Altre Economie
A carte scoperte – Ae 68
Viviamo in un mondo che, a dispetto della civiltà informatica, produce ogni anno 300 milioni di tonnellate di carta e cartone: solo in Italia ne consumiamo 11. Per questo vale la pena di interrogarsi su foreste, piantagioni e riciclo. A…
Viviamo in un mondo che, a dispetto della civiltà informatica, produce ogni anno 300 milioni di tonnellate di carta e cartone: solo in Italia ne consumiamo 11.
Per questo vale la pena di interrogarsi su foreste, piantagioni e riciclo. A partire dalla rivista che avete tra le mani
La domanda se ne sta lì come un dito puntato: “Usate ancora carta riciclata, vero?”. Via mail, nero su bianco. Perentoria: “Spero vi siate soltanto dimenticati di scriverlo”.
Dritta al punto.
Conviene interrogarsi sull’origine e sul destino della carta visto che, contrariamente alle previsioni di 15 anni fa, continuiamo a consumarne, e in quantitativi sempre maggiori. La faccenda non riguarda soltanto il nostro giornale preferito, cui scriviamo preoccupati perché, da un numero a questa parte, è scomparsa la rassicurante dicitura “stampato su carta riciclata”, ma tutti i nostri consumi quotidiani: la carta che utilizziamo per la fotocopiatrice in ufficio, il cartoncino sul quale per anni abbiamo vergato i nostri saluti e baci dalle vacanze, i materiali con i quali vengano confezionati i “dieci piani di morbidezza” della nostra carta igienica di riferimento, o la busta di carta che in bottega ci propongono per i prodotti del commercio equo…
Viviamo in un mondo di carta che, nonostante lo sviluppo velocissimo della civiltà informatica, allinea numeri da perderci il sonno: ogni anno nel mondo si producono oltre 300 milioni di tonnellate di carta e cartone (e, secondo l’Ocse, tra il 1995 e il 2024 la produzione è destinata ad aumentare del 77%). L’Europa ne “brucia” poco più di 90 milioni di tonnellate, gli Stati Uniti poco meno, il Giappone 32 milioni. E anche l’Italia, con i suoi 11,7 milioni (per due quintali pro capite ogni anno), si difende bene.
Per produrre carta si consumano grandi quantità di energia (il 4% del totale a livello globale) e acqua (tra i 44 e gli 83 mila litri per tonnellata di fibra vergine) e si producono emissioni nocive.
Il problema principale però è il taglio degli alberi.
Il nodo cruciale è proprio questo: oggi chi compra una carta, come denuncia Greenpeace, “non può essere sicuro che sia stata realizzata senza danneggiare foreste primarie”, cioè foreste “antiche”, così le definiscono gli anglosassoni, con alberi centenari e specie a rischio.
I grandi produttori ed esportatori di cellulosa e pasta di legno sono i Paesi Scandinavi, dove colossi come l’azienda finlandese-svedese Stora Enso, numero uno al mondo, controllano tutta la filiera, dall’albero al foglio di carta.
Ma fornitori importanti si trovano anche in Canada, Stati Uniti, Russia, Indonesia, Cile e Brasile. Le foreste primarie sono minacciate in tutti questi Paesi e in alcuni, come la Russia, metà del legname proviene da taglio illegale.
Le cartiere italiane comprano la materia prima soprattutto nel Nord Europa, per questioni logistiche (la distanza è inferiore e il trasporto costa meno) e qualitative: “I prodotti russi, per esempio, non sempre raggiungono standard accettabili da questo punto di vista”, racconta Ugo Carrara, responsabile commerciale della Cartiera Pigna. “Ma, quando conviene, cambiamo fornitori e Paesi: dipende dal valore di euro e dollaro, in definitiva”.
Difficile quindi sapere da dove proviene la carta che abbiamo in mano.
Da alcuni anni esiste la carta a marchio Fsc, che garantisce la provenienza della materia prima da foreste gestite in modo sostenibile. Ma i prodotti non sono ancora così diffusi, soprattutto se cerchiamo un “Fsc 100%”, in Italia non ancora disponibile (diverse cartiere producono invece “miscele” di cellulose Fsc e di cellulose non certificate).
C’è poi il mondo vasto e variegato delle carte riciclate, realizzate a partire da maceri: la loro produzione riduce l’utilizzo di energia e acqua, le emissioni gassose in atmosfera e contribuisce al recupero e al riutilizzo di rifiuti che, altrimenti, finirebbero in discarica. Oggi, il grosso dei maceri viene impiegato per produrre imballaggi, mentre una percentuale inferiore (in Italia in particolare) entra nel ciclo delle carte da stampa, per editoria o ufficio.
Ma dire “riciclato” non è sufficiente: per esempio è meglio evitare le carte patinate, se possibile, perché il procedimento di patinatura comporta l’utilizzo ulteriore di prodotti chimici.
E così, meglio guardare ancora con sospetto le carte che, riciclate al 100%, sono anche bianchissime, perché la sbiancatura potrebbe essere stata ottenuta, anche in questo caso, con l’utilizzo di prodotti artificiali. Ecco perché Paolo Vieno, ingegnere e amministratore delegato di Cartiera Verde della Liguria (insieme a Cariolaro, Pigna e Favini una delle quattro segnalate in Italia da Greenpeace), tiene a sottolineare un particolare tra gli altri: “Le nostre carte -dice- sono prodotte senza cloro e senza sbiancanti ottici”. Lo stabilimento, silenzioso come un gigante addormentato, se ne sta accanto al torrente Teiro, nell’entroterra di Varazze (Savona). Cartiera Verde è nata nel 1991: oggi ha un fatturato di 18 milioni di euro, 75 dipendenti e produce da sempre carte ottenute da maceri post-consumo, che arrivano cioè dalla raccolta differenziata domestica e dai rifiuti delle aziende, o da propri scarti di lavorazione (come i rifili e le bobine difettose). Nel 2005 ne ha prodotte 30 mila tonnellate.
I diversi gradi di bianco delle carte vengono ottenuti selezionando i maceri: meno pregiati gli stampati (giornali, riviste, volantini pubblicitari), di qualità migliore (e più costosi) i cosiddetti maceri bianchi, cioè poco inchiostrati. Una linea di prodotti ha ottenuto l’Ecolabel per il basso impatto ambientale durante il processo produttivo (con emissioni atmosferiche di zolfo e CO2 e inquinamento idrico limitati), obiettivo che la cartiera raggiunge anche grazie al ciclo chiuso delle acque, che riduce il prelievo idrico dell’azienda, all’impianto di cogenerazione a gas naturale (attivo dal 1997) che la rende autosufficiente nella produzione energetica, al biogas prodotto dall’impianto di depurazione delle acque. Aspetti da tenere a mente quando si sceglie che cosa acquistare:
“Il fatto che la carta sia riciclata -dice Vieno- non significa necessariamente che sia anche ecologica”.
Chi fa carte riciclate, lo fa anche perché è una fetta di mercato interessante: la stessa Pigna ha iniziato nei primi anni Novanta, per riutilizzare gli scarti della propria cartiera e di altre aziende del settore. Per questo tratta soltanto quelli che vengono definiti maceri bianchi “pre-consumo” . Il prodotto finale è un po’ più caro della carta da fibra vergine (nell’ordine del 3-5%) ma non per motivi tecnici: è solo che il mercato (ancora di nicchia) è disposto a pagare di più questa carta per il suo valore aggiunto.
Chi dentro ai maceri ci sta da sempre, non ha la minima intenzione di cambiare rotta. “Non avrebbe senso mettersi contro i giganti della carta non riciclata”, spiega Giorgio Cariolaro, titolare della omonima cartiera nata a metà degli anni 30 a Carmignano di Brenta (Padova). Oggi la “Cartiere Cariolaro spa” è un’azienda da 40 milioni di euro di fatturato, con una produzione di carta riciclata per 70-80 mila tonnellate l’anno, quasi un terzo esportata in Germania. Carte da stampa e non (la carta della precedente versione di Ae la compravamo qui): “Continuiamo a occuparci esclusivamente di maceri -dice Cariolaro- perché è una nicchia di cui in Italia siamo un punto di riferimento”. Alcuni prodotti Cariolaro hanno ottenuto marchi ecologici come l’Ecolabel europeo o il Blauer Angel tedesco, che garantiscono il basso impatto ambientale del ciclo produttivo per quel prodotto specifico.
Ma non è finita: puntare su materiali riciclati soltanto perché in questo modo, come capita di leggere su alcuni prodotti, “nessun albero è stato abbattuto”, è un modo superficiale e a volte fuorviante di porsi il problema. Anzi, è proprio un errore, ci raccontava Laura Secco del Forest Stewardship Council (Fsc) tempo fa, quando ci siamo occupati di legname e mobili “sostenibili” (vedi Ae n. 36): le foreste vanno anche gestite (e quindi gli alberi abbattuti) perché “altrimenti non potrebbero autorigenerarsi”. Tutto sta a capire che cosa viene tagliato e come ma, soprattutto, da dove proviene il legname.
Comieco, il Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi a base cellulosica, fornisce notizie rassicuranti, almeno in apparenza: “La stragrande maggioranza della cellulosa per produrre carta -afferma- deriva da colture di piante a rapida crescita coltivate appositamente”, in particolare conifere, pioppo, betulla, eucalipto, faggio. Ma, di nuovo, le cose sono meno semplici di quanto potrebbe sembrare: “Le piantagioni di per sé non rappresentano una garanzia sufficiente -conferma Sergio Baffoni di Greenpeace Italia- perché in alcuni casi per impiantare queste colture vengono distrutte foreste vere e proprie e non vengono rispettati i diritti delle popolazioni indigene che vivono sul territorio”. E poi -senza stare a considerare i fertilizzanti chimici utilizzati in grandi quantità- alcuni di questi alberi “a rapida crescita” hanno una pessima fama: “Come l’eucalipto, che erode il terreno e assorbe troppa acqua, favorendo la desertificazione”.
E’ tutto un imballaggio
Carta e cartone riciclati (46,5 milioni di tonnellate nel 2004 in Europa) vengono riutilizzati in gran parte come imballaggi, come evidenzia il grafico. L’industria della carta europea ha un giro d’affari di oltre
72 miliardi di euro, con 275 mila persone impiegate direttamente e 3,5 milioni considerando l’indotto. Il più grande produttore europeo di carta è la Germania, seguito da Finlandia, Svezia e Francia.
Romanzi leggeri
Il primo è stato Wu Ming 2, con il suo eco-fanta-thriller Guerra agli umani, “critica feroce e sapiente a una civiltà che si autodivora e non sa rinnovare le proprie risorse”. Ma ne sono arrivati altri, molti altri, e oggi sono più di un milione. Raccoglie sempre più adepti la campagna di Greenpeace “Scrittori per le foreste”, che chiede ad autori ed editori (e, di riflesso, ai lettori-consumatori) di scegliere per i propri libri carta eco-sostenibile: non patinata, contenente almeno il 50% di fibre riciclate post-consumo (e, per la parte rimanente, carta certificata Fsc) prodotta con tecnologie pulite e senza l’uso di cloro.
Dal 2003 a oggi in Italia sono stati stampati su “carta amica delle foreste” oltre un milione di libri, con l’adesione di editori grandi e piccoli e di numerosi autori, tra cui Nicolò Amanniti, Sandro Veronesi e Andrea De Carlo (il cui romanzo Giro di vento è stato il primo ad alta tiratura -130 mila copie- ad aderire all’iniziativa).
La campagna è partita con la “Markets initiative” in Canada, dove attualmente 67 editori -tra cui la Penguin- si sono impegnati a usare solo carta sostenibile.
Info: www.greenpeace.it/scrittori e www.oldgrowthfree.com
Dentro la cartiera insonne
La cartiera è un animale che non dorme mai: spegnere le macchine costerebbe troppo in perdita di tempo e di scarti).
Così si lavora a ciclo continuo, ventiquatt’ore al giorno, con due fermi soltanto in un anno per pulizia e manutenzione. In un’azienda come Cartiera Verde di Varazze (Sv), bastano otto addetti appena per un turno di produzione. Che, come per tutte le cartiere, inizia sul piazzale dove i camion scaricano le balle di carta da macero, quelle di pasta di legno o i blocchi di cellulosa in fogli, a seconda che la cartiera produca riciclata o carta da fibra vergine. La materia prima, dopo essere stata selezionata finisce nel “pulper”, una specie di frullatore che, con l’aggiunta di acqua calda, riduce tutto in poltiglia. Da qui la pasta subisce diversi processi di pulizia e disinchiostrazione (se si tratta di maceri) o di sbiancatura, per poi finire nella “macchina continua”, dove, una volta disidratata, si trasforma in un foglio continuo largo un paio di metri e avvolto nelle “jumbo”, megabobine da 7-8 tonnellate.