Terra e cibo / Opinioni
La pietra tombale sull’agricoltura europea
Il mondo agricolo chiede dazi “ambientali” e “sociali” contro l’accordo di libero scambio tra Ue e Mercosur. Facendo emergere l’ipocrisia sui pesticidi. La rubrica di Riccardo Bocci
Hanno fatto discutere a fine novembre le trattative per la conclusione dell’accordo di libero scambio tra Unione europea e Mercosur, dopo circa un quarto di secolo di trattative. L’Ue creerebbe così un’area di libero scambio con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay con all’interno più di settecento milioni di persone.
Si tratta di un altro tassello verso quel processo di apertura dei mercati e globalizzazione commerciale che un tempo era oggetto di critica del pensiero altermondialista. Oggi si fa fatica anche solo a scoprire che questo accordo era in agenda nel G20 che si è tenuto in Brasile dal 14 al 19 novembre.
Le uniche voci contrarie sono rimaste quelle del mondo agricolo che, questa volta compatto, chiede la revisione di un accordo che viene visto come la pietra tombale sull’agricoltura europea a causa dell’eliminazione dei dazi alle importazioni dei prodotti agricoli del Mercosur.
Infatti, come al solito, l’Unione europea negozia l’apertura dei mercati altrui a beni industriali e servizi europei e offre l’ingresso di materie prime agricole nel proprio mercato. Il tutto è perfettamente funzionale con il modello di sviluppo nel quale siamo immersi: l’agricoltura è un settore residuale destinato a scomparire dalle economie a capitalismo avanzato, fatta salva la nicchia del cosiddetto prodotto di qualità (variamente etichettato), che però lega sempre più la materia prima alle zone dove il costo della manodopera è basso e limita la mera trasformazione al territorio europeo.
Insomma non è un errore per i funzionari di Bruxelles negoziare un accordo di questo tipo, è esattamente quello che hanno imparato nelle business school che hanno frequentato e quello che gli insegnano ogni giorno. Dominati da questo pensiero unico liberista, ai sindacati non resta che difendere una battaglia di retroguardia, affermando che l’accordo non è equo perché gli agricoltori del Mercosur non devono rispettare le regole ambientali europee e quindi i nostri cittadini si troverebbero dei prodotti con bassi standard qualitativi.
Le firme raccolte dalla petizione del Pesticide action network Europe e presentate alla Commissione europea sono 260mila
In questo caso, il Green deal e le norme ambientali, tanto avversate in altre occasioni dai sindacati agricoli, tornano a essere un utile appiglio per difendere la richiesta di dazi “ambientali” e “sociali”. È però difendibile una simile posizione che da un lato protegge il nostro mercato, ma dall’altro ha come orizzonte commerciale l’esportazione e quindi le aperture dei mercati altrui ai nostri prodotti? Senza mai rimettere in discussione il modello agricolo industriale.
Anche un altro problema emerge nelle relazioni Ue/Mercosur: la nostra falsa coscienza riguardo i pesticidi. Infatti se in Europa dopo anni di lotte le politiche agricole cominciano timidamente a parlare di una loro riduzione e della messa al bando di quelli “troppo” tossici (vedi anche la petizione lanciata dal Pesticide action network Europe con più di 260mila firme e presentata a novembre alla Commissione), in Sud America la situazione è molto diversa.
In Brasile, ad esempio, il loro uso è quadruplicato negli ultimi dieci anni. Si tratta in molti casi di principi attivi che da noi non sono più ammessi, ma che sono prodotti in Europa e poi esportati in America Latina. Quindi, ricapitolando, l’Ue attua delle politiche ambientali (che però si guardano bene dal bandire la produzione dei pesticidi non commercializzabili in Europa) per rendere più green l’agricoltura, ma allo stesso tempo promuove con le politiche commerciali un’apertura dei mercati che favorisce le importazioni agricole a basso costo da zone dove queste politiche non sono attuate e per di più esporta in questi Paese quei pesticidi che mette al bando sul territorio comunitario.
A prima vista potrebbe sembrare un’incoerenza o lo strabismo frutto di competenze e direzioni diverse della Commissione europea. Ma, in realtà, tutto ciò ha un nome: capitalismo.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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