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Crisi climatica / Attualità

Diventare genitori in un mondo in crisi climatica: le scelte dei giovani

Jade Sasser, professoressa di Studi di genere e sessualità all’Università della California di Riverside, studia da più di vent’anni le relazioni tra i problemi ambientali su larga scala, come il cambiamento climatico, e i corpi, la salute e l’attivismo delle donne © baybookfest.org

Jade Sasser, professoressa di Studi di genere all’Università della California di Riverside, ha analizzato le domande che i giovani si pongono riguardo alla genitorialità e la relazione tra ansia climatica, emarginazione e natalità

Tratto da Altreconomia 274 — Ottobre 2024

“I giovani millennial e della Generazione Z si domandano ‘stiamo vedendo gli impatti dei cambiamenti climatici e sappiamo che si intensificheranno sempre di più. Quando avremo dei bambini, degli adolescenti, come risponderemo quando ci chiederanno perché li abbiamo messi al mondo?’. In parte la loro reazione è dovuta al fatto che pongono queste domande ai loro stessi genitori: sapevate del cambiamento climatico? Perché avete avuto dei figli? Perché mi avete messo in questa situazione?”.

Jade Sasser, professoressa di Studi di genere e sessualità all’Università della California di Riverside, studia da più di vent’anni le relazioni tra i problemi ambientali su larga scala, come il cambiamento climatico, e i corpi, la salute e l’attivismo delle donne. Nel suo libro del 2018 “On infertile ground: population control and women’s rights in the era of climate change”, ha analizzato i fattori legati allo sviluppo di politiche e teorie legate alla sovrappopolazione, al consumo eccessivo delle risorse, alle questioni che si interrogano su chi deve o non deve avere figli.

Con il suo ultimo libro, pubblicato ad aprile 2024, l’autrice ha voluto approfondire che cosa può spingere oggi ventenni e trentenni statunitensi a volere o a non volere figli in un momento storico in cui i cambiamenti climatici hanno un forte impatto sulle emozioni che provano le giovani generazioni. “Climate anxiety and the kid question” presenta i risultati di una ricerca originale, realizzata attraverso interviste approfondite e un sondaggio a livello nazionale, e analizza il ruolo che le origini etniche hanno sulla salute mentale e le scelte riproduttive dei giovani tra i 26 e 40, i millennial, e della generazione a loro successiva, la Gen Z.

“Quello che ho scoperto con la mia ricerca è che questa è una domanda morale ed etica che le persone si stanno ponendo e con la quale stanno davvero facendo i conti. Ma non esiste una risposta univoca che indichi quale sia la migliore condotta morale da seguire”, spiega Sasser ad Altreconomia.

Negli anni, le ricerche accademiche sulla rinuncia alla genitorialità hanno esaminato quali condizioni, sia a livello macro sia micro, possano influenzare questa scelta. Il maggior accesso delle donne al lavoro, la nascita e lo sviluppo dei movimenti femministi oppure le esperienze vissute durante la propria infanzia o il desiderio e la libertà di non prendersi cura dei figli.

“Molti giovani delle generazioni che ho analizzato sono ben informati sulla scienza del clima. Sanno leggere i rapporti scientifici, hanno studiato i cambiamenti climatici a scuola”

Ci sono molte prove, inoltre, che le condizioni di crisi politiche ed economiche, ma anche sanitarie come è stata la pandemia da Covid-19, hanno implicazioni negative sull’intenzione di avere figli e sui tassi di natalità. Sono recenti invece le ricerche che indicano come gli individui siano sempre più pessimisti sulle prospettive future, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici, e sviluppino quella che viene chiamata ansia climatica (climate anxiety).

Jade Sasser definisce questo concetto partendo dalla ricerca in psicologia e integrandola con le descrizioni che le persone fanno delle sensazioni che vivono in prima persona: “Si tratta di un termine ombrello che descrive diverse emozioni e una serie di risposte emotive angoscianti che le persone provano sia in risposta agli impatti climatici diretti, come gli incendi, gli uragani, le ondate di calore e le tempeste, sia in risposta al pensiero del futuro, che si immagina peggiore: preoccupazione, paura, apprensione, tristezza, anticipazione negativa”. Ciò che la distingue da altri sentimenti di ansia provati a causa di emergenze diverse o condizioni di crisi è che si tratta di un’ansia provata anche da chi non ha ancora sperimentato eventi catastrofici e gli impatti diretti dei cambiamenti climatici.

Il 39% degli adolescenti e giovani adulti di età compresa tra i 16 e i 25 anni in dieci Paesi ha dichiarato di avere dubbi sulla prospettiva di avere figli. L’intervista è stata realizzata nell’ambito di uno studio pubblicato da Lancet nel 2021

“Molti giovani delle generazioni che ho analizzato sono ben informati sulla scienza del clima. Sanno leggere i rapporti scientifici, hanno studiato i cambiamenti climatici a scuola. La conoscenza e la consapevolezza delle proiezioni di ciò che accadrà in futuro giocano un ruolo significativo. L’ansia climatica potrebbe essere una reazione a qualcosa che stanno vivendo in prima persona, ma anche a qualcosa che sta accadendo intorno a loro o ad altri. E io penso che queste differenze siano dovute in parte alla conoscenza della scienza, ma anche all’importanza della percezione del tempo e al pensiero del futuro”.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Lancet nel 2021 ha analizzato come la percezione dell’incapacità da parte dei governi di rispondere alla crisi climatica sia associata a un aumento di malessere nei giovani. I ricercatori hanno intervistato 10mila adolescenti e giovani adulti di età compresa tra i 16 e i 25 anni in dieci Paesi (Australia, Brasile, Finlandia, Francia, India, Nigeria, Filippine, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti): il 59% si è dichiarato molto o estremamente preoccupato dalla crisi climatica. Più del 50% ha riportato emozioni di tristezza, ansia, rabbia, impotenza e colpa. Il 39% degli intervistati ha dichiarato di avere dubbi sulla prospettiva di avere figli.

“Nei sempre più diffusi Climate cafè le persone trovano supporto di gruppo contro isolamento e stigma provato da chi è particolarmente angosciato dal clima”

La discussione intorno al cambiamento climatico e alla crescita della popolazione è stata per molto tempo legata agli impatti degli esseri umani sul Pianeta e allo sfruttamento delle risorse. Le ipotesi sulla riduzione volontaria della genitorialità si sono a volte basate su questa interpretazione: le persone preoccupate dagli impatti di un clima in cambiamento e peggioramento decidono intenzionalmente di non avere figli per non contribuire al problema. I risultati delle ricerche hanno dimostrato invece che la maggiore preoccupazione riguarda proprio gli effetti dei disastri, delle alte temperature sulla salute e la vita delle persone piuttosto che l’impronta ecologica che i loro figli possono avere in futuro.

Queste ricerche, secondo Sasser, hanno però il limite di analizzare alcuni aspetti della popolazione. “Nei dati demografici di questi studi ci possono essere informazioni sul genere, a volte sulla religione, sul reddito o la classe sociale, ma io credo che manchino altri fattori sociali che rendono le persone vulnerabili in una determinata società, che le rendono emarginate, e l’etnia è una di queste particolarmente negli Stati Uniti. Ma lo è anche in Canada e può esserlo in altri luoghi, pur seguendo dinamiche diverse”.

Così Sasser spiega qual è il fulcro del suo libro: non dare per scontato che le persone che vivono in una stessa società condividano la stessa ansia climatica o rispondano a questa nello stesso modo. Per questo motivo ha voluto capire come, negli Stati Uniti, i gruppi particolarmente emarginati, le persone di diverse etnie e a basso reddito siano anche quelli su cui le emozioni climatiche si ripercuotono più duramente. “Negli Stati Uniti abbiamo un’ampia ricerca accademica che dimostra come le comunità a basso reddito siano colpite molto più duramente in caso di tempeste, incendi o ondate di calore.

“Per alcune persone che ho intervistato i loro bambini sono diventati lo stimolo per impegnarsi a diventare molto attive nella lotta al cambiamento climatico”

Sappiamo inoltre che negli Usa storicamente le minoranze etniche tendono a vivere in comunità a basso reddito o, a prescindere dal reddito, in luoghi che registrano temperature più alte, soffrendo perciò di più il caldo. Queste persone sono molto preoccupate per la loro salute mentale e fisica e per le loro responsabilità nei confronti del cambiamento climatico. Si possono così notare chiare differenze demografiche”.

Come affrontare l’ansia climatica e le questioni riproduttive legate a essa è un altro aspetto affrontato dall’autrice. Stanno per esempio emergendo i Climate cafè, gruppi di persone che si incontrano per discutere dei loro sentimenti, delle loro preoccupazioni, che offrono supporto contro isolamento e stigma provato dalle persone particolarmente angosciate dal clima. In California, c’è forse uno dei primi ospedali che sta implementando un programma di assistenza psicologica per trattare l’ansia climatica.

“Con il mio libro non cerco di rispondere alla domanda se bisogna o no avere figli. Per alcune persone che ho intervistato i loro bambini sono diventati lo stimolo per impegnarsi a diventare molto attive nella lotta al cambiamento climatico, una dimostrazione di impegno verso la gioia e il rifiuto della paura.

Ma per Sasser entrambi i problemi, l’ansia climatica e la natalità, hanno una chiara soluzione: “La questione più importante è affrontare il cambiamento climatico per proteggere le comunità vulnerabili e aumentare l’accesso alle attività di supporto mentale ed emotivo, perché gli impatti del cambiamento climatico sono qui, sono reali, stanno aumentando e sono molto dannosi per i giovani. I giovani hanno bisogno di maggiore sostegno”

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