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Ambiente / Approfondimento

Che cosa non va nella Strategia europea sulle materie prime critiche

Operai in una fabbrica per la lavorazione del litio in Cile. © Commissione europea

Le misure proposte dalla Commissione europea per favorire l’accesso a materie prime critiche non considererebbe l’impatto sull’ambiente e sulle comunità. E non comporterebbe una reale riduzione dello sfruttamento delle risorse. L’analisi a cura del centro di ricerca sulle multinazionali, Somo

“La Strategia proposta dall’Unione europea per garantire l’accesso alle materie prime critiche e strategiche (Crmr) non garantirà un approvvigionamento sostenibile, peggiorerà la situazione dei diritti umani e i rischi ambientali e minerà lo sviluppo dei Paesi partner”. È l’allarme lanciato a metà maggio da Somo, il Centro di ricerca olandese sulle multinazionali. In particolare, la Crmr non affronterebbe il problema del consumo insostenibile dell’Europa e rafforzerebbe un quadro economico in cui i Paesi terzi ricchi di risorse “sono spinti a rimanere fornitori di materie prime che alimentano la domanda dei consumatori e gli stili di vita insostenibili delle potenze globali”.

Un passo indietro. Il 16 marzo del 2023 la Commissione europea ha presentato la prima proposta per una strategia comunitaria sulle cosiddette materie prime critiche e strategiche, un insieme di 30 sostanze (tra cui terre rare, cobalto e litio) considerate “indispensabili per un’ampia serie di settori strategici, tra cui il raggiungimento del net zero, l’industria digitale, il settore aerospaziale e quello della difesa”. Lo scopo della Crmr è quello di sviluppare una serie di misure per garantire l’accesso a un approvvigionamento sicuro, diversificato, abbordabile e sostenibile da parte degli Stati membri. “Mentre si prevede che la domanda di queste risorse aumenterà drasticamente, l’Europa dipende fortemente dalle importazioni, spesso da fornitori quasi monopolistici di Paesi terzi. Ciò può mettere a rischio gli sforzi dell’Unione per raggiungere gli obiettivi climatici e digitali. L’Ue deve mitigare i rischi per le catene di approvvigionamento legati a tali dipendenze strategiche per migliorare la sua resilienza economica”, è la tesi della Commissione europea.

Secondo le analisi di Somo, tuttavia, la strategia europea sarebbe carente sia per quanto riguarda la tutela ambientale sia per la difesa dei diritti umani e delle comunità coinvolte. A iniziare dall’aspetto ambientale, la Crmr, infatti, può selezionare dei “progetti strategici” considerarti di “prioritario interesse pubblico”. Questa definizione potrebbe portare gli Stati membri ad approvare progetti di estrazione e lavorazione anche in aree tutelate dalle normative europee, come la Direttiva Habitat (92/43/CE). “Le zone di protezione speciale, come Natura 2000 (rete di aree protette stabilita dall’Ue, ndr), e altre aree speciali di conservazione potrebbero essere in pericolo e aperte a progetti di estrazione e lavorazione -denuncia Somo-. Per essere sostenibile, la Crmr non dovrebbe fornire alcuna eccezione normative ai regolamenti ambientali”.

L’organizzazione contesta inoltre che la strategia sia incentrata su aziende e investitori, mettendo in secondo piano la tutela dell’ambiente, le comunità e il coinvolgimento della società civile. La proposta della Commissione permetterebbe procedure di autorizzazione semplificate che si tradurrebbero in rapporti di potere spropositati a favore dei fornitori, senza tutelare in modo adeguato le comunità interessate dall’estrazione e dalla lavorazione di questi minerali. “La Commissione europea dovrebbe condurre una valutazione d’impatto completa sui potenziali effetti negativi sui fornitori, prendendo in considerazione fattori quali i prezzi, i tempi di consegna, i contratti e le condizioni di lavoro, e proporre misure di mitigazione adeguate -ricorda Somo-. Dovrebbero essere stabilite chiare norme per proteggere gli interessi dei fornitori, dei lavoratori e delle comunità, comprese linee guida su prezzi equi, pratiche di approvvigionamento responsabili, diritti dei lavoratori e sostenibilità ambientale, con meccanismi di monitoraggio e applicazione efficaci”.

Inoltre, la metodologia di valutazione e di mitigazione dei rischi applicata dalla Crmr sarebbe da un lato incentrata sulla protezione degli approvvigionamenti invece che sulla tutela dei fornitori e dall’altro farebbe troppo affidamento sulle valutazioni e sugli standard delle aziende. “La certificazione di un progetto da parte di uno schema industriale riconosciuto non deve essere inclusa come opzione per soddisfare i criteri di sostenibilità -ribadisce Somo-. La certificazione deve essere solo uno strumento che le aziende e le autorità di regolamentazione possono utilizzare, e non deve sostituire una valutazione più ampia dei diritti umani e delle prestazioni ambientali”. La stessa Somo ha pubblicato nel novembre dello scorso anno un report dove evidenzia i rischi che corre la Commissione europea nel fare affidamento agli standard delle aziende. Inoltre, i gruppi della società civile non sono coinvolti nella valutazione delle corrette applicazioni della Crmr.

Un altro rischio evidenziato è che la corsa dell’Unione europea ad accaparrarsi materie prime e alla creazione di scorte possa portare a una distorsione dei prezzi e sottrarre risorse preziose a Paesi terzi. L’articolo 21 della Crmr permette agli Stati membri di costruire riserve strategiche di materiali mentre l’articolo 22 consente alla Commissione europea di consigliare ai Paesi membri di aumentare le proprie riserve. “La strategia dovrebbe includere misure per scoraggiare l’accumulo di minerali o qualsiasi altro abuso di mercato e di altre pratiche commerciali sleali che potrebbero portare a distorsioni dei prezzi o ostacolare la disponibilità di risorse per la transizione energetica nei Paesi terzi, in particolare quelli che hanno bisogno di materie prime per lo sviluppo”, è la posizione di Somo.

Il difetto fondamentale della Crmr sarebbe però quello di non affrontare il tema del consumo insostenibile di materie prime. La strategia include riferimenti all’economia circolare e impone agli Stati membri di rafforzare la raccolta di rifiuti, il riutilizzo e lo sviluppo di tecnologie per il riciclo di queste sostanze. Ma non comprende azioni per ridurne i consumi. “Non affrontando questo problema alla radice, l’Europa sta replicando il modello economico e i presupposti che hanno sostenuto l’era dell’energia da combustibili fossili e, di conseguenza, la transizione energetica europea rischia di avere gravi conseguenze negative per la biodiversità, l’ambiente e la disuguaglianza globale. Pertanto, se da un lato i governi devono incoraggiare il riciclo e l’economia circolare, dall’altro è imperativo che riducano in modo significativo il consumo di risorse nell’ambito dei trasporti e della più ampia transizione energetica”.

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