Diritti / Attualità
Asilo negato: il rapporto che inchioda l’Italia
L’ultimo report del progetto Asylum Information Database sul nostro Paese aggiornato al 2018 mostra l’esatto contrario della “pacchia”. Procedure ostacolate, accoglienza smontata, detenzione arbitraria e diritti non garantiti. E misura i primi effetti “devastanti” del “decreto Salvini”. Intervista all’avvocato Caterina Bove, curatrice per conto dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione
L’ultimo rapporto del progetto AIDA (Asylum Information Database) sull’Italia, aggiornato al 2018, è una bussola necessaria per comprendere che cosa accade davvero a chi chiede protezione nel nostro Paese. Dalle limitate procedure di accesso all’asilo all’accoglienza negata, dalla detenzione arbitraria dei richiedenti ai diritti mai garantiti dopo il riconoscimento della protezione internazionale: nelle 151 pagine del report -finanziato dall’European Programme for Integration and Migration (EPIM) e curato da Ecre (European Council on Refugees and Exiles) e dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), è mostrato l’esatto contrario della “pacchia”.
A curarne la realizzazione anche per il 2018, anche grazie alle segnalazioni dei soci ASGI, è stata l’avvocato Caterina Bove, alla quale abbiamo rivolto alcune domande sui contenuti e gli obiettivi del progetto.
Avvocato Bove, come si articola il rapporto?
CB L’aggiornamento 2018 per l’Italia si sviluppa in quattro parti, quattro grandi argomenti che riguardano in linea generale il diritto d’asilo. Il primo capitolo è dedicato alle procedure del diritto d’asilo -le domande presentate nel 2018 sono state 53.596-, il secondo all’accoglienza e a tutto il panorama legale e fattuale a essa legato, il terzo alla detenzione dei richiedenti asilo e il quarto ai diritti delle persone a cui viene riconosciuta la protezione internazionale.
Nel complesso si tenta di offrire una panoramica generale di tutti gli aspetti che riguardano l’applicazione del diritto d’asilo -che come noto è di derivazione europea- in Italia. Questo rapporto viene poi utilizzato da ECRE per ottenere una comparazione tra i vari Paesi europei dell’attuazione del diritto d’asilo. Consultando l’Asylum Information Database (AIDA) di ogni Paese, quindi, è possibile ottenere la visione d’insieme dell’attuazione delle norme europee sull’asilo nel singolo Paese. Nell’AIDA sull’Italia quello che ho cercato di fare è di tracciare un quadro di carattere normativo capace però di raccontare l’impatto che di fatto le norme e le modifiche normative producono nella realtà.
A proposito di impatti: è stato possibile misurare quelli legati al decreto legge su immigrazione e sicurezza entrato in vigore nell’ottobre scorso?
CB Certamente. Gli effetti già visibili e dirompenti del “decreto Salvini” riguardano specialmente la questione dell’abrogazione della protezione umanitaria. Mi riferisco alla condizione delle persone alle quali è stata riconosciuta la protezione umanitaria e che non potranno avere alcun proseguo del percorso di accoglienza, o ai minori che hanno questo tipo di protezione che sono discriminati rispetto a quelli che invece sono “semplici” minori non accompagnati e che quindi possono accedere al SIPROIMI (ex SPRAR).
Nel rapporto ho inserito anche degli spunti sullo stravolgimento del sistema di accoglienza, sulla riduzione dei servizi e sullo smantellamento dei percorso di accoglienza diffusa. Previsioni che stanno si puntualmente verificando.
Partiamo dalle procedure.
CB A questo proposito il rapporto cerca di descrivere le limitazioni al diritto d’asilo. Mi riferisco alle politiche di “chiusura dei porti” -nel report sono elencati i casi più rilevanti del 2018- ma anche a quegli ostacoli che derivano dall’atteggiamento di chiusura che hanno avuto le questure (da Roma a Pordenone passando per Milano), che hanno impedito molto spesso la presentazione delle domande d’asilo, soprattutto per coloro che già si trovavano sul territorio. Su questo diamo conto anche del fatto che a fronte di un attivismo della società civile (membri ASGI, avvocati), in opposizione a queste prassi, diversi tribunali hanno dato ragione ai richiedenti asilo.
Che cosa accade?
CB Chi sbarca in Italia e poi viene “sistemato” dal Governo nei centri di accoglienza ha un accesso quasi automatico alla procedura, invece chi arriva per proprio conto sul territorio -ad esempio dalle frontiere Est, dal Nord- o chi si ritrova qui per altre vie non intercettate immediatamente, e chiede direttamente asilo, si scontra con notevoli con difficoltà in tantissime questure d’Italia. Penso anche al caso di Napoli, dove la procedura telematica ha creato un ostacolo concreto all’accesso all’asilo.
Sempre in tema di procedure, nel rapporto si dà conto di un “cattivo” recepimento italiano di alcune norme europee. Di che cosa stiamo parlando?
CB I casi sono diversi. Un esempio in particolare è quello delle domande cosiddette “reiterate”. La nuova normativa italiana (decreto legge 113/2018 convertito con legge 132/2018) ha recepito sì alcune norme che erano presenti nella direttiva europea sulle procedure (2013/32/UE) ma lo ha fatto senza recepire tutte le garanzie che invece la direttiva imponeva e impone come imprenscindibili. La norma italiana prevedente un’ipotesi di domande reiterate che possono essere giudicate automaticamente inammissibili senza nemmeno un esame preliminare. La normativa europea invece impone sempre e comunque un esame. Su questo punto ci sono anche state le circolari del ministero dell’Interno che hanno affidato direttamente alle questure la possibilità di vagliare l’automatica inammissibilità delle domande, quando in realtà dovrebbe essere la commissione territoriale deputata a farlo.
Citate anche il caso della procedura di “frontiera”. Perché?
CB È un altro caso emblematico di quanto già accennato. È una nuova procedura che si può applicare a coloro che presentano la domanda di asilo in frontiera. Anche questa è una possibilità prevista dalla direttiva europea sulle procedure ma il modo in cui è stata trasposta nel diritto italiano viola la stessa direttiva. La norma italiana dice che la procedura di frontiera, quindi accelerata e che di fatto potrebbe impedire l’accesso al territorio agli interessati, si applica a tutti coloro che hanno cercato di evadere i controlli. È un’ipotesi non prevista dalla normativa europea e poiché non esistono modi legali per entrare in Italia e chiedere asilo, la norma così trasposta rischia di far applicare una procedura accelerata a tutti coloro che vogliono chiedere asilo e che vengono intercettati alla frontiera. Inoltre, a differenza della Direttiva procedure, la norma italiana non prevede un termine massimo entro cui dovrebbe concludersi la procedura e trascorso il quale la persona deve comunque poter accedere al territorio e ai suoi servizi
La nuova normativa italiana ha introdotto anche la nozione dei Paesi cosiddetti “di origine sicuri”.
CB Esatto, anche se per fortuna non si è ancora palesata la circostanza perché non c’è ancora il decreto ministeriale ad hoc previsto dalla legge. È peraltro prevista l’inversione dell’onere della prova, nel senso che dovrà essere il richiedente asilo proveniente da un Paese classificato come “sicuro” a dover dimostrare che nel proprio caso non lo sia. Un esercizio difficilissimo.
Nel capitolo dedicato alle procedure sono molteplici i casi di norme recepite o in maniera contraria rispetto alla fonte europea oppure contraria alla Costituzione. Vale anche per la detenzione?
CB In materia di detenzione si evidenzia la possibilità introdotta dal “decreto Salvini” di detenere negli hotspot, centri di accoglienza e anche in “appositi” locali non meglio inquadrati, le persone richiedenti asilo a fini identificativi. La norma però non spiega in che modo o quando dovrebbero emergere questi problemi di identificazione. Come sopra, poiché i richiedenti asilo sono quasi tutti sprovvisti di documenti quando arrivano in Italia e quando chiedono l’asilo, la norma così scritta potrebbe estendersi a tutti i richiedenti.
Accoglienza, altro che “pacchia”.
CB In questo caso gli effetti più devastanti sono quelli che derivano dal decreto legge 113/2018, dei quali diamo conto nel rapporto. L’accesso al sistema SPRAR, oggi SIPROIMI, è stato impedito ai richiedenti asilo e ai protetti umanitari. E questo ha determinato in alcuni casi una sorta di “retrocessione” dei richiedenti asilo accolti verso i CAS o i centro di prima accoglienza, con azzeramento dei percorsi di integrazione e di tutela. Oltre a ribadire il paradosso italiano per cui le persone che ottengono protezione ne hanno una minore di quelle che la richiedono.
Inoltre il sistema (ex) SPRAR è rimasto privo di regolazione, di natura volontaria e non obbligatoria da parte dei Comuni, e adesso pure con un grave limite all’accesso. È una situazione di vuoto di tutela per tutte le persone riconosciute come rifugiate o alle quali comunque viene riconosciuta una protezione. Tanto più che in Italia non ci sono degli strumenti predisposti per l’integrazione soprattutto dopo il riconoscimento di una protezione.
Nel rapporto è stata trattata anche la questione dei nuovi capitolati di appalto per i centri di accoglienza e dell’azzeramento del livello dei servizi.
CB Quello che nel rapporto avevamo ritenuto come ipotizzabile era l’imminente chiusura dei piccoli progetti di accoglienza diffusa, cosa che effettivamente sta avvenendo perché i progetti di accoglienza diffusa non ce la fanno con i fondi praticamente dimezzati a mantenere in piedi piccoli appartamenti.
Dove si sta materializzando questa dinamica?
CB È il caso di Udine. I piccoli progetti di accoglienza diffusa hanno scelto di impugnare il bando prefettizio e presentare una domanda con costi superiori a quelli del bando. Sono stati esclusi e la prefettura ora vuole spostare in massa tutte le persone, anche vulnerabili, nella caserma Cavarzerani. Sono 45 le persone che vorrebbero spostare oggi (2 maggio, ndr), anche se speriamo di riuscire ad arginare la cosa, ma sono 245 quelle che vorrebbero spostare complessivamente in pochi giorni.
Qual è lo scopo di questo dettagliato lavoro di ricerca?
CB L’obiettivo del rapporto e dell’Asgi è proprio quello di informare e allertare con tempestività quante più persone possibili, far accendere i riflettori su questi aspetti, attivare meccanismi da parte di avvocati, operatori o per ipotesi le stesse questure, per contrastare questa situazione di scorrettezza nata dal citato “contrasto” normativo.
Inoltre questo rapporto viene utilizzato da ECRE anche per effettuare report di comparazione che vengono poi sottoposti alla Commissione europea, anche al fine di attivare procedure di infrazione. È evidente che ora, in concomitanza con le elezioni del Parlamento europeo di fine maggio, rende tutto più complicato. In definitiva è uno strumento di informazione e diffusione di prassi che noi riteniamo illegittime.
Il lavoro si è rivelato utile e alcuni tribunali inglesi francesi e tedeschi lo scorso anno hanno utilizzato il rapporto AIDA per motivare il non trasferimento in Italia ad esempio di persone vulnerabili, vista la situazione di accoglienza problematica che le avrebbe attese nel nostro Paese.
A proposito di elezioni europee e questioni rimaste aperte: la legislatura si chiuderà con il Regolamento di Dublino sulla competenza del Paese di primo arrivo all’esame della domanda di protezione ancora privo di una modifica organica e sensata. Nel rapporto offrite una panoramica del suo “mal funzionamento”.
CB Per quanto riguarda Dublino ho avuto enormi difficoltà a ottenere dati banalissimi. Avevo chiesto di avere i dati di entrata e di uscita delle “persone Dublino”. Il ministero non mi ha mai risposto, allora ho fatto ricorso al responsabile della trasparenza. L’unità Dublino mi ha fatto sapere, anche in forma scritta, di non avere letteralmente il tempo di elaborare questi dati. Cosa non vera visto che poi quegli stessi dati sono stati forniti al ministro dell’Interno per una risposta a un’interrogazione parlamentare nel dicembre 2018. Un atteggiamento estremamente oppositivo che denota scarsissima trasparenza.
I dati richiesti -e successivamente ottenuti per altre vie- fotografano il non funzionamento del meccanismo Dublino. Nel periodo considerato tra 1 gennaio e 30 novembre 2018, le persone in entrata in Italia sono state tantissime (poco più 5.900, vedi tabella) e quelle in uscita -ovvero quelle che l’Italia è riuscita a trasferire in base al Regolamento di Dublino- sono state pochissime (135). In questo non funzionamento chi ci rimette sono le persone interessate, perché rimangono in questo limbo per tantissimi mesi in attesa che venga decisa la loro vita, ma anche la collettività, che sostiene spese a fronte di risultati estremamente prevedibili e dovuti. Ad esempio per le persone afghane: i tribunali si sono già espressi diverse volte ritenendo che il trasferimento dei cittadini afghani “dublinati” verso gli Stati che sarebbero astrattamente competenti rappresenterebbe una grave violazione dei diritti fondamentali delle persone perché comporterebbe il rimpatrio in Afghanistan. Quindi l’Italia che riconosce al 98% dei cittadini afghani la protezione internazionale poi chiude gli occhi quando li vuole trasferire negli Stati che li rimpatrierebbero. Ci potrebbe essere da parte dell’amministrazione una maggiore oculatezza o una minore miopia nell’approcciare queste procedure, che invece loro applicano in maniera schematica.
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