Cultura e scienza / Intervista
Silvia Moresi. Poesie in rivolta nei Paesi arabi
Nelle Primavere arabe del 2011 che hanno attraversato Tunisia, Egitto, Siria, Libia e Yemen il ruolo ricoperto dagli artisti è stato fondamentale. Versi classici divenuti slogan
“E io sognavo una poesia che terminava in una rivolta in piazza”. Le parole del drammaturgo siriano Sadallah Wannus raccontano la stretta connessione tra la poesia araba e le rivoluzioni, secondo Silvia Moresi, una delle autrici e curatrice, insieme a Chiara Comito, di “Arabpop. Arte e letteratura in rivolta nei Paesi arabi”. Il testo, pubblicato nel 2020 da Mimesis Edizioni, è una raccolta di saggi che riflette sul ruolo ricoperto dagli artisti nelle Primavere arabe, le rivolte contro i regimi che nel 2011 hanno attraversato Tunisia, Egitto, Siria, Libia e Yemen. L’attenzione è posta sulle produzioni culturali, come quella poetica, nate nel solco degli eventi rivoluzionari che hanno coinvolto i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Da piazza Tahrir alle strade di Tunisi, i versi della poesia araba classica e moderna sono stati modificati e riadattati per diventare slogan di protesta. Hanno riempito i muri delle città grazie ai murales disegnati dagli street artist. Sono diventati parte dei testi dei giovani rapper e hanno preso forma nelle rappresentazioni teatrali e cinematografiche. Anche il romanzo arabo è cambiato, modificato dalla commistione con nuovi generi e linguaggi come la graphic novel e il reportage giornalistico.
“Il termine ‘pop’ è stato scelto per sottolineare la natura popolare delle espressioni artistiche delle rivoluzioni arabe, che si sono contrapposte alla cultura ufficiale dei regimi”, spiega Moresi. “Usando i social network, gli artisti sono riusciti a superare i limiti della censura e a esprimersi liberamente su argomenti politici ma anche su temi tabù come la sessualità”, prosegue. Attraverso narrazioni alternative a quelle imposte dalle dittature, una nuova generazione di scrittori, cineasti e poeti è riuscita a creare un immaginario creativo e collettivo, condiviso da chi scendeva in strada. “Nella letteratura araba c’era già stato il sentore di quello che sarebbe accaduto nel 2011. Ma con le rivolte gli intellettuali hanno potuto finalmente raccontarsi e autorappresentarsi”, aggiunge. “E il lascito delle rivoluzioni ha continuato a segnare anche le successive produzioni”.
“Me ne vado, mamma, perdonami, non servono a nulla i rimproveri mi sono smarrito su questa strada che non mi appartiene più. Perdonami, madre incolpa quest’epoca crudele, non me”. Sono le parole pronunciate da Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante che il 17 dicembre 2010 in Tunisia decide di darsi fuoco in piazza in segno di protesta. Il tragico avvenimento dà inizio alla “Rivoluzione dei gelsomini” che porterà alla caduta del presidente Zine Ben-Alì. Moresi, lei scrive che si tratta dei primi versi poetici delle Primavere arabe. Qual è stato il ruolo della poesia nelle rivolte?
SM È necessario partire da una premessa: nel mondo arabo la poesia non è elitaria ma è un genere trasversale che appassiona tutte le generazioni e ceti sociali. È l’espressione letteraria più popolare. Nelle manifestazioni la poesia ha avuto la capacità di sollecitare gli animi. I primi a manifestare sono stati giovani privi di qualsiasi organizzazione. E senza una struttura o un partito politico di riferimento, appariva impossibile portare in piazza la popolazione, spaventata e scettica sulle possibilità di ottenere un reale cambiamento dei regimi. La poesia ha influenzato e stimolato le piazze.
“Gli artisti hanno utilizzato i versi poetici come slogan di protesta, reinterpretando gli autori della tradizione. Ma il corpo poetico stesso è stato modificato dalle rivolte”
Gli artisti hanno utilizzato i versi poetici come slogan di protesta, reinterpretando gli autori della tradizione. Ma il corpo poetico stesso è stato modificato dalle rivolte: si è unito ad altri linguaggi e ne è stato contaminato, dando vita a una rivoluzione estetica. È il caso dei videoclip poems in cui si mescolano insieme video, versi e immagini nel segno di una parola che diventa corpo.
Non a caso nel 2014 il network televisivo al-Jazeera ha deciso di mandare in onda “The Poets of Protest”, sei documentari che vedono come protagonisti alcuni poeti arabi che raccontano la loro personale visione delle rivolte, politiche e poetiche.
Dopo le rivolte arabe, in letteratura si assiste a un frequente uso della distopia. Perché?
SM Succede in particolare nella letteratura egiziana. Con la feroce repressione operata dal regime di al-Sisi dal 2013 in poi, e la fine dell’utopia rivoluzionaria, la distopia è impiegata per riflettere sulla fine delle istanze rivoluzionarie. Inoltre permette di aggirare la censura, più forte rispetto al regime di Mubarak, perché consente di parlare del presente senza mai nominarlo direttamente. Un esempio è rappresentato dal romanzo “La Fila” (Nero Edizioni, 2018) in cui la scrittrice egiziana Basma Abdel Aziz, neuropsichiatra esperta di abusi e torture, immagina un mondo distopico post-rivoluzionario dove i cittadini, per potere fare qualsiasi cosa, sono costretti a stare per giorni in fila davanti alla “Porta” di un gigantesco apparato amministrativo. Nei temi affrontati dai poeti, dopo le rivolte e in Egitto in particolare, si torna a una linea intimista e personale. Molti autori hanno scelto l’esilio e i versi si sono caricati di solitudine, nostalgia, alienazione, mancanza di un senso di appartenenza. In questa nuova fase, la poesia è tornata a parlare dell’animo umano, allontanandosi spesso dalla politica per farsi universale e quindi comprensibile in ogni contesto.
Qual è stato il ruolo dei social media nella nuova produzione letteraria?
SM Hanno permesso ad artisti e scrittori di ampliare la diffusione delle loro opere e parole. La maggior parte delle nuove poesie è nata prima sui social media, dai blog a YouTube, che davano maggiore libertà e la possibilità di eludere la censura. Solo in un secondo momento le poesie sono arrivate sulla carta. Inoltre il cambiamento nella diffusione delle opere d’arte ha permesso agli artisti arabi di rendersi visibili a livello internazionale.
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