Diritti / Intervista
Angelo Gaccione. Vi racconto Cassola, il disarmista
Carlo Cassola, intellettuale e scrittore morto trent’anni fa, era un antimilitarista convinto. La sua indipendenza gli procurò diffidenza. Un libro ne celebra la “vendetta postuma”
Carlo Cassola, lasciando questa Terra giusto trent’anni fa, lasciò incompiuta l’opera cui teneva di più. Non era un romanzo, bensì un progetto politico: il disarmo unilaterale del nostro Paese. “Da patriotta italiano -scrisse (con tre t) in un libretto pubblicato dalla Bur nel 1983, ‘La rivoluzione disarmista’- mi auguro che sia il mio popolo a dare il buon esempio al mondo”.
Cassola è stato fin dagli anni Sessanta del 1900 uno degli scrittori più letti d’Italia, per quanto non abbia goduto di unanime considerazione critica: famoso il perfido giudizio del Gruppo 63 (ne facevano parte Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Furio Colombo e altri giovani intellettuali), che considerava l’autore di “Fausto e Anna” e “La ragazza di Bube” una nuova Liala. L’impeto che Cassola mise nella lotta politica per il disarmo non migliorò la sua considerazione nel milieu politico-culturale. La sua visione radicale -“considero l’antimilitarismo un fine, non un mezzo”- e la sua indipendenza dalle maggiori correnti politiche suscitavano diffidenza.
Quest’anno ricorre il centenario della nascita e Cassola sarà ricordato con incontri, mostre, convegni e c’è il rischio che l’impegno politico dello scrittore resti ancora una volta sullo sfondo. Angelo Gaccione, che con Cassola fondò a Firenze nel 1978 la Lega per il disarmo dell’Italia, ha da poco pubblicato con l’editore Tra le righe “Cassola e il disarmo. La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984” e ricorda la scomoda posizione dello scrittore nel difficile clima della guerra fredda: “Cassola era considerato un menagramo, o al massimo un utopista, e quindi veniva snobbato, ma sta avendo una vendetta postuma”.
Gaccione, quale vendetta?
AG Cassola denunciava quarant’anni fa il pericolo nucleare, tornato in primo piano, e lo scandalo delle spese militari, che oggi sono cresciute a dismisura. Diceva che lo sperpero di ricchezze colpiva a quell’epoca soprattutto il terzo mondo, rendendo schiave intere popolazioni, ma aggiungeva che presto lo stesso fenomeno avrebbe investito i Paesi occidentali, provocando impoverimento e l’esplosione del debito pubblico. Non si sbagliava.
Che rapporto c’era fra il Cassola letterato e il Cassola disarmista?
AG Lui a un certo punto capì che di fronte al rischio incombente di una guerra atomica, non ci fosse altro compito per un artista se non battersi per evitare la catastrofe. Questo era il suo pensiero e portò a una svolta nella sua narrativa e nella sua estetica. La letteratura diventò un veicolo della sua lotta: scrisse favole morali con gli animali e la natura come protagonisti e saggi come “Il mondo senza nessuno”, “Il gigante cieco”, “L’ultima frontiera”, con i quali voleva sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi di una guerra nucleare e la conseguente scomparsa della vita umana sulla Terra.
Come fu accolta questa svolta?
AG Non bene. Cominciò a scrivere di guerra e disarmo anche nella sua rubrica sul Corriere della sera, ma questo impegno suscitava insofferenza, finché non entrò in rotta di collisione con il giornale. La proposta del disarmo unilaterale non piaceva ai conservatori e neppure alla sinistra comunista, che era legata alla politica estera dell’Urss. Alla Lega aderirono alcuni intellettuali come Ernesto Treccani, padre Ernesto Balducci, Cesare Musatti, padre Davide Maria Turoldo, ma molti restarono indifferenti, se non ostili. Ricordo un incontro con Vasco Pratolini: mi disse che apprezzava l’impegno di Cassola e che i lettori del Corriere avrebbero dovuto proporlo come candidato al Nobel per la pace, aggiungendo che non si sentiva però di aderire alla nostra Lega, perché aveva delle riserve; mi disse: io fideisticamente non credo alla fine della presenza dell’uomo sulla Terra.
In “Rivoluzione disarmista” nel 1983 Cassola scrive così: “Il mondo può saltare in aria anche domani. A voler essere ottimisti, ha trent’anni di vita. Oltre il 2010 è inimmaginabile la sopravvivenza del genere umano sul pianeta terra”. Non erano già allora esagerazioni?
AG Certo, col senno di poi sappiamo che nel 2010 non è successo nulla. Ma l’insistenza sul poco tempo disponibile faceva parte della necessità di scuotere un’opinione pubblica indifferente. Oltretutto Cassola credeva seriamente che un errore potesse causare una catastrofe nucleare. Non dimentichiamo che c’era stata la crisi dei missili a Cuba nel 1962 e che le provocazioni, fra il mondo occidentale e quello comunista, erano frequenti. Cassola non poteva saperlo ma non sbagliava nel suo timore: proprio nell’83 ci fu l’episodio di Stanislav Petrov, il tenente colonnello dell’Armata rossa che probabilmente salvò il mondo, giudicando un errore ciò che il sistema di protezione indicava, e cioè un lancio di razzi dagli Stati Uniti all’Unione sovietica. Non trasmise ai superiori la segnalazione di un attacco, come appariva sui monitor, ma parlò subito di anomalie tecniche. Si scoprì poi che si era trattato di una rara coincidenza di eventi astronomici che avevano ingannato i radar. Petrov oggi vive dimenticato alla periferia di Mosca.
© riproduzione riservata