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Cultura e scienza / Intervista

Cecilia Gnocchi e Ilaria Laise. Le staffette della memoria

Intervista alle fondatrici del progetto “RAM – Restauro arte e memoria”, nato nel 2017 per restaurare le lapidi dedicate ai partigiani caduti a Milano durante la Resistenza e alle vittime dell’estremismo di destra negli anni Settanta

Tratto da Altreconomia 239 — Luglio/Agosto 2021
Sopra, Cecilia Gnocchi e Ilaria Laise sotto la lapide -appena restaurata- dedicata alla memoria di Gaetano Amoroso, operaio comunista assassinato nel 1976 da una banda di estremisti di destra. © Maurizio Anelli

Per Cecilia Gnocchi e Ilaria Laise l’antifascismo è un valore che si custodisce e si tramanda “facendo memoria” per le strade di Milano, pulendo e portando a nuova vita le lapidi che commemorano i partigiani caduti. “Il progetto ‘RAM – Restauro arte e memoria’ è nato da una nostra spinta personale, dalla volontà di ripristinare le lapidi dei partigiani danneggiate dal tempo e dall’incuria. Ma presto abbiamo capito che era un modo per recuperare la memoria collettiva”, raccontano. 

Cecilia e Ilaria non sono restauratrici di professione. Si sono conosciute alle scuole medie e per molti anni si sono perse di vista imboccando percorsi professionali diversi (Cecilia restaura libri e ha una stamperia; Ilaria ha studiato design tessile e storia dell’arte ed è presidente del centro culturale “Spazio Ruggine”). Quando pochi anni fa si sono incontrate nuovamente hanno scoperto di avere una passione comune per la storia e la memoria: “Ci consideriamo staffette partigiane: gli ultimi testimoni della guerra e della Resistenza sono morti o molto anziani. E noi sentiamo l’esigenza di raccontare ai più giovani quello che è successo, per evitare che la memoria vada dispersa. Il nostro essere staffette sta nel fatto di prendere il testimone dalle generazioni che ci hanno preceduto per passarlo a chi verrà dopo di noi”.

Come avete iniziato il vostro lavoro?
CG e IL
Abbiamo dedicato il 2017 allo studio dei materiali e delle tecniche per il restauro di lapidi e cippi. Poi abbiamo iniziato a contattare le varie sezioni Anpi di Milano e le associazioni interessate a tutelare la memoria storica della città legata alla Resistenza e alle vittime degli anni di piombo.

Quale è stato il vostro primo intervento?
CG e IL A marzo 2018 la lapide che ricorda Fausto e Iaio (due ragazzi assassinati nel 1978 da militanti di estrema destra, ndr) era stata vandalizzata con svastiche e croci celtiche. Quando lo abbiamo saputo abbiamo contattato l’associazione “Amici di Fausto e Iaio” e ci siamo offerte di ripristinarla. Quello è stato il nostro battesimo. Successivamente abbiamo iniziato a collaborare con il Municipio 8 e la sede Anpi del quartiere Gallaratese per il restauro delle lapidi dei partigiani della zona.

Su quanti monumenti avete lavorato?
CG e IL Dal 2018 a oggi abbiamo fatto una ventina di interventi tra targhe, cippi, qualche opera in bronzo e il monumento dedicato a Claudio Varalli e Giannino Zibecchi in piazza Santo Stefano. Oltre alle lapidi e ai cippi dedicati ai partigiani, grazie a un progetto in collaborazione con “Memoria antifascista”, nel 2020 abbiamo restaurato anche le lapidi delle vittime della nuova resistenza, i giovani uccisi negli anni Settanta dai gruppi di estrema destra.

“Gli ultimi testimoni della guerra e della resistenza sono morti o molto anziani. Noi sentiamo l’esigenza di raccontare ai più giovani quello che è successo”

Quali sono le fasi di un restauro?
CG e IL Le fasi principali sono tre. La prima è la diagnosi, che si basa sull’osservazione dello stato di conservazione della lapide o del cippo, e su qualche campionamento. Poi si parte con la pulitura: prima con semplice acqua demineralizzata per ammorbidire lo sporco e poi, se necessario, utilizziamo reagenti via via sempre più aggressivi. Il passo successivo è il ripristino dell’epigrafe: bisogna scegliere lo smalto più adatto per rifare la scritta e trovare il prodotto più adeguato e che dura più a lungo. Ultimo passaggio il consolidamento, che prevede anche l’intervento sulle borchie di metallo che con il tempo si ossidano e lasciano tracce verdastre di ossido di rame.

Il vostro lavoro si svolge all’aperto, sotto lo sguardo degli abitanti del quartiere. Quali reazioni suscitano i vostri interventi?
CG e IL Succedono tante cose belle. In modo particolare nei quartieri popolari, dove solitamente ci sono pochi monumenti, gli abitanti sono molto affezionati alle lapidi che commemorano i partigiani: mentre lavoriamo al restauro la gente si avvicina per fare domande, i più anziani ci raccontano aneddoti. Qualcuno si è anche commosso, perché molte lapidi e targhe erano abbandonate da così tanto tempo che si faceva fatica persino a leggerle.
In altri casi ancora, ci hanno scritto per ringraziarci perché grazie al nostro intervento avevano notato per la prima volta la presenza di quella lapide. A Milano le targhe e le lapidi dedicate ai partigiani sono più di seicento, ma non c’è un censimento ufficiale: c’è un buco nero da riempire e sarebbe importante farlo. 

Quali sono i due interventi a cui siete più affezionate?
CG e IL Per Ilaria è il restauro della lapide di Gaetano Amoroso, operaio comunista ucciso nel 1976 da una banda di estremisti di destra la cui storia purtroppo è stata un po’ dimenticata. Mentre per Cecilia è la lapide dedicata a Giannino Zibecchi, morto nel 1975 schiacciato da una camionetta dei carabinieri che stava facendo un “carosello” per disperdere la folla di manifestanti. Una prassi che è stata ripetuta a Genova durante il G8 e che abbiamo visto pochi mesi fa nelle strade del Cile, con i manifestanti investiti dalla polizia. Quando lavoriamo, restiamo per ore davanti alla lapide e abbiamo tempo per riflettere su quello che è successo durante la guerra o negli anni Settanta. E renderci conto che, purtroppo, certe cose non sono mai cambiate. 

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