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Ambiente / Opinioni

A proposito di “Parco Italia” e del progetto di forestazione urbana supportato da Amazon

© Mitchell Luo - Unsplash

Stefano Boeri Architetti e Fondazione AlberItalia hanno annunciato l’implementazione del progetto che vuole piantare 70mila alberi entro il 2024 con il supporto del colosso della logistica. L’annuncio fa colpo ma si guarda bene dal citare il consumo di suolo. Il prof. Pileri ha fatto alcuni conti per verificare se l’iniziativa è davvero efficace

Non ci sono davvero più limiti e pare che il partito dell’incoerenza o del “meglio questo che niente” si sia affermato e non tema rivali. Mi riferisco all’iniziativa Parco Italia, presentata in pompa magna a Roma il 14 novembre con intenso battage da parte dello studio Stefano Boeri Architetti (gli stessi progettisti dietro al “bosco verticale” di Milano) e della Fondazione AlberItalia. Con un comunicato stampa è stato annunciato che “70mila alberi verranno piantati entro la fine del 2024 con il supporto di Amazon”, aggiungendo che “la visione di Parco Italia sul lungo periodo è arrivare a piantare un albero per ogni cittadino delle 15 città metropolitane italiane: 22 milioni di alberi entro il 2040, così da creare una rete nazionale composta da corridoi ecologici in grado di aumentare e proteggere la biodiversità, ampliando la presenza di aree protette lungo la Penisola”.

Premesso che piantare alberi è una cosa giusta, quello che lascia a desiderare di questa iniziativa è la sua dissociazione con la materia prima di cui ogni albero ha bisogno e di cui vive e che è il maggior protagonista nella regolazione climatica e dell’assorbimento di carbonio (a dispetto degli slogan): il suolo. Quel suolo che lo sponsor di Parco Italia, Amazon, consuma senza freni, come tutto il comparto logistico (506 ettari solo nel 2022). Il comunicato stampa nemmeno lo cita e questo fa molto pensare al perché, se da un lato si invoca la forestazione come atto virtuoso, dall’altro si tiene accesa la cementificazione. Che è disastroso in sé e svuota di senso la proposta o la riduce a greenwashing, a mera occasione di esposizione mediatica a beneficio dei protagonisti.

Certamente il dato di 70mila fa colpo e chi lo vede ne resta impressionato. Ma facciamo ordine. Iniziamo con il dire che le 14 città metropolitane italiane hanno cementificato la bellezza di 1.502 ettari solo nel 2022 (Secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Ispra, 2023) e i loro capoluoghi ben 321 ettari, il 21,3%. Nel suo primo metro un suolo stocca un valore medio di 140 tonnellate di carbonio per ettaro (ton/ha) di cui circa 60 ton/ha nei primi 30 centimetri (Lal, 2004). Immaginiamoci che quei consumi abbiamo eliminato i primi 50 centimetri, quindi circa 80 ton/ha. Di conseguenza il consumo di suolo delle città metropolitane di un solo anno equivale a una perdita secca di carbonio nel terreno stimabile intorno alle 120mila tonnellate, pari a un equivalente in CO₂ intorno alle 440mila tonnellate. Il consumo di suolo di un solo anno ha buttato all’aria un enorme deposito di carbonio perennemente sequestrato sottoterra (ricordiamo che le piante lo assorbono solo in parte e solamente nel loro “breve” ciclo di vita, dopodiché buona parte del carbonio ritorna in atmosfera) che equivale ad aver emesso una valanga di CO₂. 

Solo per compensare questa perdita dovremmo piantare 63mila platani o 880mila aceri campestri e attendere tutto il loro tempo di vita (200 anni per il platano, 80-90 per l’acero) per sequestrare la CO₂ che era già nei suoli ora consumati da quelle città (un platano maturo stocca circa sette tonnellate di CO₂ nella sua vita, un acero 0,5, www.vivaistiitaliani.it/qualiviva).

Che cosa ci dice questo semplice conto? Che non stiamo parlando di niente con l’iniziativa Parco Italia se prima, e sottolineo prima, non mettiamo la parola “fine” al consumo di suolo.

Verifichiamo un altro calcolo di quelli proposti da Parco Italia. Da oggi al 2040 mancano 17 anni. Se le città metropolitane continuano a consumare suolo ai ritmi attuali, al 2040 avranno cementificato 25.534 ettari che potrebbero ospitare, a essere generosi nei miei calcoli, 25,5 milioni di piante, 3,5 milioni in più di quelle promesse da Parco Italia. Quindi se non fermano il consumo di suolo non solo l’iniziativa non produrrà tutti i benefici che promette, ma neppur andrà a pareggio delle sole piante che ipoteticamente potrebbero essere impiantate a zero consumi. Quindi, ripeto, queste iniziative sono benvenute se e solo se si ferma il consumo di suolo, altrimenti sono specchietti che usano il verde per riprodurre il modello consumista di sempre. 

Detto questo, che già sarebbe sufficiente per avere ragionevoli dubbi, non possiamo non notare l’imbarazzate sponsorship del progetto: Amazon, ovvero un colosso della logistica. Quel settore cioè che costruisce capannoni enormi consumando altrettanta quantità di suolo e che non produce statistiche riguardo il suo consumo. Idem Regioni e ministeri, che mai hanno fatto alcuna ricerca a riguardo. Solo Amazon ha una cinquantina di capannoni per il Paese. Ipotizziamo che coprano una decina di ettari l’uno: fanno 500 ettari (quindi una perdita secca di 150mila tonnellate di CO₂ che era stoccata nel suolo). Questi 500 ettari avrebbero potuto ospitare 500mila alberi (sette volte i 70mila promessi dall’iniziativa sponsorizzata) che avrebbero potuto sottrarre 3,5 milioni di tonnellate di CO₂ piantando platani (ma bisogna spettare 200 anni) o 250mila piantando aceri campestri.

Ma la CO₂ emessa dalla logistica è ben di più di quella del solo capannone perché dovremmo conteggiare anche quella emessa dalle migliaia di viaggi dei tir e dal consumo di suolo delle nuove strade e così via. Quindi 70mila alberi offerti dal colosso degli acquisti online sono un solletico. Verrebbe quasi da dire “Grazie dell’offerta, rifiuto e vado avanti”, perché il danno di immagine che produciamo alle politiche verdi pubbliche che dovremmo avere e non abbiamo è superiore al beneficio di quei fatidici 70mila alberi. I quali peraltro non verranno piantati su superfici che ora sono asfaltate e saranno depavimentate, guadagnando effettivamente 70 ettari di suolo libero, ma andranno presumibilmente a occupare suoli già liberi e che già assorbono CO₂, visto che su quegli ettari ci saranno arbusti ed erbe. A essere precisi, togliere vegetazione erbacea/arbustiva già esistente per far posto agli alberi implica un ricalcolo della capacità di stoccaggio dei nuovi alberi a cui va sottratto quel che già la vegetazione sottraeva prima.

Dopodiché non si capisce chi pagherà le aree o se queste saranno offerte dai Comuni o altri enti pubblici. Se così fosse, non sarebbe corretto perché le aree hanno un costo ben più alto degli alberi. In ogni caso non pensiate che quegli alberi generosamente offerti da Amazon siano sufficienti a compensare l’impronta della logistica. Secondo il Rapporto Ispra 2023, tra il 2006 e il 2022 in Italia sono stati cementificati per la logistica la bellezza di 5.104 ettari, di cui 506 (9,9%) solo nel 2022. Una cifra enorme che richiederebbe ben altri sforzi compensativi.

Di cosa stiamo parlando? Qualcuno potrebbe dire greenwashing, e non gli darei torto. Qualcuno potrebbe dire che “così è meglio che niente”, ma in questo caso gli direi che non è la risposta giusta, perché noi dobbiamo fare le cose per bene e per bene significa non mettere in secondo piano l’urgenza di fermare il consumo di suolo. Prima viene questo stop. Personalmente dico che non possiamo più permetterci quel modello andato già fuori da ogni limite. Anche se piantano degli alberelli qua e là, il loro consumo è abnorme. Quindi per ora non mi convince, anzi lo trovo perfino imbarazzante. Il soggetto pubblico deve affrettarsi ad approvare una legge contro il consumo di suolo, e fermare il dilagare della logistica. Ne abbiamo già abbastanza.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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