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Altre Economie

A casa dello stracchino

In Alta Valle Imagna, nella bergamasca, una neonata piccola cooperativa mantiene in vita una tradizione legata alla produzione del formaggio

Tratto da Altreconomia 127 — Maggio 2011

970 abitanti, una decina di allevatori, 200 mucche e 30 stracchini prodotti ogni giorno secondo la tradizione. Siamo a Corna Imagna (Bg), nell’Alta Valle Imagna, dove la tradizione casearia è un’attività antica e radicata nella memoria degli abitanti.

“La storia economica e sociale delle popolazioni di queste terre si basa sull’allevamento e la produzione di latte, burro e stracchino (lo strachì), e sulla raccolta delle castagne -racconta il sindaco di Corna, Antonio Carminati-. Questi prodotti, un tempo, erano alla base della micro-economia domestica delle famiglie del paese”.

E proprio dall’idea che il recupero della tradizione casearia e degli “antichi mestieri” (che non sono mai stati del tutto abbandonati) sia fondamentale per valorizzare la Valle, lo scorso gennaio è nata la cooperativa “Il tesoro della bruna” (dal nome della razza bovina tipica di questo territorio, la bruna-alpina), che si propone di coniugare il rispetto della cultura del luogo con la tutela del paesaggio montano e l’avvio di una vera e propria economia locale “a chilometro zero”.

Sul versante sinistro della Valle Imagna -quello esposto al sole da mezzogiorno a sera, terrazzato e con piccoli allevamenti e storiche architetture rurali in pietra-, infatti, resiste un importante “patrimonio agricolo e pastorale che si è conservato nel tempo, ma non è mai stato valorizzato -come spiega Antonio-, e anzi, è sempre rimasto racchiuso tra le mura domestiche, per una produzione di sussistenza a sostegno dell’economia familiare”. Il sistema di produzione, distribuzione e consumo degli stracchini, infatti, ha avuto un peso importante nell’economia della Valle fino ai primi anni Ottanta, quando l’introduzione di nuove norme igenico-sanitarie ha fatto chiudere tante piccole aziende di montagna. “La nuova normativa, seppur legittima, era inapplicabile alla struttura tradizionale delle piccole stalle della Valle”, spiega il sindaco. Molti allevatori furono costretti ad abbandonare l’attività casearia, mentre altri decisero di limitarsi alla vendita del latte fresco, senza lavorare il formaggio, a profitto delle grandi industrie casearie del fondo valle.

In questo contesto, la produzione del tradizionale strachì divenne patrimonio di quei pochi allevatori che continuarono a produrlo per il consumo familiare o per gli amici e i vicini: oggi, la cooperativa “Il tesoro della bruna” punta proprio sul coinvolgimento di chi ha continuato a produrre il formaggio “come una volta”, perché diventino i portavoce della cultura locale creando una rete di produzione e vendita dei prodotti caseari della Valle nella nuova “Casa dello stracchino”, la Ca’ dol strachì. Si tratta di 6 piccoli allevatori con poche mucche (una trentina in tutto: la stalla più grande ne conta 15, quella più piccola 3) che, insieme a un commerciante locale, a un operatore rurale, al Comune e al Centro studi Valle Imagna (www.centrostudivalleimagna.it), hanno unito le proprie forze (e le loro piccole quantità di latte), redatto un disciplinare di prodotto e regolamentato la produzione del formaggio, grazie alla collaborazione dei tecnici dell’Associazione provinciale allevatori (Apa) e della Coldiretti.

L’attenzione alla filiera è il cuore del progetto, il cui obiettivo è diffondere lo stracchino prodotto secondo la tradizione e quindi, come dice Antonio, “alimentando le mucche come è sempre stato fatto, con il foraggio locale, lavorando il latte a munta calda e cagliandolo subito dopo la mungitura”. La freschezza del latte è garantita dalla vicinanza tra le stalle e la “Casa dello stracchino”, dove si trasformerà il prodotto: tutte le 6 aziende, infatti, si trovano nel raggio di mezzo chilometro. Anche sulle razze si sta lavorando, selezionando nel tempo quelle autoctone, in particolare la bruna-alpina, tipica dei paesaggi montani dell’Alta Valle Imagna. 

La Casa (che verrà inaugurata il prossimo 15 maggio) è ospitata in un edificio rurale di proprietà del Comune e della parrocchia, nella storica contrada Finiletti, oggi quasi del tutto disabitata. Non avendo a disposizione i fondi per ristrutturare e attrezzare questa struttura, la Casa è stata costruita sulla base di un progetto condiviso nel quale i soci allevatori hanno fornito la manodopera -lavorando nei fine settimana- e il Comune ha messo ha messo a disposizione i materiali.

Al piano terra del vecchio edificio è stato creato un locale per la trasformazione del latte e sono state recuperate tre zone per la stagionatura dei formaggi (tra cui due cantine naturali, gli storici fundì, con il soffitto di pietra a botte, usato tradizionalmente); al piano superiore, invece, si trovano un locale per la vendita diretta e un altro per la trasformazione dei prodotti agricoli. Oltre al formaggio, nella Ca’ si potranno lavorare le altre produzioni della tradizione, a seconda delle stagioni: durante l’inverno, la carne di maiale (per ricavarne salami e cotechini); nei mesi più caldi, la frutta autoctona e le castagne (per marmellate, composte e succhi).

Nella Casa, in un primo momento, si lavoreranno 3 quintali di latte al giorno, per una produzione quotidiana di 30 strachì che, sottolinea il sindaco, “possono sembrare un numero insignificante, ma per noi sono una produzione molto importante, perché quei 30 stracchini raccontano la storia del nostro territorio”. Sebbene sia il celebre stracchino a dare il nome alla Casa, i prodotti venduti saranno anche altri: il cornel (una forma particolare di strachitunt, una produzione Dop), il quartì (un piccolo formaggio quadrato) e il fiurìt (una ricotta ricavata dal siero di scarto della lavorazione degli strachì), oltre al burro. Tutti i prodotti avranno un “marchio di prodotto” che permetta di “farli uscire dall’anonimato” e “che li renda riconoscibili”, come sottolinea il sindaco. “Quel marchio non solo identificherà i prodotti caseari della tradizione, ma permetterà anche di risalire ai produttori”. Di fatto, gli stracchini -che saranno venduti a 7 euro al chilo (il peso medio di una forma tradizionale)-, sono già una produzione tutelata e riconosciuta con un Presidio di Slow Food, lo “stracchino all’antica delle Valli Orobiche”, prodotto in Lombardia nelle valli Brembana, Taleggio, Serina e Imagna con latte vaccino crudo intero appena munto (da qui il nome della tecnica di lavorazione, “a munta calda”).

Inizialmente la Casa dello stracchino garantirà lavoro a 3 donne: 2 casare per la trasformazione del latte e un’altra persona nello spaccio, che sarà aperto tre giorni alla settimana (giovedì, dalle ore 15 alle 18; sabato e domenica dalle ore 9 alle 12 e dalle 15 alle 18).

Accanto alla casa c’è un altro fabbricato che accoglierà il nuovo Centro servizi per l’agricoltura -spazio d’incontro per i produttori e punto di riferimento per le associazioni locali-, accanto a un locale per la degustazione dei prodotti, nella vecchia stalla. “Questo sarà lo spazio dell’accoglienza -spiega Antonio-. Infatti le persone che verranno alla Casa potranno toccare con mano la tradizione e conoscere la storia della nostra Valle, a contatto con gli allevatori e immersi nella natura”. Se c’è il sole, da qui si vede tutta l’Alta Valle Imagna, dal comune di Costa a Fuipiano; il Resegone (detto anche Monte Serrada) si staglia sull’orizzonte, mentre ai piedi del caseificio, sui terrazzamenti, si coltiveranno vigneti e alberi da frutto. Qui, con un po’ di fortuna, si può incontrare uno degli allevatori della cooperativa, come Celina (vedi box).

Con lei scambiamo poche parole, perché per conoscere la storia dello strachì e dei produttori basta affidarsi ai sensi, al sapore inconfondibile del latte da gustare immersi in questi paesaggi rurali. Info: 328-18.29.993 oppure il sito

 
 
La maturazione dello strachì
“Ho sempre fatto qualche stracchino per la nostra famiglia e per gli amici. L’abbiamo sempre fatto così e non l’abbiamo mai cambiato. Perché avremmo dovuto?”. Celina Carminati è un’allevatrice di 60 anni e di poche parole. Ha 5 mucche che producono 40 litri di latte al giorno, fa questo lavoro “da sempre” ed è tra i soci fondatori della cooperativa “Il tesoro della bruna”. La tradizione vuole che per produrre lo strachì si usi il latte appena munto, facendo una cagliata “alla temperatura naturale della mungitura” (circa 37° C); poi, la forma così ottenuta viene incisa con una croce e sminuzzata, perché esca il siero.

La pasta viene allora sistemata per 12-24 ore in piccole forme (un tempo si usavano le cassette di legno, dette fassaröl) e successivamente salata, a mano. La forma viene fatta riposare nelle cantine, distesa su tessuti naturali, a una temperatura che non scende mai sotto i 12° C: il formaggio, che acquista così un’aroma e una fragranza particolari, è pronto già dopo pochi giorni (a qualcuno piace più stagionato, in quel caso la maturazione può durare anche 30 giorni).

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