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Crisi climatica / Approfondimento

La pressione dell’industria europea di carne e latticini per bloccare le politiche sul clima

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Secondo una ricerca del think tank InfluenceMap le aziende del settore e i loro rappresentanti di categoria si sono attivamente opposti alle iniziative dell’Unione europea per ridurre le emissioni degli allevamenti e per promuovere alternative alle carne e al latte di origine vegetale. Un’operazione contraria alle evidenze scientifiche

Le recenti scelte dell’Unione europea di indebolire le proprie politiche e direttive in materia di impatti del settore agricolo, come quella di escludere gli allevamenti intensivi dalla cosiddetta “Direttiva emissioni”, non sono dovute tanto alle “proteste dei trattori” ma soprattutto all’influenza e all’attività di lobby delle aziende del settore e dei loro rappresentanti di categoria.

È quanto denuncia InfluenceMap, think tank indipendente che analizza l’impatto dei mercati e della finanza sulla crisi climatica, in una sua ricerca pubblicata a maggio 2024 dove analizza le strategie e l’influenza delle aziende alimentari e delle loro associazioni sulle politiche dell’Unione. “La nostra nuova analisi delinea una campagna condotta negli ultimi tre anni dall’industria della carne e dei prodotti lattiero-caseari contro le iniziative politiche volte ad affrontare l’impatto climatico del settore. Queste strategie di advocacy sembrano aver avuto un impatto significativo sull’ambizione delle politiche europee relative alla produzione e al consumo di carne e latticini in Europa”. 

Il lavoro di InfluenceMap prende in considerazione dieci aziende (Unilever, Nestlé, Danone, Arla, Cargill, FrieslandCampina, Danish crown, Groupe Lactalis, Vion food group, Tonnies group) e cinque associazioni di categoria, FoodDrinkEurope, European dairy association (Eda), Copa-Cogeca, European livestock and meat trades union (Uecvb) ed European livestock voice (Elv). Il think tank, per ognuna di queste organizzazioni, ha analizzato sia il loro coinvolgimento (engagement) nelle politiche europee in materia, sia il loro orientamento (positivo o negativo) rispetto a queste.

Delle dieci aziende esaminate i risultati più positivi sono stati ottenuti dall’inglese Unilever con un 67% di engagement (in una scala dove lo zero indica un impegno minimo e 100 il massimo) e un orientamento considerato generalmente positivo. Simili risultati sono stati ottenuti da Danone (53% di impegno, anch’esso generalmente positivo) e da Nestlé (52%). Queste aziende, secondo quanto riportato da InfluenceMap, avrebbero riconosciuto l’importanza di orientare le proprie diete verso prodotti di origine vegetale, pur ribadendo “il ruolo critico di tutti i gruppi di alimenti di base, come i latticini” e la necessità di “obiettivi di sostenibilità realistici per i prodotti alimentari”. A ottenere i punteggi più bassi sono state le aziende coinvolte nell’allevamento e nella produzione di carne, come Tonnies group (3%), FrieslandCampina (4%) e Vion food group (6%). “L’analisi suggerisce una spaccatura tra le diverse parti del settore della carne e dei prodotti lattiero-caseari, con le aziende focalizzate sui beni di consumo, come Unilever e Nestlé, che sembrano impegnarsi più positivamente sulle politiche dell’Ue rispetto ai produttori di carne e latticini, come Arla e Danish Crown -scrivono i ricercatori-. Le associazioni industriali che rappresentano queste aziende si sono impegnate molto su queste politiche, allineandosi apparentemente alle posizioni più critiche assunte dai produttori di alimenti”. 

Al contrario, le associazioni di categoria hanno mostrato un atteggiamento perlopiù negativo verso politiche europee sulla sostenibilità della dieta e sulla riduzione delle emissioni del settore agricolo, affiancando questa posizione con un impegno elevato. La posizioni più moderate, ma comunque negative, sono state assunte da FoodDrinkEurope mentre l’opposizione più forte è stata esercitata da Copa-Cogeca e da Elv. Ad esempio, Copa-Cogea si è opposta all’inserimento del settore agricolo all’interno delle Direttive europee sulle emissioni industriali e sulle emissioni di metano. Mentre sulla promozione di una dieta sostenibile hanno ribadito l’importanza dei prodotti di origine animale e promosso le esportazioni europee. 

Secondo il think tank l’elevato coinvolgimento delle associazioni di categoria rispetto alle aziende che rappresentano farebbe parte delle strategie di queste ultime per porre una certa distanza dalle loro posizioni più regressive. “Nel periodo 2018-2023, le associazioni di settore incluse in questa analisi sono state significativamente più coinvolte nelle politiche climatiche legate all’uso del suolo, come quelle per la transizione delle diete e per l’aumento del sequestro del carbonio, rispetto alle aziende che rappresentano -si legge nel report-. Questa tendenza potrebbe indicare che le aziende si affidano alle associazioni di categoria che agiscono a loro nome, piuttosto che svolgere una propria attività di advocacy. Il Copa-Cogeca ha un coinvolgimento cinque volte di più alto rispetto alle aziende appartenenti alle federazioni nazionali che costituiscono il nucleo dell’associazione, mentre l’Uecvb e l’Eda hanno un punteggio di engagement circa tre volte superiore rispetto ai loro membri”. 

La relazione tra aziende e rappresentanti di categoria © InfluenceMap

Eppure le evidenze scientifiche sono chiare: quello agroalimentare è uno dei principali settori per emissioni di gas serra sotto forma di anidride carbonica e altri gas climalteranti (metano e protossido di azoto, N₂O). Il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) nel suo rapporto del 2019 ha richiamato l’attenzione sul ruolo del settore come fonte significativa di emissioni di gas serra. L’Ipcc stima infatti che le attività di agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo abbiano rappresentato quasi un quarto (23%) delle emissioni totali nette di gas serra di origine antropica nel periodo 2007-2016. Il rapporto sottolinea, inoltre, il contributo significativo dell’allevamento di ruminanti in particolare per quanto riguarda la produzione di metano. Ma oltre a essere una delle principali cause, l’agricoltura è anche uno dei settori che rischia di venire compromesso maggiormente dal cambiamento climatico. Il rapporto dell‘Agenzia europea dell’ambiente (Eea) sui rischi climatici in Europa pubblicato a marzo 2024 ha evidenziato la vulnerabilità dell’agricoltura europea alle conseguenze dei cambiamenti climatici, tra cui la siccità e la modifica delle precipitazioni. Il rapporto evidenzia inoltre come sia fondamentale ridurre l’inquinamento prodotto dalle attività agricole e industriali, anche attraverso un aumento dei prodotti di origine vegetale nella dieta.

Nonostante le evidenze scientifiche sulla necessità di ridurre le emissioni del settore agricolo e di promuovere una dieta sostenibile le aziende del settore e i loro rappresentanti sono riusciti ad annacquare le normative europee in materia. Ad esempio, la Direttiva europea sulle emissioni industriale ha escluso norme più restrittive sugli allevamenti intensivi. Mentre la strategia “From farm to fork” sulla sostenibilità della filiera alimentare è stata modificata per escludere una proposta sulla “riduzione del consumo di carne” in favore di una rivolta al “sostegno dei metodi di allevamento più efficienti in termini di emissioni”. Altre iniziative, invece, sono state bloccate e la loro approvazione è al momento in forte discussione: è il caso della legge quadro per i sistemi alimentari sostenibili o della revisione del programma di distribuzione di latte nelle scuole. Entrambe le proposte, che prevedevano l’incentivo di alimenti di origine vegetale, si sono arenate in seguito alle opposizioni di Copa-Cogea e di Uecvb.

Questa influenza, conclude InfluenceMap, arriva a coinvolgere i programmi delle principali coalizioni europee. Ad esempio, il programma del Partito popolare europeo (Ppe), che riunisce le forze politiche ascrivibili al centro e al centrodestra, tra cui Forza Italia, presenta nel suo programma politico in vista delle prossime elezioni europee delle nette opposizioni alle politiche di riduzione dei gas serra del settore agroalimentare che rispecchiano esattamente le posizioni delle aziende e dei loro rappresentanti.

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