Diritti / Attualità
“L’apartheid climatico” minaccia i diritti umani. La denuncia delle Nazioni Unite
Philip Alston, Relatore speciale Onu sulla povertà, lancia l’allarme: il cambiamento climatico farà aumentare le diseguaglianze. Mentre i più ricchi pagano per sfuggire al surriscaldamento, alla fame e ai conflitti, i più poveri saranno costretti a pagare il prezzo più elevato
“Il cambiamento climatico minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi fatti nel contrasto alla povertà e nel miglioramento della salute globale. Inoltre potrebbe spingere oltre 120 milioni di persone in più in condizioni di povertà entro il 2030”. A lanciare l’allarme sugli effetti del cambiamento globale -e sulla mancanza di sforzi efficaci per contrastarlo- è il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, Philip Alston. “Se anche gli attuali target (di contrasto al cambiamento climatico, ndr) venissero rispettati, decine di milioni di persone diventeranno povere, portando a un aumento del numero di sfollati e delle persone che soffrono la fame”, si legge nel rapporto.
Un innalzamento globale delle temperature di 2° entro il 2100 avrebbe conseguenze drammatiche: una perdita di resa delle colture del 30% entro il 2080; tra i 100 e 400 milioni di persone in più a rischio di carestia; 1-2 miliardi di persone potrebbero non avere più accesso all’acqua potabile. Inoltre si prevede che tra il 2030 e il 2050 possa causare 250mila morti in più ogni anno a causa di malaria, malnutrizione, diarrea e stress da calore.
“Il cambiamento climatico esacerberà la povertà e le diseguaglianze -avverte Alston-. Avrà l’impatto maggiore sui Paesi e sulle regioni più povere, nelle aree in cui poveri vivono e lavorano. I Paesi in via di sviluppo sosterranno il 75-80% del costo del cambiamento climatico”. Per contro, i Paesi più ricchi, che hanno maggiori capacità di adattarsi ma che sono i principali responsabili delle emissioni di gas serra, riusciranno ad affrontare meglio le conseguenze del cambiamento climatico. “Rischiamo uno scenario di ‘apartheid climatico’ in cui i ricchi pagano per sfuggire al surriscaldamento, alla fame e ai conflitti, mentre il resto del mondo viene lasciato a soffrire”, denuncia il Relatore speciale Onu.
Il diritto alla vita, al cibo, a un alloggio sicuro e all’acqua potabile risentiranno drammaticamente degli effetti del cambiamento climatico. Ma altrettanto importante sarà l’impatto sulle democrazie, poiché i governi lottano per affrontarne le conseguenze e per convincere la popolazione ad accettare le grandi trasformazioni sociali ed economiche necessarie. “In un tale contesto, i diritti civili e politici saranno molto vulnerabili”, ha commentato Alston.
Gli Stati sono consapevoli da decenni (almeno dagli anni Settanta) degli effetti del cambiamento climatico. Ma gli allarmi sollevati da scienziati e attivisti sono stati a lungo ignorati o sminuiti. Persino oggi troppi Paesi “stanno compiendo passi miopi nella direzione sbagliata”, precisa Alston. Che punta il dito contro la decisione del presidente Bolsonaro di aprire la foresta Amazzonica allo sfruttamento minerario e l’aggressiva riduzione delle normative ambientali promossa dal presidente statunitense Donald Trump. Lo stesso vale per le compagnie private, che non hanno fatto nulla per cambiare il proprio modello di business. Al contrario, dal 1988 al 2015, le aziende produttrici di combustibili fossili hanno ulteriormente aumentato il proprio impatto, emettendo in atmosfera, in soli 28 anni, l’equivalente di quanto emesso nei 237 anni successivi all’avvio della Rivoluzione industriale.
“Gli Stati, i politici e le imprese hanno usato costantemente argomenti economici per bloccare l’azione per il clima -si legge nel report-. È stato affermato che altererebbe i mercati, minaccerebbe la crescita economica e danneggerebbe lo stile di vita dei cittadini, che cancellerebbe posti di lavoro. Si tratta di un approccio cinico e miope”. Al contrario, la mancanza di azioni potrebbe avere impatti importanti sullo sviluppo economico: in un mondo più caldo di 2 gradi centigradi (uno degli scenari previsti dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) “il prodotto interno lordo globale si ridurrebbe del 13% e ci sarebbero danni per un totale di 69mila miliardi di dollari”, si legge nel report. Il calore estremo provocherebbe una riduzione del 2% entro il 2030 delle ore lavorate globalmente: 72 milioni di posti di lavoro full time.
Il rapporto di Philip Alston non risparmia nemmeno “la comunità dei diritti umani”: i passi compiuti dalla maggior parte degli organismi delle Nazioni Unite per i diritti umani, si legge nelle conclusioni, “sono stati palesemente inadeguati e fondati su forme di managerialismo che sono del tutto sproporzionati rispetto all’urgenze e la minaccia”. I diritti umani, avverte il relatore speciale, potrebbero non sopravvivere agli sconvolgimenti futuri provocati dal cambiamento climatico.
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