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Diritti / Reportage

Appunti dal Kurdistan iracheno (prima parte): il protagonismo delle donne e il confederalismo democratico

Il racconto di Cecco Bellosi dal campo profughi di Makhmour, nel nord dell’Iraq, al confine con la Turchia e con la Siria, dove 13mila persone hanno organizzato una forma di democrazia partecipata che vede protagoniste le donne. I primi due giorni, 2 e 3 ottobre 2019

Qalat St, Erbil, Iraq - © Agreen Duhoki Unsplash

Dal 27 settembre al 7 ottobre 2019, Cecco Bellosi, scrittore e coordinatore dell’”Associazione Comunità Il Gabbiano”, ha raggiunto con l’”Associazione Verso il Kurdistan” il campo profughi di Makhmour. Con lui Giorgio Barbarini, medico del reparto malattie infettive di Pavia. Hanno portato medicinali, in particolare linguette per la misurazione della glicemia, antiinfiammatori, antibiotici, antiipertensivi. “Questi non sono appunti di viaggio -premette Bellosi- ma di un’esperienza in un campo profughi che in questi mesi è diventato un campo di prigionia”. Qui l’introduzione.


Mercoledì 2 ottobre. Il protagonismo delle donne

Al mattino partecipiamo all’incontro delle madri al Sacrario dei caduti. Sala piena, chiamata a convalidare i risultati dell’assemblea di sabato scorso. Interviene Feliz, una giovane donna copresidente dell’assemblea del popolo, che ci sta accompagnando negli incontri in questi giorni. Il suo è un intervento forte, da leader politico. Questa ragazza è sempre in movimento, instancabile. Attorno, sulle pareti, spiccano le fotografie di almeno millecinquecento uomini e donne, spesso giovani, morti nelle varie lotte di difesa del campo. Millecinquecento su dodicimila abitanti: praticamente non esiste una famiglia che non sia stata coinvolta nella difesa drammatica dei valori comuni. Anche da qui si capisce l’identità forte dei sentimenti condivisi di una comunità.
Le donne elette per rappresentare l’Associazione si impegnano a rispettarne i principi, tra cui difendere i valori della memoria e non portare avanti interessi personali o familiari.
Sempre in mattinata, andiamo alla sede della Fondazione delle donne. Gestiscono cinque asili, una sartoria e l’atelier di pittura. La loro sede è stata rimessa a nuovo dopo la distruzione avvenuta nei giorni di occupazione dell’ISIS. Sulla parte bianca, spicca una frase di Apo Ocalan: “Con le nostre speranze e il nostro impegno, coltiviamo i nostri sogni”. L’impegno principale della Fondazione è per il lavoro e la dignità di donne e bambini. Nei loro laboratori sono impegnate sessanta persone. Seguono poi duecento giovani, bambini e ragazzi, dai sei ai diciassette anni, al di fuori dell’orario scolastico, che si autoorganizzano autonomamente: decidono insieme giochi, regole, organizzano teatri e feste.
La Fondazione è gestita collettivamente, da un coordinamento, che si trova una volta alla settimana; una volta all’anno l’assemblea generale fa il punto sui risultati, i problemi, le prospettive.
Vengono seguite anche le famiglie con problemi e si affrontano anche le situazioni di violenza domestica, ricomponibili anche con il loro intervento. Per le situazioni più drammatiche e complesse si porta il problema all’assemblea delle donne, che decide in merito. Ma il loro lavoro sul riconoscimento, il rispetto e il protagonismo delle donne avviene con tutti, anche con gli uomini, e si svolge ovunque, anche con l’educativa di strada.
La promotrice della Fondazione, Sentin Garzan, è morta combattendo in Rojava.
A mezzogiorno siamo ospiti di un pranzo preparato da chi lavora al presidio ospedaliero.
Nel tardo pomeriggio, in un clima dolce e ventilato con vista sulla pianura e la cittadina di Makhmour, incontriamo l’Accademia delle donne. Tutto, o quasi, al campo di Makhmour, parla al femminile. Bambini e bambine giocano insieme. Le ragazze e le donne giovani non portano nessun velo, se non, a volte, durante le ore più calde della giornata. Ma è un fatto di clima, non di costume o di storia o di costrizione. Le donne più anziane portano semplici foulards.
All’Accademia le ragazze molto giovani, in particolare psicologhe, sociologhe, insegnanti. Ma soprattutto militanti.
Per comprendere una storia così intensa, bisogna partire dalle origini del campo, costituito, dopo sette peregrinazioni imposte a partire dal 1995, nel 1998 da rifugiati politici della stessa regione montuosa del Kurdistan in Turchia, il Botan.
Dopo, si sono aggiunti altri rifugiati.

La loro è la storia intensa dell’esodo, con i suoi passaggi drammatici. Ma anche con l’orgoglio dell’autoorganizzazione.
Le donne dell’Accademia ci parlano del lungo e faticoso percorso svolto dall’inizio dell’esodo fino a oggi. Una delle figure di riferimento più importanti rimane Yiyan Sîvas, una ragazza volontaria uccisa nel 1995 nel campo di Atrux, uno dei passaggi verso Makhmour.
Era molto attiva nella lotta per i diritti civili e sociali. Soprattutto delle donne.
E nella difesa della natura: anticipava i tempi.
Yiyan Sîvas è stata uccisa, colpita al cuore in una manifestazione contro un embargo simile a quello attuale. Il vestito che indossava, con il buco del proiettile e la macchia di sangue rappreso, è custodito gelosamente nella sede dell’Accademia, aperta nel 2003.
All’Accademia si occupano di formazione: dall’alfabetizzazione delle persone anziane che non sanno leggere e scrivere, all’aiuto nei confronti di chi incontra difficoltà a scuola, lavorando direttamente nei quartieri.
Ma il loro scopo principale è la formazione attraverso i corsi di gineologia (jin in curdo significa donna), sulla storia e i diritti di genere; e sulla geografia, che parla da sola delle loro origini. Si confrontano con le differenze, per far scaturire il cambiamento. Che consiste in decisioni concrete, prese dall’assemblea del popolo, come l’abolizione dei matrimoni combinati, il rifiuto del pagamento per gli stessi, il divieto del matrimonio prima dei diciotto anni.
Per una vita libera, l’autodifesa delle donne è dal maschio, ma anche dallo Stato.
Sono passaggi epocali nel cuore del Medio Oriente.
“Se c’è il problema della fame”, dice una di loro, “cerchi il pane. Il pane, per le donne in Medio Oriente, si chiama educazione, protagonismo, formazione.
Che è politica, culturale, ideologica.
Con tutti, donne e uomini.
L’Accademia forma, l’Assemblea decide: è un organismo politico. Che si muove secondo i principi del confederalismo democratico, il modello di partecipazione ideato da Apo Ocalan, con riferimento al giovane Marx da una parte e a Murray Bookchin, da “L’Ecologia della Libertà”, a “Democrazia diretta” e a “Per una società ecologica. Tesi sul municipalismo libertario”.
Ma il confederalismo democratico conosce una storia millenaria. Appartiene alla tradizione presumerica, che si caratterizzava come società aperta: con la costruzione sociale sumerica è iniziata invece la struttura piramidale, con la relativa suddivisione in caste.
Si parla di Mesopotamia, non di momenti raggrinziti in tempi senza storia.


Giovedì 3 ottobre. Il confederalismo democratico

Questa mattina incontriamo i rappresentanti dell’Assemblea del popolo. Ci sono la copresidente, Feliz, e alcuni consiglieri. Verso la fine della riunione arriva anche l’altro copresidente, reduce dal suo lavoro di pastore. Di capre e, adesso, anche di popolo. Feliz spiega i nove punti cardine del confederalismo democratico:
– La cultura. Si può dire che nel campo di Makhmour da mattina fino a notte si respira cultura in tutte le sue espressioni e a tutte le età;
– La stampa, per diffondere le idee, i progetti e le iniziative che il campo esprime;
– La salute: da qui l’importanza del presidio ospedaliero e dell’attività di informazione e prevenzione;
– La formazione, considerata fondamentale per condividere principi, valori e stili di vita comuni;
– La sicurezza della popolazione: la sicurezza collettiva garantisce quella individuale, non viceversa;
– I comitati sociali ed economici per un’economia comune e anticapitalista;
– La giustizia sociale;

La municipalità, quindi il Comune, con sindaca, cosindaco o viceversa, con il compito di rendere esecutivi i progetti decisi dall’Assemblea; e, insieme, alla municipalità, l’ecologia sociale, considerata come un carattere essenziale della municipalità. L’ecologia sociale va oltre l’ecologia ambientale: è condizione essenziale per il benessere collettivo;
La politica.
Ognuno di questi punti viene declinato nelle cinque zone del campo, ognuna composta da quattro quartieri. Il confederalismo democratico parte da lì, dai comitati di quartiere, che si riuniscono una volta alla settimana e ogni due mesi scrivono un rapporto su problemi e proposte, scegliendo alcune persone come portavoce per l’Assemblea del popolo.
L’Assemblea del popolo è composta dalla presidente, dal copresidente e da 131 consiglieri. Presidente e copresidente sono presenti tutti i giorni, a tempo pieno.
Le cariche durano due anni, rinnovabili per un mandato.
La municipalità viene eletta dal popolo.
Non sempre è facile arrivare alle decisioni, perché tutto deve essere condiviso.
L’incontro non è formale: si discute infatti di come utilizzare il luogo individuato per l’ospedale, a partire dall’ampliamento del poliambulatorio. Si tratta di coprire la struttura e, allo stesso tempo, di decidere come utilizzare gli spazi, visto che sono troppo grandi per un ospedale di comunità. Viene esclusa l’ipotesi della scuola per la dimensione dei locali; vengono prese in considerazione altre ipotesi, come la nuova sede per le attività dell’Associazione che si prende cura dei bambini down, che ha elaborato un proprio progetto, e il laboratorio di fisioterapia. Ma il primo passo, concreto, è l’avvio dei lavori per la copertura della struttura.
Il confederalismo democratico ritiene che le comunità, per poter coinvolgere tutti, debbano avere una dimensione ottimale di diecimila persone. Il campo è abitato da tredicimila persone e il modello, con le sue fatiche, funziona.
Il modello in questi anni è stato adottato in Rojava, dove vi sono oltre tre milioni di persone di etnie diverse e lì il banco di prova è decisivo.
Se la Turchia non riuscirà a distruggerlo.
Ma chi lo ha proposto e lo vive non solo ci crede, lo pratica con la grande convinzione che sia il modo per cambiare dalla base la struttura sociale del Medio Oriente.

Venerdì 4 ottobre. Sabato 5 ottobre.
Incontro con M e con i giovani che difendono il campo

Domenica 6 ottobre. Lunedì 7 ottobre.
L’uscita dal campo e la differenza

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