Cultura e scienza / Intervista
Andrea Mazzacavallo. Teatro civile contro la rimozione
Il crack della Banca Popolare di Vicenza protagonista dello spettacolo dove gli attori (e il pubblico) sono divisi in due gruppi: chi ne è rimasto vittima e chi no
C’è poco da brindare con le pregiate bottiglie della casa vinicola Zonin spa di Gambellara (VI) -che si conferma tra i maggiori produttori di vino italiano con un fatturato 2017 di 201 milioni di euro, in crescita del 4,2%-, per i “risparmiatori azzerati” della Banca Popolare di Vicenza. Al contrario, alcuni di loro hanno deciso di prendere voce su un palco, per ricordare a tutti la “tragedia incivile” del crack dell’istituto, guidato per anni dall’imprenditore Gianni Zonin che, a partire dalle vigne -oggi in mano ai figli Domenico, Francesco e Michele- costruì la sua fortuna.
“La seduta spiritica, ovvero, dov’è Zonin” è uno spettacolo nato da un’idea di Andrea Mazzacavallo, cantastorie e regista classe 1971, vincitore nel 1995 del premio dedicato a Demetrio Stratos, “Cantare la voce” e di due premi della Biennale di Venezia per le musiche degli spettacoli “Il corvo” di Carlo Gozzi (2006) e “L’ultima casa” di Tiziano Scarpa (2007). “Nel 2000 partecipai a Sanremo arrivando ultimo”, ricorda Mazzacavallo. La sua canzone, “Nord-Est” parlava della riduzione dell’orario di lavoro.
“Ci sono due parole chiave che devi conoscere in Veneto: lavoro è una di queste, schei (soldi, ndr) è l’altra. La vicenda della Banca Popolare di Vicenza ha sgretolato questo vocabolario e, nonostante questo sconvolgimento, non ci sono state reazioni eclatanti da parte dei cittadini”, dice l’artista.
In che modo il teatro civile può aiutarci a tenere alta l’attenzione su “tragedie incivili” come questa?
AM Il teatro è uno strumento di indagine del reale e una forma attraverso cui possiamo conoscere la storia. Nel nostro caso, il pubblico è diviso in due, tra chi è stato truffato da questo sistema bancario e chi è scampato a questa crisi. Grazie al teatro civile possiamo provare a stabilire un dialogo tra queste parti che raramente comunicano tra loro.
Solo a partire da questo confronto possiamo invertire il meccanismo di rimozione che è già in corso sulla vicenda della Banca Popolare di Vicenza.
Le conseguenze sulla comunità non sono state solamente economiche, ma sociali.
AM È proprio questo il punto: i cittadini truffati vivono oggi in una condizione separata dal resto della comunità. Spesso vivono una condizione psicologica molto difficile, di frustrazione: nessuno li potrà mai risarcire di questi danni profondi. Ma penso anche ai tanti incontri organizzati sul territorio sulla crisi bancaria: partecipando ho incontrato sempre e solo cittadini che hanno subìto il danno. Gli altri raramente si sono interessati.
Questo è uno dei nodi centrali: chi non è stato coinvolto nella crisi della Banca Popolare di Vicenza è in cima alle nostre preoccupazioni. Queste persone pensano, infatti, di essere nelle mani di istituzioni finanziarie solide. Il teatro ci dà l’occasione di far capire anche a loro che -perché queste situazioni non si ripetano- dobbiamo restare sempre attenti e informati sul mondo dell’economia finanziaria.
La forza di questo processo viene anche dal fatto che in scena troviamo direttamente i cittadini truffati, che raccontano la loro storia in modo corale.
AM Circa la metà dei quindici attori sul palco è stata coinvolta direttamente nella crisi delle banche vicentine. E tutti sono comunque coinvolti in modo indiretto, tramite parenti e amici che hanno subìto questo danno.
Le loro testimonianze hanno quindi assunto un’importanza centrale nella costruzione del testo, che è un’opera collettiva di un autore che abbiamo soprannominato “Fosfeni”, il cui nome richiama il fenomeno visivo che si percepisce quando, a occhi chiusi, si vedono dei puntini luminosi. Tutta questa storia, infatti, sembrerebbe una sorta di allucinazione, se non fosse tristemente reale.
I cittadini truffati sono quindi gli attori stessi di questo teatro civile.
AM Sul palco vediamo solo attori non professionisti: cittadini che si sono messi in gioco in prima persona. Il mio riferimento in questo percorso è Jacques Lecoq (1921-1999), mimo e pedagogista francese che fondò nel 1959 a Parigi la “Scuola internazionale di teatro fisico”.
Alla base del suo lavoro c’era l’idea che il teatro fosse prima di tutto gioco, un concetto che riprendo sempre nei miei spettacoli. E Lecoq valorizzava anche il ruolo del coro, che ritroviamo nella “seduta spiritica”, come elemento che ci aiuta a riflettere collettivamente su questa vicenda. Inoltre, riprendo il concetto di “teatro povero” del regista polacco Jerzy Marian Grotowski (1933-1999). Il teatro civile è un teatro povero, non solo perché valorizza la relazione diretta tra attori e pubblico eliminando il superfluo dato dal trucco, i costumi e le scenografie, ma anche perché è emerso come forma espressiva in un momento di grave riduzione degli investimenti culturali, proprio in segno di rottura.
Una delle caratteristiche del teatro civile italiano è il suo mettersi in ascolto di una storia rimasta nascosta e tradurla in un messaggio per il pubblico, capace di colmare questo vuoto.
AM Il teatro civile spesso nasce da una ricerca: è una forma d’inchiesta che in scena si trasforma in denuncia. Per noi quest’operazione era possibile entro certi limiti, poiché sul caso Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca non ci sono ancora sentenze definitive.
Per questo, nella costruzione del testo abbiamo valorizzato le testimonianze dirette, accanto ai documenti di archivio, ai numerosi articoli scritti e a un dialogo prezioso con l’associazione La Casa del Consumatore di Schio (VI, casadelconsumatore.it), che da anni segue la vicenda. Continuare a parlare di questa triste storia è il minimo che possiamo fare e la commedia dell’arte ci permette di farlo in modo ironico e sarcastico, per non restare anestetizzati. Abbiamo così, se non altro, la possibilità di fare una pernacchia ai responsabili di questa tragedia incivile.
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