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“Attività di polizia”: la finzione del Viminale per celare i luoghi di sbarco dal Mediterraneo

Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi © governo.it

Mentre rivendica come un successo il calo degli sbarchi via mare nei primi sette mesi del 2024, il governo dichiara inaccessibili le informazioni precise sulle singole località di arrivo. Divulgarle, ci ha comunicato, favorirebbe i “trafficanti”: una scusa per giustificare l’ennesima mancanza di trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 273 — Settembre 2024

“Sui migranti i dati parlano chiaro”, ripete il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, rivendicando il “risultato” del calo degli sbarchi in Italia nei primi sette mesi del 2024 (migliaia di persone continuano a soffrire lontano dai nostri occhi). I dati diffusi dal Viminale nel dossier ferragostano hanno avuto grande eco sulla stampa e sui telegiornali: 33.480 gli arrivi via mare al 31 luglio di quest’anno contro gli 88.939 dello stesso periodo del 2023 (l’ormai famoso “-62,4%”), o i 41.435 dei sette mesi del 2022 (-19,2%).

Il ministero quasi gongola quando scrive che “a fronte della riduzione dei flussi migratori, pari al 64% nel Mediterraneo centrale, e al 75% lungo la rotta balcanica, si rileva un parallelo aumento degli arrivi lungo le rotte del Mediterraneo occidentale e di quello orientale che hanno interessato, nello specifico, Spagna e Grecia”. Nessuna remora a indicare esplicitamente, non si sa bene sulla base di quale fonte, le “partenze di migranti irregolari bloccate da Libia e Tunisia”: 12.548 nei primi sette mesi dell’anno dalle “autorità” di Tripoli (quando furono 17.025 in tutto il 2023) e 46.030 da quelle tunisine (quando lo scorso anno in tutto furono in teoria 76.321). È la rassegna dei numeri a caso.

Lo stesso Piantedosi, intervistato da La Stampa il 31 dicembre 2023, aveva riferito infatti che “la collaborazione con le autorità tunisine e libiche” aveva “consentito di bloccare molte decine di migliaia di altri arrivi”, fornendo il dato apparentemente al capello di “121.883” (è una tecnica per far la figura di quello analitico e inattaccabile). Ma come? Nell’ultimo dossier di Ferragosto i “bloccati” da Libia e Tunisia nel 2023 sono diventati 93.346, ne mancano 28.537. Chi ha tirato a indovinare? Dove sono finite quelle persone? Sono fake news adesso o lo erano allora?

Tutte domande che non meritano una risposta. La retorica di questi anni sul Mediterraneo e sui confini chiusi punta esattamente a incanalare il dibattito in un vicolo cieco, stordente e incomprensibile. Una domanda che merita una risposta, invece, ci sarebbe.

Nessuno ha incredibilmente chiesto al ministro una cosa semplice: dove sono sbarcate di preciso queste 33.480 persone (prima che numeri) giunte via mare dal primo gennaio al 31 luglio? Da tempo il Viminale non riporta più questa informazione nel proprio cruscotto statistico pubblico (giornaliero o bisettimanale) e tocca chiederne conto attraverso la laboriosa procedura dell’accesso civico generalizzato. Riluttante, il ministero aveva sempre fornito il dato, distinguendo per mesi, località e numero di arrivi. Questo permetteva, a posteriori e con tutti i limiti del caso, di avere un po’ più chiare alcune dinamiche, soprattutto distorte, com’è stata quella nel 2023 di creare ad arte l’emergenza Lampedusa, concentrando sulla piccola isola quasi 110mila dei 157mila sbarchi complessivi.

Ma da quest’estate c’è una novità: il Viminale ha fatto sapere ad Altreconomia di non voler più rendere note all’opinione pubblica le località di arrivo dei naufraghi, tanto meno quelle dei cosiddetti “rintracciati a terra”. Preferisce stare sul vago, indicando meramente la Regione di approdo. Tipo “Sicilia”, come se Lampedusa fosse uguale a Palermo. La motivazione che ci ha comunicato il direttore reggente della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale, Claudio Galzerano, è che si tratterebbe di informazioni “non ostensibili” in quanto “strettamente connesse ad attività di polizia e, più propriamente, al sistema nazionale di sorveglianza marittima”. Divulgarle le renderebbe “conoscibili e utilizzabili anche da parte di soggetti coinvolti nel traffico di esseri umani”, ostacolando così “la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento”.

Peccato che a gennaio 2024, non dieci anni fa, lo stesso ministero, e lo stesso Galzerano, queste informazioni le divulgava senza il patema di aiutare fantomatici scafisti. Poi deve essere successo qualcosa, prettamente politico e che nulla c’entra con le leggi che dovrebbero governare la trasparenza della Pubblica amministrazione. Sui migranti, non ce ne voglia il ministro, i dati non parlano affatto chiaro.

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