Diritti / Attualità
Barriere architettoniche e case (anche popolari) inaccessibili, una limitazione alla libertà
Per chi ha una disabilità motoria trovare una casa adatta alle proprie esigenze è molto complesso. E l’offerta è ancora più ridotta quando si guarda all’edilizia residenziale pubblica, non solo per la cronica insufficienza ma anche via di ostacoli illegittimi. L’analisi di Sergio Battipaglia, legale del Cento Antidiscriminazione Franco Bomprezzi
La Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità è un trattato internazionale finalizzato a combattere le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani. Con la ratifica da parte del Parlamento italiano il 24 febbraio 2009 la Convenzione è diventata legge dello Stato. Il Centro antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità vuole far conoscere a un pubblico più ampio possibile principi cardine della Convenzione la cui finalità è quella di “promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”. Ecco il terzo di sei appuntamenti della rubrica sul sito di Altreconomia, curata a vario titolo da legali ed esperti in materia di diritto antidiscriminatorio. Il Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi è sostenuto da Fondazione Cariplo.
Per una persona con disabilità, in particolare per chi ha una disabilità motoria e si muove in carrozzina, trovare casa non è affatto facile: le abitazioni che hanno tutte le carte in regola in materia di accessibilità sono poche. Non devono esserci barriere all’ingresso come gradini, scale o vialetti dissestati e quando questi sono presenti (pensiamo ad esempio agli edifici costruiti prima che entrassero in vigore le normative vigenti in materia di barriere architettoniche) servono ascensori, scivoli e montascale. Una volta arrivati al pianerottolo, davanti alla porta d’ingresso, occorre valutare che questa sia sufficientemente ampia, che il bagno sia abbastanza grande per potervi entrare con la carrozzina, che la camera da letto possa ospitare comodamente un sollevatore nel caso in cui la persona ne abbia bisogno, che non ci siano gradini all’interno dell’abitazione e così via.
La situazione si fa ancora più complessa quando una persona con disabilità motoria fa richiesta di assegnazione di una casa popolare. Il problema dell’edilizia residenziale pubblica ha assunto negli ultimi anni uno scenario preoccupante e ha visto intervenire sempre più frequentemente il Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi sia a livello specifico, sia al livello più generale e di programmazione territoriale.
Non solo a fronte di una domanda sempre più elevata di alloggi pubblici da parte della popolazione generale non corrisponde infatti un’offerta adeguata. Ma quando la richiesta proviene da una persona con disabilità o da una famiglia in cui siano presenti una o più persone con disabilità, l’offerta si restringe ulteriormente. In linea generale il patrimonio residenziale pubblico si compone di caseggiati di vecchia fattura (costruiti prima degli anni Sessanta) realizzati perciò in assenza di una normativa sulla accessibilità e di quei criteri di sviluppati successivamente.
In particolare, sia l’articolo 9 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009), sia l’articolo 24 della legge 104/1992 (“Legge-quadro per l’assistenza”) definiscono con chiarezza il concetto di barriera architettonica e affermano necessità della sua eliminazione. In ottemperanza a questi principi e proprio per fare fronte a questa estesa inaccessibilità del patrimonio residenziale pubblico, il legislatore ha previsto che una quota dei fondi per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per interventi di recupero venga utilizzata per l’eliminazione delle barriere architettoniche nei complessi di edilizia residenziale pubblica realizzati prima del 1992.
Eppure, anche in questo ambito, continuano a verificarsi episodi di discriminazione ai danni delle persone con disabilità. In tempi recenti, in qualità di legali del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, abbiamo supportato un nucleo familiare composto da una donna affetta da distrofia muscolare fin dalla nascita (e che quindi si sposta in sedia a rotelle) e dal marito. Non solo la coppia ha dovuto attendere più di due anni per l’assegnazione di una casa popolare, ma questa era caratterizzata dalla presenza di barriere architettoniche: un gradino impediva alla donna di entrare autonomamente in bagno, costringendo il marito a sollevarla di peso per accedere al vano. Un compito reso ancora più gravoso per il fatto che la porta si apriva solo in parte, perché ostruita dalla presenza del termosifone.
In casi come questi, gli enti gestori propongono ai locatari la sottoscrizione di un modulo di “accettazione dell’immobile nello stato in cui si trova”. Questa procedura dovrebbe avere come conseguenza una sorta di “liberatoria” dell’ente stesso da eventuali lavori da eseguire in tema di eliminazione di barriere architettoniche.
Abbiamo quindi presentato richiesta di cambio alloggio in deroga per ottenere l’assegnazione di una nuova abitazione realmente accessibile e priva di barriere architettoniche: sette mesi dopo la famiglia ha potuto fare ingresso nella sua nuova abitazione. Tra i vari fattori quello che ha avuto un maggior peso però non è stata la necessità oggettiva di un’abitazione accessibile, ma la presenza di amianto nel primo appartamento locato: la pericolosità dell’amianto, bandito con legge 257/1992, ha assunto un carattere di priorità valutativa e di spinta per risolvere il problema
Purtroppo, nonostante il diritto ad avere una casa accessibile, ancora oggi è la normativa sulla sicurezza a “vincere” e non il diritto sancito dalle norme sull’accessibilità e sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
Il diritto delle persone con disabilità a vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita viene garantito dalla Convenzione Onu che, all’articolo 9, impegna gli Stati a “prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti od offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali”.
L’accessibilità però non deve essere intesa esclusivamente come una risposta a un obbligo normativo, cosa che spesso fanno i tecnici e gli addetti ai lavori, limitandosi ad applicare la normativa in materia (legge 13/1989 sull’abbattimento delle barriere architettoniche) in maniera stereotipata trascurando i veri bisogni delle persone con disabilità motoria, sensoriale, intellettiva e relazionale. Quando si progetta al fine di rendere accessibile uno spazio è necessario mettere in primo piano la persona e le sue esigenze all’interno dell’ambiente in cui si va ad agire. Ogni situazione, quindi, deve essere studiata nel dettaglio: attraverso l’ascolto e la definizione dei bisogni delle persone è possibile individuare le soluzioni più adatte e in grado di includere tutti.
A tal proposito, il decreto numero 236 del 1989 dell’allora ministero dei Lavori pubblici definisce l’accessibilità come “la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne gli spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezze e autonomia”. In altre parole, così come gli occhiali permettono a una persona presbite di leggere un libro, la presenza di un ascensore in un edificio annulla l’impossibilità di muoversi in autonomia.
Nessun luogo può infatti definirsi accessibile se non è alla portata di tutti, nel rispetto della progettazione universale (Universal design). Per questo il concetto di accessibilità è molto vicino a quello di libertà: l’accessibilità è un prerequisito affinché la persona con disabilità possa vivere in modo indipendente e partecipare pienamente alla società, a parità di diritti con gli altri.
Sergio Battipaglia è uno dei legali del Cento Antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità. Offre assistenza legale con l’obiettivo di contrastare e ridurre le forme di discriminazione che, ancora oggi, rendono difficile la vita di tante persone e delle loro famiglie. Questa rubrica è stata scritta in collaborazione con Julieth Ortega del Centro regionale per l’accessibilità e il benessere ambientale (Craba) di LEDHA
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