Diritti / Approfondimento
“Chiediamo salute, vogliamo giustizia”. La battaglia degli operai di Sesto San Giovanni, 23 anni dopo
Nel 1997, di fronte al numero crescente di lavoratori delle fabbriche che si ammalavano e morivano di tumore, nasceva il “Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio”. Tra i fondatori c’era anche Giambattista Tagarelli, scomparso nel 1999. Il Comitato lo ricorda con un suo intervento ancora oggi attuale
Negli anni 90 una forte ondata di cassa integrazione colpì massicciamente la classe operaia di Sesto San Giovanni. Era il preludio della chiusura di tutte le grandi fabbriche della città che sarebbe avvenuta nell’arco di una decina d’anni. Espulsi dalle fabbriche, abbandonati da tutti -a cominciare dal sindacato- gli operai della Breda e quelli della Magneti Marelli, con una forte presenza femminile, si organizzarono facendosi promotori del “Coordinamento cassintegrati milanese”.
Dopo aver chiesto inutilmente prima al sindacato e poi a varie istituzioni un luogo dove riunirsi, il 23 aprile del 1994 il gruppo di cassintegrati delle fabbriche “storiche” di Sesto San Giovanni (Breda, Magneti Marelli, Ansaldo, Oerlikon) occupa una vecchia cascina abbandonata, situata in viale Marelli 225, nel cuore del Quartiere 3 Isola del Bosco, territorio su cui sorgevano anche gli stabilimenti Breda. Questo luogo, diventato sede di organizzazione delle lotte, di socialità, di partecipazione, interno al quartiere, si chiamava Cascina Novella, punto di riferimento per centinaia di lavoratori espulsi dalle fabbriche e divenuto noto come “il fortino dei cassintegrati”.
Davanti al crescente numero di nostri compagni di lavoro che si ammalavano e morivano di tumore, il 4 giugno 1997 nasce l’associazione “Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio” con sede a Sesto San Giovanni, in Cascina Novella Occupata (sede poi trasferita oggi in via Magenta 88 presso il Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”) e Giambattista Tagarelli fu uno dei fondatori.
L’intervento di Giambattista Tagarelli è stato fatto durante il convegno organizzato dal comitato al Teatro Elena di Sesto San Giovanni il 13 dicembre del 1997, dal titolo “Quando il lavoro uccide”. L’obiettivo del convegno era attirare l’attenzione della cittadinanza e dei media sulla tragedia che si stava svolgendo, con decine di ex lavoratori -della Breda, della Falck, della Marelli, della Pirelli, ormai chiuse o delocalizzate- che si ammalavano e morivano.
Rileggendo oggi, a distanza di 23 anni, le parole di Giambattista si scopre che sono più attuali che mai: un pesante atto d’accusa a un sistema industriale e alle sue istituzioni che, in nome del profitto, continua a distruggere gli esseri umani e la natura.
Michele Michelino è presidente del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio di Sesto San Giovanni
Sesto San Giovanni, 13 dicembre 1997
“Mi chiamo Gianni Tagarelli e sono uno dei lavoratori ammalati di tumore. Sono stato 15 anni in quello che era considerato il reparto mattatoio, dove si lavorava senza criterio, non c’erano nemmeno gli aspiratori. Io lavoravo sulla famosa macchina dove venivano saldate le aste per trivellare il petrolio e quando saldavamo usavamo dei pannelli di amianto, era una saldatrice ad alta resistenza.
Mi ricordo che c’era un operaio -Crippa, deceduto anche lui- che partiva da Bergamo alle quattro, veniva prima per accendere il fuoco e riscaldare i pezzi, poi noi alle sei cominciavamo a saldare. La macchina era una saldatrice colossale, ci lavoravamo sopra in quattro. Siccome non c’era l’aspiratore, Crippa quando arrivava apriva il tetto, di modo che i fumi uscivano e si disperdevano per Sesto, e oltre ad avvelenare noi inquinavano anche la città. Questa è una cosa che abbiamo scoperto adesso.
Io vengo dalla Puglia, quando mi hanno assunto in Breda era come se avessi vinto al totocalcio: ero contento, anche se nessuno ti spiegava niente, dovevi fare quello che ti dicevano e lavorare. Siccome era tutto aperto, l’inquinamento si spandeva anche negli altri reparti. Nel mio reparto lavoravamo in 24 o 25, non mi ricordo. Dei miei compagni fino ad oggi ne sono morti 18, e quattro stanno lottando con la morte: guarda caso, tutti dello stesso reparto. Io mi sono operato, e vivo perché la voglia di vivere mi dà la forza. Ho visto come sono aumentati i morti, nel giro di 10 anni, fra la gente che lavorava sulla seconda linea.
È successo che è morto il mio compagno Camporeale, che lavorava con me sul macchinone. Io non avevo ancora scoperto la mia malattia, ma è stato lì che ho cominciato ad allarmarmi: questo ragazzo aveva lavorato solo in Breda. Nel 1992 ho scoperto di essere ammalato anch’io: ho un linfoma, un tumore. A quel punto mi sono rivolto ai miei compagni per cercare di fare qualcosa. Abbiamo cominciato a muoverci grazie alla collaborazione di Michelino e della famosa Cascina Novella, dove il sindaco [Filippo] Penati -mi dispiace che se ne sia andato via adesso- è stato invitato decine di volte, così come la dottoressa Bodini e i sindacati, ma lui non si è mai presentato.
Quelli della Cascina li vedete qui adesso, siamo noi: non so se abbiamo la faccia da delinquenti, di sicuro c’è che siamo malati. Io dico basta, basta con questi omicidi; noi del Comitato vogliamo solo giustizia. E volevo aggiungere un’altra cosa: i signori magistrati vogliono archiviare questi casi. È chiaro il perché: sono dei casi grossi, ma grossi veramente, perché i morti continuano ad aumentare; ed è logico che a loro dia fastidio, la Breda significa un patrimonio grosso.
Io ho qui delle cartelle dal 1973 al 1988: tutti gli anni due ufficiali della Ussl, la dottoressa Bodini e Alberto Maremmani, facevano i sopralluoghi e dicevano ai padroni e al sindacato che non si poteva andare avanti a lavorare così: è scritto qui. E i padroni e i magistrati si permettono di dire che noi non avevamo l’amianto, che il nostro non era un reparto nocivo. Intanto, per disintossicarci, a noi alla mattina il padrone ci faceva distribuire mezzo litro di latte.
Ma noi non ci fermiamo: il Comitato è qui per dire che la battaglia va avanti. I documenti parlano, i risultati li stiamo vedendo, la gente continua a morire. Se sarà necessario, siamo disposti anche a fare il picchetto ai magistrati, ad occupare il Tribunale: perché noi non chiediamo né macchine né pellicce, chiediamo la salute e vogliamo giustizia. Basta con gli omicidi bianchi. C’è una legge che dice che chi ha lavorato per tanti anni in queste condizioni, a livello pensionistico ha diritto a qualcosa. Perché la gente che ha lavorato in questi reparti non ha potuto andare in pensione un po’ prima, e vivere qualche anno di più?
La legge c’è. Noi chiediamo la collaborazione di tutti compagni, anche delle altre fabbriche, perché venga fatta giustizia: che i magistrati non si provino ad archiviarci. Grazie”.
Giambattista Tagarelli è morto il 3 giugno 1999. Aveva 54 anni.
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