Crisi climatica / Opinioni
Adattamento ai cambiamenti climatici, è ora di politiche concrete
Le alluvioni e le temperature torride dell’estate 2023 ci ricordano l’urgenza di mettere in campo azioni per ridurre i danni. La rubrica di Stefano Caserini
Le torride temperature di questa estate ce l’hanno ricordato di nuovo: sarà necessario anche adattarsi al cambiamento climatico. Ossia prepararsi, predisporsi in modo adeguato “al clima previsto per il futuro e ai suoi effetti, al fine di moderare i danni o sfruttare opportunità vantaggiose”, come recita la definizione del termine “adattamento” contenuta nei rapporti dell’Ipcc, il comitato di scienziati che periodicamente riassume la conoscenza scientifica sul tema del cambiamento climatico.
Se ne parla da trent’anni. Già nella Convenzione sul clima del 1992, all’articolo 4.1, era stata affermata con chiarezza la necessità di “favorire un adeguato adattamento e di cooperare nel preparare le misure di adattamento”, o di “assistere i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici a sostenere i costi dell’adattamento” (articolo 4.4). Impegni più precisi sono poi stati previsti nel Protocollo di Kyoto del 1997 e soprattutto nell’Accordo di Parigi del 2015, in cui la parola “adattamento” compare 47 volte, con un articolo (il settimo) interamente dedicato a questo tema.
In passato il movimento ambientalista ha guardato con sospetto le politiche di adattamento e chi le promuoveva, come se potessero essere un deterrente alle azioni di mitigazione, alla riduzione delle emissioni dei gas climalteranti. L’adattamento come distrazione verso la decarbonizzazione, la lotta ai combustibili fossili. Il sospetto in parte era motivato dal fatto che un argomento usato dai negazionisti climatici era che non servisse la mitigazione perché bastava adattarsi (frase tipica: “Non bisogna preoccuparsi, l’uomo si è sempre adattato e sempre si adatterà”). D’altra parte, l’argomento della distrazione è uno slogan molto comodo, funziona ed è usato in tanti campi: gli inceneritori di rifiuti distraggono dal diminuire la produzione di rifiuti o dalla raccolta differenziata, le auto elettriche dalla mobilità sostenibile, i pannelli fotovoltaici dal risparmio energetico.
Ormai è chiaro che le azioni di adattamento sono necessarie perché gli impatti dei cambiamenti climatici sono maggiori di quanto si pensava in passato, per i medesimi livelli di temperatura, come ha mostrato in modo chiarissimo l’ultimo rapporto dell’Ipcc. E anche perché la mitigazione non potrà annullare tutti gli impatti. Persino se facessimo il massimo possibile, avremmo ancora qualche decimo di grado di riscaldamento globale aggiuntivo a quello che già stiamo vivendo che ci sta mostrando i suoi effetti.
Sono 361 le azioni di adattamento previste dal Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) italiano.
Ma l’argomento principale a favore delle azioni di adattamento è che hanno tanti importanti co-benefici, sul benessere delle persone o sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per cui converrebbe mettere al centro dell’agenda politica questo tema, senza limitarsi alle dichiarazioni di principio, ma con risorse vere, umane e materiali. Perché senza fondi e personale è difficile passare alle azioni concrete.
Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) tuttora in fase di Valutazione ambientale strategica, non solo ha identificato i principali impatti e le vulnerabilità del nostro Paese, ma ha realizzato un database di 361 azioni di adattamento. Misure di tipo soft (giuridiche, sociali, gestionali, finanziarie, che possono modificare i comportamenti e gli stili di vita), verdi (spesso chiamate nature-based solutions, che impiegano i servizi multipli forniti dagli ecosistemi naturali per migliorare la resilienza e la capacità adattiva) e grigie (infrastrutturali e tecnologiche, che riguardano il territorio costruito, gli edifici, le infrastrutture, le reti). Difficile sentir parlare il governo della priorità di queste azioni. Nel frattempo ci pensano Cerbero, Caronte, o qualche alluvione a ricordarci che non occuparcene non ci conviene.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (peoplepub, 2022)
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