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Crisi climatica / Attualità

Aumenta il peso delle pubblicità fossili sui quotidiani italiani

© brotiN biswaS, pexels

Tra settembre e dicembre 2022 le cinque principali testate hanno ospitato 532 inserzioni pubblicitarie, contro le 298 del periodo maggio-agosto. Il monitoraggio effettuato da Greenpeace sui giornali e tv italiani fotografa ancora una scarsa attenzione alla crisi climatica. L’organizzazione chiede ai media un cambio di passo

Gli ultimi quattro mesi del 2022 confermano la “sconcertante indifferenza dei media e dei politici italiani nei confronti della più grave emergenza ambientale della nostra epoca”. Tra settembre e dicembre dello scorso anno la crisi climatica continuava ad avere scarsa visibilità sui quotidiani italiani mentre aumentava il numero delle pubblicità delle aziende maggiormente responsabili del riscaldamento globale (energetiche, automobilistiche e compagnie aeree tra le altre). Scarsa anche l’attenzione dei telegiornali serali delle principali emittenti televisive. È quanto emerge dal nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia (istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione) che va ad aggiungersi ai due precedenti monitoraggi (di cui avevamo parlato qui e qui) completando in questo modo il quadro per il 2022.

Nell’ultima parte dell’anno il numero di articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani (l’indagine ha preso in considerazione Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa) in cui si parla esplicitamente di crisi climatica è diminuito rispetto al quadrimestre precedente, attestandosi a una media di appena 2,5 articoli al giorno. Il picco si è registrato nel mese di novembre, in occasione del summit sul clima di Sharm el Sheik (Cop27) e della tragica alluvione che si è abbattuta su Ischia.

Inoltre, solo il 15,4% degli articoli che trattano esplicitamente la questione climatica indica le cause della crisi. Mentre i combustibili fossili vengono presentati come causa della crisi climatica solo nel 28,7% dei casi. L’influenza dell’industria fossile sulla stampa emerge dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica: al secondo posto si trovano infatti le aziende (15%), che superano organizzazioni ambientaliste (14%), esperti (10%) e politici e istituzioni nazionali (10%), precedute solo dai politici e dalle istituzioni internazionali (21%) in virtù della Cop27.

Mentre il numero di articoli dedicati alla crisi climatica è in diminuzione, cresce la presenza di inserzioni pubblicitarie delle aziende “fossili” sulle pagine dei quotidiani: passate dalle 298 del periodo maggio-agosto 2022 alle 532 del quadrimestre settembre-dicembre 2022, con una netta prevalenza (405) di società energetiche, seguite dal settore automotive (83), crociere (27), nautica (9) e compagnie aeree (8). Il quotidiano che ha pubblicato il maggior numero di pubblicità di questi settori è Il Sole 24 Ore (143), seguito da La Stampa (124) e da la Repubblica (112).

Alla luce di questi dati, sommati ai risultati di un questionario con cui Greenpeace ha valutato la trasparenza delle redazioni rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti (e a cui ha risposto, in parte, solo Avvenire), l’organizzazione ambientalista ha aggiornato la propria classifica dei quotidiani “intrappolati”: solo Avvenire supera la sufficienza (con 3,4 punti su cinque), scarsi invece i punteggi de Il Sole 24 Ore (2,6) e La Stampa (2,4) mentre Corriere della Sera (2,2) e la Repubblica (2) ottengono una bocciatura.

Per quanto riguarda invece la televisione, si osserva un lieve incremento della copertura da parte dei telegiornali di prima serata: su 853 edizioni per un totale di 13.443 notizie registrate solo 390 (il 2,9% del totale, era il 2,5% nei tre mesi precedenti) hanno affrontato il tema della crisi climatica. Il Tg1 e il Tg3 sono i telegiornali che hanno dedicato più spazio al problema, mentre fanalino di coda si conferma il Tg de La7 di Enrico Mentana, con appena l’1,4% dei servizi trasmessi. Nei servizi televisivi che hanno trattato il tema, i combustibili fossili vengono indicati come causa della crisi climatica nel 32% dei servizi che trattano la questione. Inoltre, nel 25% dei casi gli interlocutori sono rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste, seguiti da esponenti politici o istituzioni internazionali (20%) e politici nazionali 15,7%.

Nei programmi televisivi di approfondimento si è infine dato spazio alla crisi climatica in 116 delle 450 puntate monitorate, pari al 26% del totale, in leggero calo rispetto al quadrimestre precedente. Spicca la trasmissione Unomattina di Rai1, mentre in fondo alla classifica si trovano le due trasmissioni de La7: L’Aria che tira e Otto e mezzo.

“Tutto questo non cambierà finché i principali organi di informazione continueranno a dipendere dalle pubblicità delle aziende inquinanti, e finché la classe politica preferirà assecondare gli interessi dell’industria dei combustibili fossili anziché quelli di cittadine e cittadini -osserva Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia-. Viviamo in un Paese dove le aziende hanno un’enorme influenza sul racconto mediatico della crisi climatica e dove un colosso come Eni può dettare le politiche energetiche al governo”.

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