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Autostrade per l’Italia, i conti in tasca alla privatizzazione. E a quel che resta della società
Con un investimento complessivo di 100mila euro, tra il 2003 e il 2020 l’azionista di maggioranza Atlantia si è garantita benefici per 21,8 miliardi. Come è stato possibile? Inchiesta bilanci alla mano, dalla nascita di Aspi al crollo del Ponte Morandi
Il 31 maggio l’assemblea degli azionisti di Atlantia Spa, società quotata che controlla Autostrade per l’Italia (Aspi), ha votato a favore alla cessione dell’intera partecipazione detenuta in Aspi al consorzio costituito da CDP Equity Spa, The Blackstone Group International Partners LLP e Macquarie European Infrastructure Fund 6 SCSp. Valore dell’offerta: 9,3 miliardi di euro. Il Consiglio di amministrazione di Atlantia si è riconvocato il 10 giugno per “formulare le proprie determinazioni in merito”.
Partita chiusa? Non proprio. L’esame attento dei bilanci di Autostrade per l’Italia solleva più di una perplessità sui valori in gioco e sulla considerazione dell’interesse pubblico. A partire da una presa d’atto: con un investimento complessivo di 100.000 euro, Atlantia, tra il 2003 e il 2020 ha realizzato qualcosa come 21,8 miliardi di euro.
Per comprendere il significato dell’operazione -e il valore della quota di Aspi in mano ad Atlantia- è necessario fare un salto indietro nel tempo e ricostruire i passaggi chiave della vicenda societaria.
Come nasce Autostrade per l’Italia Spa
Autostrade per l’Italia Spa è stata costituita il 29 aprile 2003 con un capitale di 100.000 euro interamente sottoscritto da Autostrade Spa (oggi Atlantia).
Le origini di Autostrade Spa risalgono al 1950, con la costituzione della società Concessioni e costruzioni autostrade Spa da parte dell’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri). Nel 1987 Autostrade concessioni e costruzioni Spa viene ammessa alla quotazione presso la Borsa valori di Milano.
Nel 1999 la società Autostrade viene privatizzata con una cessione di azioni pari al 30% del capitale sociale a una cordata guidata da Schemaventotto Spa -società controllata dal Gruppo Benetton, con il 60%- mentre il restante del pacchetto azionario, posseduto dall’Iri, venne destinato al mercato borsistico attraverso un’offerta pubblica di vendita.
Successivamente Schemaventotto, attraverso la controllata Newco28, nel gennaio 2003, promosse un offerta pubblica di acquisto (Opa) totalitaria sulle azioni di Autostrade Spa, finanziata tramite un’operazione di Leveraged Buy-Out (LBO).
Come si finanzia un’operazione di acquisizione di quote di partecipazione societaria
Con la citata operazione di LBO, Schemaventotto ha costituito una società “veicolo”, Newco28, appunto, attraverso la quale ha acquisito le azioni della società “obiettivo”, Autostrade Spa, attraverso un indebitamento con il sistema creditizio. Successivamente, attraverso una fusione societaria -inversa se la società obiettivo incorpora la società veicolo o normale se avviene il contrario- il debito con il sistema creditizio si è trasferito alla società obiettivo, che dovrà provvedere al pagamento dello stesso.
Tradotto: Schemaventotto e Newco28 non hanno sborsato risorse per diventare proprietari della parte eccedente il 30% di Autostrade Spa ma sarà quest’ultima a pagare il debito contratto dalle due società azioniste della stessa. È un’operazione legittima regolata dal Codice civile (art. 2501-bis).
La costituzione di Autostrade per l’Italia. Le operazioni finanziarie del 2003
Le tabelle che seguono illustrano le modalità complete della costituzione di Autostrade per l’Italia Spa, con l’indicazione dei conferimenti e dei prelievi. Le fonti sono societarie, ovvero la nota integrativa e la relazione sulla gestione del 2003. Vediamole insieme.
Nella colonna “29 apr 2003” è stata riportata la sintesi numerica della costituzione con l’importo, nei conti bancari, della somma versata e, tra le passività, la quota di capitale sociale. Si presume che la quota sia stata versata su conti correnti bancari poiché nel caso di costituzione con un unico socio è prevista l’obbligatorietà del contestuale versamento.
È una cifra modesta rispetto all’attività che la società dovrà svolgere ma è funzionale unicamente alla sua costituzione.
Un mese dopo, il 30 maggio 2003, Autostrade Spa conferisce beni, attività e passività, che costituiscono il ramo d’azienda per la gestione delle reti autostradali in Italia. I valori del conferimento sono certificati dalla perizia asseverata (cioè giurata) di un esperto.
La differenza tra attività e passività ammonta a 1.777.234.000 euro che va a incrementare il valore patrimoniale della società, cioè il capitale proprio degli azionisti, sino a quel momento pari ai 100.000 euro conferiti in occasione della costituzione.
Ai beni conferiti, però, viene aggiunto l’avviamento per 6.327.366.000 euro. È relativo a un bene intangibile che riflette il valore del “ramo d’azienda” in funzione della capacità della stessa di produrre utili, indubbiamente significativi considerata l’attività svolta in regime di monopolio. Con l’inserimento dell’avviamento il valore patrimoniale schizza a 8.104.600.000 euro.
Il valore patrimoniale conferito viene ripartito in 615,427 milioni di euro attribuiti al capitale sociale -che aumenta così da 100.000 euro a 615,527 milioni- mentre la parte residua pari a 7.489.173.000 euro è attribuita al conto “riserva da sovrapprezzo azioni” che rappresenta il “plusvalore” rispetto al valore nominale delle azioni conferite e che resta nella disponibilità degli azionisti pur essendo rappresentato, per la maggior parte, da un bene astratto e virtuale, l’avviamento.
Proseguiamo. La colonna “5” riporta la struttura patrimoniale complessiva del conferimento.
La “6” invece indica la struttura patrimoniale complessiva della società dopo il conferimento ed è composta dalla somma del denaro conferito in fase di costituzione: cioè il conferimento cresce dei 100.000 euro conferiti in fase di costituzione.
La differenza tra le attività, compreso l’avviamento, e le passività conferite contribuisce alla formazione del patrimonio netto, ossia del capitale proprio dell’azionista.
Il 16 settembre 2003 l’assemblea della società delibera la distribuzione della riserva per sovrapprezzo azioni all’azionista unico, Autostrade Spa (oggi Atlantia Spa) per 7,3 miliardi di euro rinviando la differenza, 123,106 milioni, a riserva legale e lasciando 66,067 milioni alla riserva per sovrapprezzo azioni.
Pochi giorni dopo, il 22 settembre 2003, con l’utilizzo di un finanziamento di 8 miliardi di euro concesso da un pool di banche ad Autostrade per l’Italia (si veda a pag. 149 della nota integrativa del 2003, ndr) viene erogata alla controllante la prima tranche di 6,5 miliardi, rinviando l’erogazione del saldo al giugno 2004.
Il 19 dicembre dello stesso anno Autostrade per l’Italia acquista dal pool di banche il finanziamento di 8 miliardi di euro. Il debito della società non è più nei confronti della banche ma della controllante e, la stessa, applica al debito interessi annui.
Non si discute la legittimità dell’operazione, la perplessità è solo di opportunità anche considerando che la maggior parte dell’importo erogato deriva dall’avviamento, che ha una logica nella concessione di gestione delle autostrade e che la società si è dovuta indebitare per distribuire “riserve” alla controllante.
La politica e la pubblica amministrazione non avrebbero dovuto consentire un drenaggio di così elevate risorse a vantaggio dei privati nella gestione di servizi pubblici in regime di monopolio.
Gli interessi applicati dalla controllante, sin dal 2003, hanno avuto un peso non indifferente sulla gestione. Il debito è rimasto immutato, per 6,5 miliardi di euro, sino al 2011, successivamente riclassificato e prorogato sino al 2015, e poi sostituito da vari prestiti obbligazionari con diverse scadenze, tutte successive al 2017. La parte di 800 milioni di euro, erogata nel giugno 2004, dal bilancio non si capisce dove sia stata collocata, quasi certamente con l’erogazione ha contribuito ad aumentare l’indebitamento e a produrre interessi passivi. Nel dubbio si è preferito non considerarla.
Anche per il costo finanziario è arduo fare un conteggio esatto della sua entità in relazione al finanziamento proveniente dalla distribuzione delle riserve da sovrapprezzo, in quanto nei bilanci sono specificate solo sino al 2007 mentre successivamente sono incluse nel costo complessivo dei finanziamenti. La difficoltà aumenta negli anni successivi al 2015 in quanto il finanziamento in oggetto è stato ripartito in diversi prestiti obbligazionari con diverse scadenze e tassi di interesse. Per tale ragione si è proceduto con la proporzione tra finanziamenti complessivi e l’importo di 6,5 miliardi di euro riferito alla distribuzione delle riserve.
Il conteggio evidenziato nella seguente tabella “03” (fonti i bilanci dal 2003 al 2017) può non essere preciso ma certamente è indicativo e significativo in funzione della valutazione di che cosa sia avvenuto.
Gli amministratori di Aspi e della controllante potrebbero sostenere che gli interessi per gli ultimi anni non dovrebbero essere considerati in quanto il debito è stato estinto. Il debito, però, non è stato estinto, semmai è stato “trasformato” e continua infatti a produrre interessi passivi.
Un debito che non è riferito alla gestione ma alla distribuzione di riserve ai soci può essere estinto solo con gli utili prodotti e non distribuiti, cosa che non è avvenuta in Aspi poiché gli utili sono stati tutti distribuiti anche in misura superiore a quelli realizzati (vedasi tabella “04”).
Per il citato pagamento delle riserve da sovrapprezzo azioni (6,5 miliardi di euro) si sarebbe dovuto procedere con l’ammortamento dell’avviamento come è stato fatto negli anni 2003, 2004 e 2005, ma, nel 2006, beneficiando del principio del “fair value”, ossia del valore corrente, si è deciso di rivalutare la parte residua da ammortizzare dell’avviamento per 1,090 miliardi e l’avviamento non è più stato ammortizzato. Questo fatto non ha più prodotto le risorse per il pagamento del debito alla controllante ma ha incrementato le risorse disponibili per pagare i dividendi. Cosa che, di fatto, è avvenuta.
In realtà a conti fatti il finanziamento ad Autostrade per l’Italia non è servito all’attività sociale ma è stato solo un meccanismo finanziario utile alla controllante, che ha dimostrato una notevole capacità nel trarre profitto, anche ingente, senza utilizzare risorse proprie.
Gli effetti della trasformazione della riserva in finanziamento della controllante. Chi rimborserà il debito?
Alla controllante, dal 2003 al 2017, in funzione del finanziamento concesso, come visto funzionale alla distribuzione al socio delle “riserve sovrapprezzo azioni” realizzate per la maggior parte solo grazie all’avviamento rilevato tra le attività del conferimento del 30 maggio 2003, Autostrade per l’Italia ha corrisposto interessi per 4.515.380.315 euro (si riporta di nuovo la tabella “03”).
La grossa parte del debito per finanziamento della controllante, trasferito negli ultimi anni ad un prestito obbligazionario sottoscritto dalle banche, è ancora in essere e sarà rimborsato dalla stessa Autostrade per l’Italia liberando così Atlantia grazie all’operazione di acquisizione della partecipazione da parte di Cassa depositi e prestiti.
I dividendi distribuiti da Autostrade per l’Italia. E il “saldo” di Atlantia
Nel periodo dal 2003 al 2017 Autostrade per l’Italia, a fronte di utili complessivi per 9.332.984.448 euro, ha distribuito ai propri soci dividendi per 10.031.558.309 euro, compresi quelli prelevati dalle riserve e in natura.
Con un investimento complessivo di 100.000 euro, nemmeno un euro in più, Atlantia, tra il 2003 e il 2020 ha realizzato qualcosa come 21.846.938.624 euro. Si veda la tabella con le nostre rielaborazioni di seguito.
E ora sarà aggiunta la “buonuscita” miliardaria da parte del gruppo di Cassa depositi e prestiti (il ministero dell’Economia è il principale azionista di Cdp, con l’82,77% delle azioni, seguito dalle fondazioni bancarie al 15,93%, l’1,30% del capitale di Cdp è costituito da azioni proprie del gruppo). Con denaro dei risparmiatori.
Quanto vale Autostrade per l’Italia?
Qual è il valore reale delle azioni attuali di Autostrade per l’Italia? Per rispondere occorre considerare rispettivamente: 1) la qualità e quantità dei prelievi effettuati da Atlantia che non hanno consentito una reale capitalizzazione della società; 2) che i 100.000 euro del capitale iniziale e i 615,427 milioni destinati a capitale capitale sociale con l’atto di conferimento del 30 maggio 2003 non esistono più. Sono rimasti contabilmente solo grazie alla rivalutazione dell’avviamento del 2006; 3) che i dividendi, compresi quelli con l’utilizzo di riserve e in natura, sono abbondantemente superiori agli utili prodotti; 4) che tra i debiti a lungo termine (i prestiti obbligazionari) sono compresi i debiti verso la controllante per la distribuzione di riserve del 2004 anche se è stato sostituito il creditore e dovranno essere rimborsati nei prossimi anni.
Dunque si può ritenere provocatoriamente che il valore dell’88% del capitale detenuto da Atlantia valga zero, anzi, Atlantia, dovrebbe provvedere direttamente, assumendone l’onere, al rimborso dei 7,3 miliardi prelevati nel 2003 e nel 2004.
Qualcuno potrebbe obiettare che esiste un valore di avviamento da considerare. Attenzione: l’avviamento esiste perché esiste una concessione per la gestione di un servizio in regime di monopolio, anche se naturale. Una classe politica capace e non succube delle logiche di un processo di privatizzazione, di cui la vicenda Aspi è l’emblema della negatività, avrebbe molteplici ragioni per ottenere quello che si è indicato, senza richiamare in questa sede i drammatici danni provocati con il crollo del Ponte Morandi o l’ipotizzata insufficienza delle manutenzioni (alla magistratura il compito di accertare il tutto).
Significativo il fatto che dal 2004 al 2013 nel bilancio di Aspi sia stata accantonata una “riserva per ritardo negli investimenti”. Una sorta di autodenuncia. Perché nessuno è intervento per denunciare l’inadempienza?
Remo Valsecchi, già commercialista
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