Diritti / Opinioni
“Chi si oppone a un illecito respingimento verso la Libia è dalla parte della ragione”
Siamo uno Stato di diritto eppure le autorità sembrano non interessarsi assolutamente a decisioni delle giurisdizioni supreme -Cassazione in testa- che sono già intervenute su casi paragonabili a quelli in corso nel Mediterraneo e nel porto di Catania, smontando l’operato illegittimo del governo. L’analisi di Luca Masera
Pubblichiamo la trascrizione dell’intervento orale di Luca Masera, professore ordinario di Diritto penale all’Università degli studi di Brescia, nel corso dell’evento online “Sbarco contro i diritti” del 7 novembre 2022. Parole preziose per comprendere i gravi fatti accaduti e ancora in corso a Catania.
Posto che i decreti interministeriali sono illegittimi -come chiarito anche da Francesca De Vittor durante il suo intervento a “Sbarco contro i diritti”– affrontiamo i quesiti conseguenti. Ora che cosa succede? Che cosa succederebbe cioè qualora i comandanti delle navi delle Organizzazioni non governative non obbedissero ai decreti, cioè a questi ordini illegittimi? Che cosa succederebbe se i comandanti decidessero di forzare la situazione per fare sbarcare i soggetti che sono rimasti sulle navi? O che cosa succederebbe ancora se le navi che sono ancora fuori dalle acque internazionali decidessero di non rispettare il divieto di ingresso ed entrassero nelle acque nazionali?
Sono domande decisive e che potrebbero ripresentarsi ma la risposta non è affatto difficile. Ce l’hanno già data i giudici. Prendiamo il caso di Carola Rackete, la comandante della nave Sea-Watch 3 arrestata nel giugno del 2019 dopo aver sbarcato al porto di Lampedusa. Il caso Rackete, in termini di diritto, è identico ai casi che si stanno verificando in questi giorni. Anzi: il caso Rackete era ancora più forte rispetto alla situazione di coloro che sono oggi nei porti italiani. Perché Rackete aveva ricevuto, sulla base del “decreto Salvini” all’epoca vigente, il divieto di entrare in acque nazionali. Bene: era entrata in acque nazionali, aveva ricevuto di nuovo il divieto di accostare al porto e si era invece accostata e addirittura aveva dovuto superare la resistenza opposta dalla Guardia di Finanza. Quindi una condotta molto dura e molto decisa.
Questo caso è stato già deciso addirittura dalla Corte di Cassazione. E il fatto che se ne parli così poco oggi nel dibattito pubblico lo trovo stupefacente. È come se ci fossero incertezze giuridiche. Leggo sui giornali interrogativi del tipo “Se il capitano non adempie, adesso che cosa succederà? Verrà arrestato o non verrà arrestato?”. Noi abbiamo già una decisione, quella del caso Rackete, che era stata arrestata per resistenza a pubblico ufficiale. L’arresto non era stato convalidato dal Giudice delle indagini preliminari che aveva riconosciuto come Rackete avesse adempiuto al proprio dovere. La comandante aveva cioè il dovere, e non il diritto, di opporsi alla Guardia di Finanza per fare sbarcare le persone soccorse, perché il diritto del mare impone di sbarcare in un luogo sicuro tutti i naufraghi soccorsi, al di là del loro status giuridico. Uno potrebbe obiettare “È una decisione del Gip di Agrigento”, e pertanto discutibile. Questa decisione è stata confermata dalla nostra Corte di Cassazione che in modo nettissimo ha detto che tutti gli argomenti del giudice di Agrigento sono assolutamente condivisibili. Quell’ordine dunque era illegittimo e chi lo ha violato non ha commesso alcun fatto illecito, anzi ha fatto il proprio dovere.
Faccio un passo ancora in là. Il fatto che la Cassazione abbia confermato la decisione di non convalida dell’arresto ci offre dei punti di riferimento anche in relazione, e qui ipotizzo degli scenari che purtroppo si potrebbero verificare, a che cosa succederebbe qualora un comandante decidesse di violare l’ordine e la Guardia di Finanza, come nel caso Rackete, vi si opponesse con la forza. Attenzione: la decisione della Cassazione di non convalidare l’arresto significa dire che gli operatori della Guardia di Finanza nel caso Rackete avevano sbagliato, cioè non dovevano procedere all’arresto. Significa che se qualcuno della Guardia di Finanza oggi decidesse, in una situazione estrema che spero non si verifichi ovviamente, di usare la forza, non sarebbe il comandante che ha forzato la situazione a risponderne penalmente ma sarebbero i pubblici ufficiali che hanno usato la forza a risponderne, perché l’adempimento a un ordine del ministro non è una scriminante e perché qui ci troviamo di fronte a un ordine che sarebbe manifestamente criminoso.
La Cassazione ha detto in moltissime occasioni che nessuno può essere respinto verso la Libia. Quindi chi si oppone a un illecito respingimento verso la Libia è dalla parte della ragione, non dalla parte del torto. È importante portare all’attenzione queste decisioni. Siamo uno Stato di diritto eppure le nostre autorità di governo sembrano non interessarsi assolutamente a decisioni delle nostre giurisdizioni supreme che sono intervenute su casi assolutamente paragonabili, per non dire identici.
Termino sul “Che cosa succede se il comandante viola questo decreto?”. È molto semplice: non viene arrestato, non può venire arrestato perché il reato di cui risponderebbe il capitano che violasse questo ordine è un reato punito con la reclusione al massimo fino a due anni, mentre tutte le misure cautelari personali hanno come limite quello di tre anni di pena massima. Quindi nessuna misura può essere applicata al capitano che decidesse di violare questi ordini illegittimi.
E questo invece è un dato che mi sembra non sia assolutamente chiaro nel dibattito, anzi sembrerebbe che il comandante si esponga a gravi responsabilità penali. E non è proprio così. Anche questa idea, che a mio avviso è significativa del degrado della comunicazione pubblica, per la quale in uno Stato di diritto violare un ordine dell’autorità amministrativa significhi il carcere è stupefacente. Siamo ben lontani da questo. A parte che, ovviamente, se l’ordine è illegittimo, violarlo non configura nessun illecito. Ma in ogni caso la decisione sulla responsabilità penale non ha nulla a che vedere con l’autorità amministrativa. Assisto a trasmissioni in cui sembra che se non si rispettano le indicazioni del ministro dell’Interno si va in carcere, come una sorta di automatismo. “Non hai rispettato quello che ha detto il ministro dell’Interno allora vai in carcere”. Se così fosse questa sarebbe una dittatura. Per fortuna siamo ancora in un sistema di diritto in cui c’è una magistratura che decide della responsabilità.
Quel che davvero mi risulta paradossale e offensivo accettare è che noi sappiamo tutti, credo, che queste persone che sono su quelle navi sbarcheranno, tutte, perché non c’è altra possibilità. Dove possono andare queste persone che sono nel porto di Catania? In Libia non possono andare. L’ordine del ministro, in maniera assurda, dispone di andare in acque internazionali. E poi? Se vanno in acque internazionali dopo dove vanno? In Germania?
Questa violazione, anche del senso di realtà e del senso comune, è davvero insopportabile. Ed è importante fare riferimento ai precedenti giurisprudenziali che ci sono e che sono forti: questi divieti sono illeciti e chi non rispettasse questi divieti non commetterebbe un illecito. Ricordare questi principi può essere utile per far sì che questa situazione cessi. Perché è una situazione che è davvero oscena da un punto di vista umano ma anche da un punto di vista giuridico. È osceno che si possa fare finta che la Cassazione non abbia detto nulla. E si tratta di una sentenza di due anni fa.
Luca Masera è professore ordinario di Diritto penale all’Università degli studi di Brescia, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). È tra i fondatori della Onlus ResQ-People Saving People
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