Interni / Opinioni
“Calciatori sotto tiro”
L’associazione di categoria ha censito 117 episodi di minaccia nei confronti degli atleti nella stagione 2015/16. “Non è possibile né accettabile” dice Damiano Tommasi. “Avviso Pubblico”, a cura di Pierpaolo Romani
Vietato perdere. È questo il comandamento che una parte delle tifoserie del calcio italiano vuole imporre ai calciatori. Non solo a parole, ma anche attraverso l’esercizio della violenza, sia fisica che psicologica. Lo documenta il terzo rapporto “Calciatori sotto tiro”, curato dall’Associazione italiana calciatori (Aic) e presentato a Roma il 26 ottobre, presso il ministero dell’Interno.
Durante il campionato 2015/16, l’Osservatorio istituito da Aic ha censito 117 episodi di intimidazione, minaccia e violenza nei confronti di calciatori, maturate nel corso di 83 singoli eventi. Nel 61% dei casi si sono verificati al di fuori degli stadi di 17 regioni e 41 province. La principale fonte di pericolo per i calciatori (55% dei casi) è rappresentata dai tifosi della propria squadra. Oltre un caso su due riguarda i campionati professionistici, in particolare Serie A e Lega Pro (rispettivamente nel 24% e 19% dei casi).
A livello di aree geografiche, sono il Sud e le Isole, con il 52% degli episodi censiti, l’area territoriale in cui si è registrato il maggior numero di situazioni intimidatorie, minacciose e violente contro i calciatori. In questa parte d’Italia -così come nel Centro, in particolare a Roma- le minacce sono state riscontrate praticamente in tutti i campionati, sia professionistici che dilettantistici. È allarmante il diffuso utilizzo della violenza, dell’intimidazione e dell’offesa nei confronti di calciatori dei campionati giovanili. Sono le aggressioni fisiche, documentate anche da video e foto diffuse su internet, la prima forma di minaccia e intimidazione contro i calciatori. La violenza si manifesta con pugni e calci, assalti con aste di bandiere, bastoni, spranghe di ferro, mazze da baseball, utilizzo di tirapugni, lancio di sassi e bombe carta. A Verona, un giocatore è stato minacciato sotto casa.
Nel caso della Pro Patria (Busto Arsizio, Varese), del Potenza, del Taranto e del Foggia calcio, si è assistito ad agguati pianificati e attuati da un nutrito gruppo di persone, armate e incappucciate, che hanno aspettato i calciatori fuori dallo stadio al termine della partita oppure hanno bloccato e assaltato il pullman sul quale viaggiavano, danneggiandolo e salendo a bordo per picchiare. Fra le altre tipologie utilizzate per intimidire e minacciare i calciatori, il rapporto Aic denuncia l’uso di insulti, spesso ravvicinati e verbali oltre che sui social network, i cori offensivi e razzisti, soprattutto nei confronti di calciatori stranieri di colore, i danneggiamenti a mezzi -pullman delle società e auto dei calciatori- o a strutture -stadi e campi di allenamento- e l’utilizzo di striscioni che recano scritte offensive, com’è accaduto a Roma nei confronti delle due squadre che militano in serie A.
La sconfitta -in una partita importante o in più partite consecutive- è il principale motivo che pone i calciatori nel mirino dei violenti (58% dei casi). “Non è possibile né accettabile, come più di qualcuno pensa, che sia ‘normale’ subire minacce, intimidazioni e violenze nello svolgimento del lavoro di calciatore” ha dichiarato Damiano Tommasi, presidente di Aic. Cosa fare di fronte a questo scenario così inquietante? Il sindacato dei calciatori italiani avanza due proposte. La prima è di istituire un comitato istituzionale di studio del fenomeno, composto da personalità di riconosciuta esperienza nel mondo calcistico, sportivo e di altre discipline. La seconda è di operare con specifici progetti sul versante culturale ed educativo, facendo del calcio un veicolo per la costruzione e la diffusione di una nuova cultura sportiva, fondata su legalità e di responsabilità.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, www.avvisopubblico.it
© riproduzione riservata