Altre Economie
Camion in strada con un carico di legalità
Sequestrata a una famiglia legata al boss Santapaola, oggi Riela consegna in tutta Italia i prodotti di Libera Terra, e presto anche quelli dei Gas Il cancello automatico si è appena chiuso alle mie spalle. Dall’oscurità, a corona della spianata…
Sequestrata a una famiglia legata al boss Santapaola, oggi Riela consegna in tutta Italia i prodotti di Libera Terra, e presto anche quelli dei Gas
Il cancello automatico si è appena chiuso alle mie spalle. Dall’oscurità, a corona della spianata di cemento, ci guardano i fari di decine di camion e motrici. Sono i 200 e più mezzi di Riela Group, azienda di Belpasso, provincia di Catania. Riela è un’impresa confiscata alla mafia e oggi gestita, per legge, dall’Agenzia del Demanio, in altre parole proprietà dello Stato. A., impiegato, mi fa strada nei locali. “Ci avevano dato 3 mesi di vita -afferma-, e da due anni siamo sulla strada”. Una trentina di lavoratori, provenienti da aziende in crisi e dalla mobilità, appassionati e decisi a non arrendersi, neanche di fronte a difficoltà grandi come montagne. Come l’Etna dietro il muro, nero sul cielo scuro.
Una storia esemplare. Al tavolo ascoltiamo la storia e un bicchiere di vino: Riela Group era cosa dei fratelli Riela, ritenuti organici al clan di Nitto Santapaola. Nel 1999 -dopo 6 anni di sequestro- il tribunale di Catania confisca le aziende del gruppo che passano in gestione al Demanio e ad amministratori nominati dal tribunale. I Riela cercano di riappropriarsi della società attraverso il Consorzio Se.Tra Service, costituito da imprese gestite da prestanome.
Il gioco è “svuotare” Riela Group, trasferendo a Se.Tra dipendenti e clientela della vecchia azienda, crediti compresi. Questi e altri fattori, come il lunghissimo percorso giudiziario, erodono il valore commerciale di Riela Group e pongono le premesse perché il Consorzio possa acquisirlo.
La Guardia di Finanza sventa la manovra ma la vicenda, assai complessa, è ancora oggi in tribunale. Di certo c’è solo il danno: le commesse volatilizzate, il parco automezzi usato al 20% che fa la ruggine.
L’azienda di clausura. B. da aprile vive nel complesso di uffici e officine, una sorta di monachesimo volontario: è l’angelo custode dell’azienda. Per scelta non ha tv ma buona musica. Tiene sul davanzale Se questo è un uomo di Primo Levi. Prepara una cena frugale -è tardi- e racconta la sua storia professionale: “Lavoravo come operaio, ero nel sindacato. Quando la ditta è fallita sono finito in mobilità. Poi ho risposto alla chiamata ed eccomi qua”. Conferma la nuova strategia mafiosa: niente atti intimidatori, la parola d’ordine è soffocare le aziende confiscate. Perché più della confisca in sé, è un’azienda che funziona nella legalità che dà fastidio. Riela Group aveva per clienti importanti catene della grande distribuzione, come Sma, e grandi gruppi alimentari: “Ma le imprese del Nord hanno preferito rivolgersi a vettori ‘discutibili’ piuttosto che a noi, che siamo lo Stato. Forse pensano che la loro merce non sia più ‘assicurata’”.
Così il fatturato di Riela crolla: da 18 milioni all’anno a 600 mila euro nel 2008. I dipendenti da 150 a una trentina. “Ma abbiamo resistito e da poco l’Agenzia del Demanio, di concerto con Italia Lavoro, ha deciso di assumere 8 nuove persone: una grande vittoria”. Fanno quasi paura quei 150 posti di lavoro potenziali, a sapere che in Sicilia “valgono” con buona approssimazione 5 consiglieri regionali.
Consegnare legalità. Ore 5 del mattino, alba sull’Etna e sui camion. Gli itinerari si assegnano in presa diretta. L’autista mi racconta quale sarà la sua giornata lavorativa: “Oggi consegna di farmaci e parafarmaci, compresi i ‘salvavita’” (nella foto) dice con soddisfazione. Salta sul furgone con mossa da veterano, infila il cronotachigrafo nel suo alloggio come fosse un cd, fischiettando Mr Tambourine Man: “Il trasporto su gomma è uno dei settori più critici -mi spiega da lassù-. Noi lavoriamo a contratto, ma altre aziende si fanno concorrenza al ribasso, per poi sfruttare i più deboli: lavoro nero, orari interminabili, mezzi non assicurati”. La giornata sarà lunga: alle 6.30 il camion svicola già tra le viuzze ancora deserte della vecchia Taormina fino al primo ambulatorio. 10 scatole di siringhe e via. Indolore. “Sono felice e anche orgoglioso di lavorare qui -dice l’autista quasi en passant-, è come se stessi facendo un servizio pubblico, un lavoro utile a livello sociale”. Dopo i paesini, le farmacie, i laboratori, ci sono le consegne negli ospedali di Messina. Una bella novità: “Ora controllano le bolle dei farmaci, una volta nessuno ci pensava. E c’è sempre meno omertà”. A chiudere il racconto, prima di chiudere la portiera, l’autista indica il cavallo rampante sul camioncino: “Questo era il simbolo del potere dei Riela, oggi è simbolo di legalità”.
Le patate non crescono sugli scaffali.
Visita all’officina: non tutti i lavoratori hanno voglia di raccontarsi. I meccanici lavorano silenziosi, operando a motore aperto una macchina blu della Polizia Penitenziaria, accanto a una pantera della Polizia di Stato. “Sono queste le commesse di cui c’è bisogno -è il parere unanime-, non solo clienti, ma segnali che lo Stato c’è. Abbiamo stabilizzato 30 persone, un valore simbolico enorme: lavoratori onesti che costano allo Stato molto meno di un detenuto”. I problemi delle aziende confiscate, quelle non già “decotte” o abbandonate, sono gravi e risaputi: il valore dell’impresa viene eroso da tempi morti, ipoteche, infiltrazioni della mafia tramite prestanome, perdita delle commesse, obsolescenza degli impianti, vandalismi. E gli amministratori finanziari nominati dal Demanio spesso svolgono un lavoro scrupoloso, ma sono commercialisti e avvocati, “notai” più che imprenditori. “Chi prepara il piano industriale, le politiche commerciali?” sono le domande ricorrenti. La metafora successiva è colorita ma efficace: “Lo Stato può comprare le patate al supermercato, ma se non ha idea di come coltivarle…”. Qualcosa di nuovo fa capolino nel vituperato pacchetto sicurezza, in primis la previsione di una sezione di manager nell’Albo degli amministratori finanziari che il tribunale deve nominare (vedi box).
Intanto sarà l’economia solidale ad aprire la strada. Il consorzio “Le Galline Felici” (vedi Ae 97) farà trasportare a Riela agrumi e altri prodotti locali ai gruppi d’acquisto solidali del Nord: da settembre in poi potrebbero partire più carichi alla settimana. Con Riela si muovono già la pasta, il vino e gli altri prodotti delle cooperative siciliane di “Libera Terra Mediterraneo”, nato sulle centinaia di ettari confiscati alla mafia.
Non confiscate la speranza. Tardo pomeriggio, nuovo carico per il cassone rosso dietro la motrice: Catania è un porto commerciale strategico nel Mediterraneo, dove arriva merce da ogni parte del mondo. L’autista -che con questo lavoro mantiene moglie e figli- controlla con cura, poi si apre: “Questa azienda è cosa nostra, è una famiglia” mi dice, senza accorgersi di usare due “marchi di fabbrica” della mafia, ma in un’accezione diametralmente opposta, di appartenenza e coesione.
La sera a cena si mangia pasta alla Norma e speranza: le persone al tavolo hanno un sentire comune, che produrre ricchezza e lavoro con un’azienda confiscata sia il modo migliore di combattere la criminalità. “Non siamo eroi ma lavoratori: crediamo a questa impresa, anche se è stato anche il bisogno a farci sposare la causa”. Riela Group non è solo una pratica burocratica. Il suo destino è importante, come quello di ogni azienda confiscata che funziona, perché la legalità è rivoluzionaria. Perciò, se sarà costretta a chiudere, lo Stato avrà perso un’occasione.
In un circolo virtuoso di legalità
Antonio Maruccia, magistrato, già consulente della Commissione parlamentare Antimafia, è Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati, istituito per dare continuità all’azione pubblica, dal sequestro giudiziario all’utilizzo sociale del bene.
“Le aziende confiscate -esordisce Maruccia-, devono esprimere metodi e valori del tutto opposti alla mafia”.
Ma riescono anche a produrre ricchezza? Delle 1.139 aziende confiscate, 220 sono in gestione all’Agenzia del Demanio e attive, ma molte navigano in cattive acque. “Quando un’azienda viene sequestrata o confiscata il suo rating si abbassa. Banche, assicurazioni, fornitori e clienti si defilano. Spesso la mafia, tenta di ‘svuotare’ l’azienda, stornando lavoratori, facendole intorno terra bruciata, infiltrandosi con prestanome”.
Salvare le aziende confiscate è una priorità? “Obiettivo primario della legge è restituire le aziende alla legalità, salvaguardando attività e lavoratori. Poi le aziende vanno ‘destinate’: vale a dire vendute o affittate, anche a cooperative di lavoratori. O, se la situazione è troppo grave, liquidate”.
Gli amministratori nominati dal tribunale sono preparati? “Il pacchetto ‘sicurezza’ prevede l’istituzione d’una sezione dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari composta da esperti in gestione aziendale, che in 6 mesi dalla nomina presenterà al tribunale una relazione sullo stato dell’azienda sequestrata e interverrà nella sua gestione. Sarà poi compito dei prefetti destinare i beni immobili e aziendali, in concerto con il Demanio”.
Come sciogliere il nodo dell’accesso al credito e delle commesse per le aziende confiscate? “Certo, non basta confiscare i beni ma bisogna farli entrare in un circolo economico virtuoso. I prefetti possono intervenire per sensibilizzare enti, banche e fornitori del territorio. Sul fronte finanziamenti, il Programma operativo nazionale ‘Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia’ 2007-2013 prevede una linea di oltre 91 milioni di euro per i beni confiscati”.
La concertazione è fondamentale? “Certo. Solo la stretta collaborazione tra prefetto, forze dell’ordine, Agenzia del Demanio, Regione siciliana, associazioni come Libera e il contributo di finanziamenti e forze produttive hanno permesso, ad esempio, di rilanciare la Calcestruzzi Ericina, azienda oggi gestita da una cooperativa di dipendenti”.
Da leggere: www.governo.it/Presidenza/beniconfiscati/documentazione/Relazione_2008.pdf; da settembre on line il sito www.beniconfiscati.gov.it
8.747 beni sottratti alle mafie
In principio fu la Legge numero 575/1965, sobriamente chiamata “Disposizioni contro la mafia”, poi integrata dalla Legge Rognoni-La Torre, n. 646/82, per l’individuazione, il sequestro e la confisca delle sue ricchezze. La Legge n. 109/1996 ha poi regolato l’assegnazione dei beni immobili confiscati a fini istituzionali o sociali. Nel novembre 2007 viene istituito nuovamente, dopo un periodo di vuoto, il Commissario straordinario per la gestione dei beni confiscati a organizzazioni criminali.
Il totale delle aziende confiscate al 31 dicembre 2008 era di 1.139, di cui 434 in Sicilia. Di queste la metà sono uscite dalla gestione dell’Agenzia del Demanio per revoca della confisca, fallimento, cessione autorizzata o chiusura. 370 sono state destinate -ossia hanno raggiunto il termine del percorso previsto- e sono state vendute o affittate oppure liquidate. 204 risultano in gestione agli amministratori finanziari nominati dall’autorità giudiziaria e una cinquantina sono quelle realmente attive. Alla stessa data i beni confiscati alle organizzazioni criminali dall’introduzione della Legge Rognoni-La Torre (1982) sono 8.747, di cui 5.041 già assegnati ad attività sociali o istituzionali. L’84 per cento dei beni è collocato nelle regioni meridionali, il 47 per cento in Sicilia.
Secondo i dati della Direzione investigativa antimafia (Dia), infine, il valore delle risorse sottratte alle mafie, dal 1992 al 2008 è pari a circa 6 miliardi 700mila euro, mentre le confische si avvicinano a 1 miliardo e 400mila euro.
Terre e aziende libere, da “Pio La Torre” a “don Peppe Diana”
Davide Pati, responsabile per i beni confiscati dell’associazione “Libera, nomi e numeri contro le mafie”, fondata da Don Luigi Ciotti, spiega luci e ombre della legge 106/96, per la quale Libera ha raccolto oltre un milione di firme: “La legge colpisce nel segno. Non c’è di peggio per la mafia che perdere la ‘roba’”.
La sede di Libera a Roma è un immobile confiscato e le cooperative agricole “Placido Rizzotto”, “Pio La Torre”, “Valle del Marro”, “Terre di Puglia” producono sui terreni confiscati in Sicilia, Calabria, Puglia, Campania.
“L’ultimo fiore all’occhiello sono le aziende confiscate nelle terre dei Casalesi che produrranno mozzarelle legali grazie alla cooperativa ‘Le Terre di don Peppe Diana’”.
Ma c’è ancora molto da fare: “Solo poco più di 50 delle oltre 1.100 aziende confiscate dal 1982, sono veramente attive. È urgente investire in continuità produttiva, affiancando alla magistratura dei manager professionisti. Le banche devono poi cancellare dai beni confiscati alla criminalità organizzata le ipoteche (ne sono gravati il 36 per cento, ndr)”. Libera si batte inoltre per la costituzione di un’Agenzia per i beni confiscati: “Un soggetto unico preposto alla loro gestione potrebbe ridurre i tempi morti che spesso vanificano l’azione di forze dell’ordine e magistratura”.
Intanto la fondazione “Libera Informazione”, con l’Agenzia delle Onlus, ha realizzato un cd rom che racconta 100 esperienze positive di beni confiscati. Info: www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11