti da tutti quei condizionamenti e quei vincoli che li legano ai loro sfruttatori.
“Non ci limiteremo ad aprire un ufficio e aspettare che le persone vengano a bussare alla nostra porta -spiega Omizzolo-. Andremo a incontrare le persone vicino ai luoghi di lavoro, nelle strade adiacenti ai campi, nei luoghi dove vivono, nei loro luoghi di culto. Fornendo ai braccianti il sostegno di cui hanno bisogno”. Una vera e propria “clinica sociale mobile” che porterà in giro per le campagne laziali un team formato da un avvocato, un mediatore culturale e -se sarà necessario- anche un medico e un infermiere.
Un progetto che nasce dall’esigenza di dare una risposta a un fenomeno dai numeri importanti. Secondo le stime di “InMigrazione” sarebbero circa 30mila i braccianti che vivono nell’Agro Pontino a una manciata di chilometri da Roma. Uomini di origine indiana che lavorano nei campi e nelle serre oltre 12 al giorno (contro le 6,40 ore fissate dal contratto nazionale) per una paga media di 3-4 euro l’ora (contro gli 8 del contratto nazionale). Costretti spesso a vivere in condizioni abitative inadeguate, in una situazione di emarginazione e isolamento che rende rafforza il potere dei caporali.
Secondo quanto denuncia un dettagliato rapporto di “InMigrazione” siamo di fronte a un “sistema collaudato, ben strutturato e organizzato di sfruttamento e truffa” che permette di “trarre il massimo profitto dall’attività di lavoro dei braccianti indiani e della loro condizione di fragilità sociale e culturale (la scarsa conoscenza della lingua italiana) che, in alcuni casi rasenta la riduzione in schiavitù”. Una situazione peculiare, quella dell’Agro Pontino, rispetto alla maggior parte delle aree in cui agiscono i caporali. A differenza di quanto avviene nella Piana di Rosarno o nella Capitanata, ad esempio, qui ci troviamo di fronte “a un impiego costante per lunghi periodi di un esercito fidelizzato di braccianti ma informale, che garantisce un settore ‘grigio’ di illegalità nel quale si muovono con destrezza alcuni imprenditori e i loro consulenti”.
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